la cioccolata.
cerco conforto nella cioccolata.
stasera non so cosa altro dire.
se non che ringrazio i miei amici, quelli che mi nutrono di bene, quello vero, quello forte, insistente e indistruttibile.
è…state.
ok.
mezzofondista senza fiato
Per quanto si possa ragionare su una chat di feisbuc aperta di straforo mentre si sta lavorando a tremila cose insieme (tra cui all’organizzazione di un cazzo di congresso mondiale tra una ventina di giorni), oggi prima di pranzo “ragionavo” appunto con una delle mie fidatissime e splendidissime ascoltatrici, nonchè grande amica, nonchè contenitore di pianti, lamenti e quantaltro. Ragionavo sulla mia disastrosa situazione sentimentale.
Alla soglia dei 28 anni (AHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH) giro come una trottola dentro i miei pensieri e di spazio, ce n’è tanto. Non ho rimpianti, ma non ho più nemmeno pensieri. Ho chiuso i miei sentimenti in un armadio, sono lì a riposare. Nel mio passato li ho usati, bistrattati, calpestati. Ora che le ferite si sono richiuse, che i ricordi fanno solo sorridere, rimango qui.
Ragionavo, con la mia splendida amica di cui sopra, di come per me, adesso, sia impossibile progredire. Lei mi presentava la nuova stagione, l’autunno in arrivo, le calde foglie dell’estate che carezzano l’asfalto umido di pioggia. L’inizio di qualcosa di diverso. Un diverso che non distinguo da molto. Tutto è un fugace passaggio che mi lascia solo in bocca un sapore che non ho fatto in tempo a gustare. Tutto quello che mi si presenta, che mi si è recentemente presentato, è ciò che qualsiasi persona potrebbe volere.
Stabilità.
Tranquillità.
Sicurezza.
Io ho fatto finta che non ci fosse, non l’ho visto, l’ho fatto andare via, l’ho liberato come un cucciolo allevato in cattività e poi portato alla scoperta della vita reale.
La verità, a quanto pare, è che il mio essere mezzofondista di natura, senza allenamenti o agonismi di nessun tipo, con l’amore non ha nessun effetto. Con l’amore, con i sentimenti, con il mantenimento costante di una bugia verso me stessa, una bugia che possa coprire ciò che sento veramente.
La verità è che non reggo la distanza.
Mi manca il fiato, mi cedono le gambe, mi si spezza il respiro.
Così mi sento se qualcuno chiede il permesso di entrare nella mia vita, nell’armadio del mio amore. Tutto è chiuso, ogni bottone del cappotto che mi stringo addosso per non far passare nemmeno uno spiffero, per non permettere a nessuno di ferirmi, più di quanto non lo faccia io da sola ogni giorno.
La verità è che vivere le cose senza incoscienza ma con consapevolezza è ciò che più difficile ci sia e accettarle è altrettanto difficile.
Accettare che non ci sono prospettive e sbocchi è ancora peggio.
Accettare che tutto questo finto mondo lo hai inventato te, è impossibile.
Perchè di invenzione si tratta.
Di pareti finte che sono intorno alla stanza e che non ti proteggono affatto, di lana da pochi soldi senza fodera è il cappotto, di illusioni è il fuocherello che scalda le mani della piccola fiammiferaia.
Chissà se quando arriverà la vera luce la saprò riconoscere o, forse, sbanderò accecata.
Bene. Ho smesso di piangere.
Vado a cucinare.
bright star. un’ispirazione.
la foglia si incrina di un flebile sbaglio
il colore si perde in infinita clorofilla
rumori e calpestii commentano il passaggio
di indelebili cortei
di maggiolini e coccinelle rosse.
variopinto mondo di nature interiori,
traslucide iridi si gonfiano di rugiada
acqua riempie il sentire ormai sazio,
le gole si fanno carichi ruscelli.
esigenze di essere parte di questo
volontà di inchiostro di immortalare calligrafie,
solo segni conseguenti
di illibate emozioni.
il candore immacolato della neve dei pensieri
sfugge
si confonde
in un sicuro ieri.
comporre note e solfeggi
come un lirico amore
intingere la piuma di un colorato biancore.
concentrici cerchi si avvitano
alla ricerca
continua
perpetua
di uno sguardo altrove.
fonte mai esausta delle giuste parole.
mille papaveri rossi.
effettivamente avrei potuto.
avrei potuto rotolarmi sull’erba verde di Piazza Santa Maria Novella.
felice.
la vita è sempre fatta di scelte, qualsiasi sia il profilo che ci scegliamo di vivere.
se non vivi sei codardo e superficiale.
se vivi devi prendere precauzioni. devi attaccare la vita degli altri, che ti stanno intorno, dei paracadute.
ma questi, per quanto allenati e rodati siano, non sono sufficienti a sopportare l’urto dei cambiamenti.
ho sempre sbattuto in faccia alle mie responsabilità. mi sono schiaffeggiata per la mia imprudenza, mi sono odiata per la testardaggine.
non sono una santa
non sono una vittima
non sono una bugiarda
non sono una carnefice.
col fagotto dei miei errori vago nelle coscienze degli altri.
ne trovo di pulite, pure, candide.
ne trovo da sporcare, con i miei peccati.
non ho vendette da sfogare e i miei dolori, sono solo i miei.
nessuno dovrebbre soffrire del dolore portato da altri.
quel fardello viscido e scuro, quella massa informe di cui parlavo prima, oggi ha lasciato una scia.
unta, nera e distruttiva, come il petrolio.
le pagine di un racconto sono giunte dunque alla fine.
mi sento svuotata come se avessi sputato fino all’ultimo misero moscerino nella mia bocca.
perchè questo è il rischio.
quando corri, gli occhi, la bocca, si riempiono di cose.
ti fai sopraffare, non vedi, non senti più, pensi solo a quanto è bello correre, per mano alla vita, in quel momento.
non ho più l’età per giustificare le mie azioni e non penso sia nemmeno necessario.
tutti alla fine siamo egoisti e forse quella è la giustificazione più grande, che ci mettono nella testa fin da piccoli.
“mamma mi ha detto che la merendina è mia e la posso mangiare solo io”
sarà perchè mia mamma queste cose non me l’ha mai dette che da piccola non le ho fatte.
ma ora si.
non mi piace giocare sporco.
vincetele voi queste stupide battaglie.
io sono come Piero.
ingenua, illusa, magari egoista, ma perdente.
(senza titolo)
si è poggiato, il suo peso, tra le mie lenzuola.
i suoi sorrisi insistenti, le sue mani indiscrete.
l’inesitenza di un interesse,
la superficie scossa da un battito.
mi leggo e mi chiedo a cosa serva tutto questo.
al mio ego, alla costruzione incontrollata di una persona che, forse, non esiste.
tutti scrivono del mondo, io parlo di me.
a chi può interessare leggere le divagazioni contorte di una quasi ventottenne a rischio zitellaggio?
o forse tutti usano il mondo per parlare di loro stessi?
tirando le somme dunque, sono meglio degli altri.
io lo dico subito.
attenzione signori lettori, qui si parla di me, solo di me, nientaltro che di me.
dite lo voglio. LO VOGLIO.
il matrimonio è fatto.
altrimenti c’è uno spazio bianco, lo spazio del divorzio, del dissenso e del rifiuto, comunemente chiamato “barra degli indirizzi”, dove potrete digitare un’altra destinazione, un’altra volontà.
internet come un’aeroporto. sali sull’aereo che vuoi. ti perdi, ti ritrovi, puoi svoltare dietro mille angoli, puoi concentrarti su un volto sconosciuto e permetterti di vivere una vita parallela. ti puoi nascondere, ti puoi mostrare. forse internet è il mezzo, la via, la libertà più grande che l’uomo abbia creato fino ad adesso.
ognuno con la propria convinzione di fare qualcosa per gli altri, senza sapere che agli altri non gliene frega un bel niente di te. a meno che non si accenda qualcosa di rosso, con qualche numerino, sulla pagina di feisbuc.
il mio blog sono io.
sono i sorrisi e il buonumore, sono il nero che mi perseguita.
sono le stampe dei quadri che ho in camera e le orecchie da coniglietta accanto ai quadri.
sono l’eccesso di durezza e l’inutile dolcezza.
io scrivo le mie storie.
mentre ero al cinema stasera pensavo ad una storia.
forse un giorno la racconterò.
la storia di una donna che ama, ma che non può dirlo.
il suo amore criminale la perseguita, la fa fuggire, la sommerge, ma è pur sempre un amore.
il nodo non è mai sufficientemente stretto per soffocarla.
è una donna forte, che guarda spregiudicata la vita, senza paura.
solo davanti al suo amore crolla. sempre. indistintamente.
è un amore che si alimenta e si nutre della luce degli occhi di lei, ogni volta che ne parla, ogni volta che lo vede, ogni volta che lo vive.
ogni volta che sotto le sue unghie sente la pelle, il sudore e il calore di lui.
è una storia che non ha ne capo ne coda.
devo ancora pensarci bene, trovare una via, le parole banali e sospirate di sempre.
mentre la notte scorre verso un’alba di solitudine
mentre le mie dita come sempre digitano sui tasti sbagliati
cerco tra le lenzuola il suo peso e le sue mani.
mai abbastanza piena di questi continui abbandoni
continuo ad abbracciare le mie convinzioni.
omnia vincit amor et nos cedamus amori
The Truman Show.
la bassezza dei miei pensieri, i fuochi spenti che non lasciano altro che grigia cenere, il velo delle lacrime sugli occhi diventa un muro, invalicabile, di tristezza.
rileggo i miei vecchi post, sento la sofferenza nelle mie parole, sento l’amore ipotetico che non ho mai potuto esprimere, tra le righe, tra gli sguardi, tra un saluto accennato e mai uguale agli altri.
io sono ancora la ragazzina di 15 anni, innamorata della vita e dell’amore, che abusava della parola “ma come faccio!?!?” per esprimere la propria incapacità a distaccarsi definitivamente dalle cose.
io, che lascio sempre una porta aperta, una seconda possibilità, io però così esigente e rigida, così razionale e decisa. con lui non ho mai espresso esigenze, ho sempre accettato tutto, nascondendomi dietro a mille scuse e a mille motivazioni inventate per poter rimandare la fine. ma la fine di cosa? la fine di un inizio che non c’è mai stato?
le parole si rinnovano, mi racconto che stavolta sono diverse, si, stavolta sono in un altro modo. invece no. è sempre la solita vecchia storia, la solita filastrocca senza rime, stonata, che lascia un senso di inadeguatezza in fondo. che prima o poi torna su.
e mentre sono qui che mi affanno…scuoto la testa.
scrivo cose che non mi piacciono
continuo a farmi del male
continuo a torturare chi mi sta intorno
mi faccio inghiottire da queste sabbie mobili
alle volte mi pare di impazzire.
forse sono già pazza, forse sono in un gioco. tutti mi vedono, mi giudicano, mi deridono.
ma nessuno, solo io, posso fare qualcosa per me.
pubblicità progresso.
ragazzi. state lontano dalle droghe.
fanno male.
logorano.
ti danno l’illusione che sia tutto meraviglioso nel momento in cui le assumi ma quando sei in astinenza poi, tutto crolla.
magari non crolla tutto insieme ma un pezzettino alla volta, un frammento di mosaico dopo l’altro.
cade a terra.
e la droga ti lascia lì, impotente.
un imbuto, un pozzo profondo con i pezzetti di calcinaccio che schiacci sotto i piedi.
scricchiolano. si spezzano. rimane la polvere sotto la suola delle scarpe.
la droga stordisce.
annebbia la vista, restringe il campo.
ti fa prendere degli abbagli, ti condiziona le scelte.
la droga non ti fa vivere veramente.
rimane la superficie, rimane l’impressione, l’impalpabilità della realtà.
rimane qualcosa che, quindi, non c’è.
non iniziate mai con le droghe.
MAI.
non è un consiglio, è una legge.
poco agio.
il cielo giallo di un tramonto di fine agosto mi ricorda che tutto, prima o poi, volge ad un termine. che tutto è parte di un ciclo, che tutto cambia.
se non avessi già vissuto queste scene mille volte, mille sere, mille sorrisi e volti, non penserei che è l’ennesima ripetizione, ma che sto finalmente vedendo uno spiraglio di luce in mezzo al deserto delle mie emozioni.
ma questo cielo giallo mi ricorda che sono vulnerabile
infame
stupida
che mi faccio raggirare e illudere.
le nuvole sfilacciate mi stordiscono,
non ho più un riferimento,
non ho più me stessa,
butto via la mia libertà
in attesa di un autobus che non passerà mai.
attesa estenuante.
le rughe si fanno più spesse
su ciò che rimane del mio cuore.