VOA VOA!

standard 28 aprile 2014 11 responses
Ci arrabbiamo.

Non ho trovato posto alla macchina, non ho abbastanza soldi, non sono soddisfatta del lavoro, il supermercato è chiuso e mi mancano le uova e stasera volevo proprio la frittata, il dolce si è bruciato, non ho l’autografo del mio mito, la mia squadra ha perso e l’arbitro è cornuto.

Ci arrabbiamo, sprechiamo energie, fantasia e amore.

Diventiamo polemici per poco, fomentiamo focolai già spenti, non so se per arrostire la nostra vita o per farci osservare dagli altri, come tanti Etna in eruzione.
Io sono così.
Scrivo, parlo, piango, distruggo e ricompongo senza tregua.
Poi ci sono dei giorni dove non mi basta pensare di essere fortunata, lo devo toccare con mano, per esserne ancora più convinta.
E allora ti capita l’occasione, perché il mondo è piccolo e Firenze ancora di più e tutti conosciamo tutti, per qualche motivo insolito. Sicuramente avrete letto della piccola Sofia, della vicenda di Stamina, delle cure compassionevoli, delle malattie rare e terribili che affliggono lei e tanti altri bambini. 
Sofia vive con i suoi (meravigliosi) genitori sulle colline intorno Firenze, forse sarebbe meglio dire che sopravvive. Ho sentito parlare loro e altri genitori, li ho visti sorridere, accarezzare volti, asciugare lacrime. Ho provato a mettere da parte la sensazione di impotenza e mettermi in gioco, sentirmi partecipe, in qualche modo, almeno diffondendo la loro voce nel mio piccolo mondo. 
Non ci sono cure per molti bambini che si ammalano di malattie rare.
Non ci sono medicinali che possono essere somministrati.

Non ci sono molte cose, ma soprattutto c’è molta IGNORANZA. 

Dove si conosce poco non solo si continua a non voler conoscere, perché dopo aver saputo non si possono chiudere gli occhi, ma c’è anche tanta indifferenza, volontà di non sapere.
Le malattie rare non sono solo quelle con i nomi impronunciabili. Sono anche i tumori, per i bambini. Ecco, io questa cosa non la sapevo. Non sapevo che chi si ammala in tenera età viene curato con gli stessi farmaci di chi si ammala in età adulta. Non sapevo che le famiglie vengono spesso abbandonate a se stesse, con la scusa che di quegli ammalati ce ne sono troppo pochi e non c’è alcun interesse nell’approfondimento.
Non voglio più essere ignorante, non per loro. E se materialmente non posso fare ciò che vorrei, almeno voglio smettere di lamentarmi, di arrabbiarmi, di impiegare così male il mio tempo.
E’ tutto così prezioso.
Lo capisci guardando i volti di quei genitori che lottano contro dei mulini a vento, la disinformazione, l’indifferenza, le case farmaceutiche, lo capisci perché la loro vita è dedicata esclusivamente alla speranza di placare delle sofferenze certe e una diagnosi indecifrabile.
E’ prezioso il loro movimento, il loro lavoro, perché aiuta anche quei genitori che non hanno la capacità di farsi forza e trovare la voce, nella disperazione, di chiedere aiuto.
Venerdì scorso mi sono risvegliata dalla mia trance di incoscienza e per qualche ora ho respirato la gioia pura che ti può regalare solo chi veramente sa cosa è l’essenza della vita.
Tutti possiamo fare qualcosa. 
Anche solo parlandone con il vicino di ombrellone, anche solo mettendo da parte l’impazienza quotidiana che ti fa essere frettoloso davanti ad un semaforo rosso.
Tutti possiamo aiutare Sofia e i bambini affetti da malattie rare. 



Voa Voa! è l’associazione a cui darò il mio 5 x mille. Non basta dite? 

Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano,

ma se non lo facessimo l’oceano
 avrebbe una goccia in meno. 
Madre Teresa di Calcutta

ROUTINE D’AMORE.

standard 23 aprile 2014 21 responses
I piedi scostano la coperta, fino a spingerla in fondo al divano, dove altri residui bellici delle feste appena passate erano stati lasciati.
Non così lontani da essere dimenticati, non così vicini da essere spostati.
Era come se tutto fosse fermo, in attesa di un evento travolgente e inesorabile, una ventata, un trambusto, un improvviso crepitio che avrebbe cambiato le cose.
Fermo forse no, ma lento e stanco, come il cucchiaino abbandonato nella tazza, dove la tisana rilassante ha lasciato una traccia colorata. Stanco come il fiore appisolato nel piccolo vaso, con poca acqua stantia. Il tempo stanco del recupero delle forze, quando la domenica ti abbandona, lasciando spazio ai pensieri, ai doveri, ai meccanismi conosciuti del lunedì. E di tutti gli altri giorni della settimana.
In fondo sono cose a cui teniamo, anche se facciamo finta di esserne stanchi. La routine. Perché se anche solo per un giorno ce la porta via la febbre o un po’ di traffico in più, quasi ci sentiamo abbandonati. E’ nella natura umana rendere interessante ciò che è antipatico. E’ nella natura umana lamentarsi continuamente di ciò che si ha per poi lamentarsene se non lo abbiamo più.

Le mani si intrecciano tra di loro, cercando contatto. La punta delle dita è sempre fredda, sempre troppo fredda, corre a riscaldarsi sotto la maglietta, dove c’è pelle, quella sua, quella calda e confortante.
Tutti questi strumenti di oblio – coperte, mani, divano, piedi – parlano dell’ozio distorto e necessario, a volte si, necessario. Come quando aggiungi l’olio sulla fetta di pane e pomodoro. E poi un po’ di sale. Ogni strumento aggiunge sapore ed è come uno strumento del piacere, che spinge oltre tutti i sensi coinvolti. Ho bisogno di te. Mano, piede, sospiro.
Toccami con la noia e l’abitudine di ogni giorno. Lasciami inerme come quella coperta arrotolata. Sul cuscino i miei capelli perdono la forma e ne trovano un’altra.
Raccolgo il tuo respiro e cerco di abbracciarmi stretta a te, che sei il mio unico amore. 
E anche se non celebro quei giorni simbolici, dietro alla mia immagine riflessa ci sei sempre te.
Sei lì e non ti muovi.
Mi proteggi e io ti chiedo di proteggermi di più.
Mi dimostri e io ti chiedo di farlo in un modo che io possa comprendere.
Mi segui, annuisci alle mie scelte, condividi le mie follie e le mie assurde paranoie.
Sali e scendi sulle montagne russe senza avere nausee o ripensamenti.

I tuoi occhi brillano come i mari tropicali più trasparenti del mondo.

La routine ci accompagna, io e te sulla stessa piccola barchetta, giù per le rapide del fiume. Nell’ansa che raccoglie la calma di un momento rilasso il mio sguardo e ti vedo, così come tu vedi me. E forse hai ragione. Queste maledette “rapide” ogni tanto mi confondono, ma devo ritrovarmi e soprattutto non perdere te. Tu non mi perdi  mai. Ma come fai? Come dici? E’ il rumore dell’acqua scrosciante che copre la tua voce, devo concentrarmi per sentirti di nuovo…Dici che basta vedere dove si mettono i piedi, insieme, per non perdersi? Dici che non per forza dobbiamo voler fare le cose allo stesso modo? 
E se poi mi sento soffocare dalle ansie? Troveremo una soluzione anche a questo.
Insieme.
Sempre.
Per attraversare in barca ogni tempesta.

Io e Te ? E il nostro primo anno insieme. Grazie Amore, TI AMO!

DOUBLE DREAM, ONE LIFE.

standard 16 aprile 2014 22 responses
Vi capita di ricordare i sogni che fate?
Di appuntarli e riuscire a non farli essere delle parole vuote e senza corpo?
A me capita di ricordare alcuni sogni, ma rimangono lì, in quello spazio senza colori e senza voce del mattino, quando aprendo gli occhi l’unica cosa che capisco è il bacio del mio principe che scappa a lavoro, ma senza cavallo bianco.
E poi ci sono i sogni doppi, i sogni dentro i sogni, quelli che ti svegli ma in realtà stai ancora sognando. Che cammini, parli, alzi la testa dal cuscino, fai domande e mandi messaggi con il cellulare…mentre dormi.
Allora mi sveglio, stavolta davvero, e cerco il significato. 
Se dovessi credere a tutte le cose che mi dicono le interpretazioni dei miei sogni sarei:

1. Pazza (che un po’ è anche vero).
2. Psicologicamente instabile.
3. Insoddisfatta totalmente dalla vita.
4. Soddisfatta pienamente dalla vita.
5. Sola.
6. Innamorata e corrisposta.
7. Abbandonata da tutti.
8. Sull’orlo di un precipizio.
9. Sorridente ma non troppo…

…e potrei continuare con un lungo elenco. La mia incoscienza ha dei seri problemi di personalità, a quanto sembra. Si confonde con tutte le cose che penso ogni giorno e tira le somme, buttandomi ogni notte in storie diverse che, però, non sono capace di scrivere, ne’ di tradurre correttamente come vorrei.
Ho smesso anche di provarci, non ne vale la pena. 
E così faccio di solito quando mi rendo conto che non sono in grado. La consapevolezza è una cosa fondamentale per me. Perché tutto questo rincorrersi di sogni, di vita, di realtà, di pensieri forse è sintomo di una frenesia che ho sempre avuto dentro, che si è riflessa nelle mie attività, nel mio carattere, nel mio modo di non essere mai stanca e mai troppo impegnata per poter aggiungere qualcos’altro e qualcosa ancora.
E allora vi svelo un segreto…non ci sono ancora arrivata a perdonarmi per non (voler) riuscire a infilarci tutto, nelle mie giornate, però sto cercando veramente di volare alto per capire cosa risalta di più, in quel marasma di cose/occhi/persone/profumi/idee.
Non so se funziona, con una come me, questa formula delle priorità, però non mi piace essere statica, non mi piace dire a me stessa che ciao ragazzi, io sono arrivata e oltre lì non posso andare. 
Mi metto alla prova. Sperimento. Testo, impasto, intruglio. Non uso formule o manuali, solo la mia spontaneità.
Questo mi piace, mi rende felice. 

Venghino siore e siori, non c’è trucco, non c’è inganno, non c’è macchinazione.

Tutto quello che posso fare è mettermi NUDA di fronte a voi con il mio atto di spontaneità. Come fosse un proclama da affiggere in piazza io scrivo qui ogni mia sensazione al riguardo.
Mi perdoneranno tutti coloro che si sentono trascurati, non coinvolti, erroneamente scavalcati…sto solo cercando di fare una giusta selezione, prima o poi si deve anche imparare a scegliere. 
E poi magari mi tufferò di nuovo nella mischia…

…chissà.

Con affetto e disattenzione, 
la vostra Berry

Douane Hanson – Flea Market Lady (1990)
Guardate bene…non è una foto, è un’opera scultorea composta, corrente artistica dell’iperrealismo. Fantastica.



Ps: Non vi crucciate se non ci avete capito niente in questo post. Nemmeno io capisco cosa scrivo a volte. E’ il mio modo goffamente poetico per scusarmi dell’assenza, del turbinio di parole e dei silenzi, di come non riesco ad essere presente su tutti i fronti come e quanto vorrei…la mia vita da un anno a questa parte si è arricchita di una presenza, l’uomo dagli occhi di ghiaccio, per la quale non mi pesa prendere le distanze da un bel po’ di cose che prima (senza rendermi conto) erano diventate parte della mia vita più per bisogno di racimolare presenze e impegni che altro. Poi ci sono anche dettagli (e soprattutto PERSONE) che non vorrei perdermi ma sono certa che non sarà una vera e propria perdita, ma solo uno stop, una pausa necessaria per prendere fiato. Mamma mi ha sempre detto che fin da piccola ero un vulcano di energia, che mai voleva “negare” la propria partecipazione o presenza, ammettendo di aver scelto altro, di non essere stata capace di farcela. 
Ora invece ce la faccio, posso dire di NO.
Ma il mio NO è una carezza, un dito sulla bocca per non parlare, per farlo al meglio quando, anche io, avrò costruito la mia vita.
Forse è proprio così che si capisce che si è trovato l’Amore.
Dove dico NO posso dire tantissimi … SI!
Vi bacio a tutti!

UNA VALIGIA DI PAROLE.

standard 7 aprile 2014 46 responses
Quando ci sono troppe cose da raccontare, l’unica cosa da fare è trovare il filo del gomitolo e cominciare da lì. Dalla fine, quando si è arrotolato tutto, tipo quando mangi gli spaghetti e la forchetta con affanno ha percorso tutto il piatto per lasciarlo sgombero.
E’ stato intenso, indubbiamente. Pieno, ricco, fitto, zeppo, soffocante quasi.
E’ stato colorato, diverso, insolito, emozionante, mitico.
E’ stato come entrare in una leggenda epica, esserne risucchiati e poi uscirne, senza nemmeno troppi effetti collaterali, a parte il fuso orario.
Amo viaggiare, respirare mondi opposti e imparagonabili tra loro.
Amo viaggiare ma non sopporto stare così lontana, kilometricamente parlando, da casa mia, soprattutto se con la parola viaggio si associa la parola lavoro.
Dieci giorni che a raccontarli mi ci vorrebbe un mese, per tutto quello che ho visto, provato, assaggiato, passeggiato, incrociato, scrutato, sudato, fotografato.

Ho visto Johnny Depp che abbracciava Wonder Woman, impronte famose e set cinematografici, Beverly Hills e Mulholland Drive, ho visto ville lussuose e grattaceli dalla forma strana, architetture da enciclopedia e musei (correndo) nei quali avrei potuto passare una vita.
Ho visto panorami mozzafiato, dall’Oceano Pacifico alle colline verdi di Hollywood, senza alcuna interferenza, se non il vento forte che confondeva idee e capelli. Mi ci sono bagnata i piedi, nell’Oceano, la mattina presto. L’acqua era fredda e arrabbiata.
Ho visto le Montagne Rocciose, la neve da Zurigo a Denver, ho viaggiato e perso aerei, coincidenze, momenti, ricordi. Ho respirato la marijuana libera del Colorado e il fumo che esce dai tombini, mangiato panini e french fries, assorbito e osservato tutto, visibile e invisibile. 
Ho fatto la pipì nell’hotel di Pretty Woman, toccato le nuvole morbide della California e i suoi pungenti cactus, mi sono seduta accanto a Forrest Gump e messo un piede one mile above the sea level (a proposito…sapete cosa vuol dire stare una settimana a 1600 mt di altezza? Pelle secca, aria rarefatta, mal di testa, sangue dal naso tutti i santi giorni…quando dico che preferisco il mare!).
Ho camminato tanto, consumando scarpe e distanze, che di certo non sono brevi. Ho riempito e disfatto valigie, perso la testa e parecchie lacrime, scordato di comprare regali e fatto acquisti inutili ma essenziali. Ho visto artisti di strada, barboni che suonano il pianoforte, poetesse improvvisate parlare solitarie sotto una palma scossa dal vento, parecchi palloncini e parecchie altre cose che avrei voluto vivere per mano al mio amore.

Gli Stati Uniti non sono un posto facile, per chi come me ama la storia, le radici. Sono uno stato così nuovo e che si rinnova con una tale facilità da rendere tutto ciò cui siamo abituati quasi ridicolo. Lì la storia è fatta dalla Coca Cola, dai boulevard alberati visti in qualche film, dall’integrazione razziale evidente, dal sentimento comune di tolleranza.
Non si può far altro che aprire la mente, una volta arrivati. Ci sono troppe cose da immagazzinare, ma l’inesperienza della gioventù del paese diventa il suo primo pregio: niente è storia, niente è da ricordare per sempre, tutto si può modificare, organizzare, armonizzare. Tutto diventa plasmabile, niente è statico.
Non ci sono radici, non ci sono legami.
Questa medaglia ha anche il lato opposto, quello dei lunghi risvolti negativi, delle obiezioni che si possono fare ad ogni virgola. Io stessa ne ho a bizzeffe di critiche, sugli States…ma non oggi.
Perché ora ho solo voglia di sorridere, perché sono tornata.
Sono sopravvissuta a infinite ore di volo, scomodissime ed infinite. 
Perché questa esperienza mi ha fatto bene, per quanto sia stata impegnativa e, indubbiamente, non ho il fisico per tutto questo impegno
Perché guardare un altro mondo e poi tornare a guardare il proprio regala delle sfumature che prima non c’erano, si nascondevano nella quotidianità, nell’abitudine, nell’ovvio.

E’ bello viaggiare.
E’ bello tornare.
Perché è bello sapere che ci sono, che ci siete. Come quando cammini al buio e dopo qualche passo sai che c’è il letto.
Le ginocchia si appoggiano sul materasso e non c’è pericolo di cadere.
Los Angeles & Denver – 10 giorni in 16 foto