VOA VOA!

standard 28 aprile 2014 11 responses
Ci arrabbiamo.

Non ho trovato posto alla macchina, non ho abbastanza soldi, non sono soddisfatta del lavoro, il supermercato è chiuso e mi mancano le uova e stasera volevo proprio la frittata, il dolce si è bruciato, non ho l’autografo del mio mito, la mia squadra ha perso e l’arbitro è cornuto.

Ci arrabbiamo, sprechiamo energie, fantasia e amore.

Diventiamo polemici per poco, fomentiamo focolai già spenti, non so se per arrostire la nostra vita o per farci osservare dagli altri, come tanti Etna in eruzione.
Io sono così.
Scrivo, parlo, piango, distruggo e ricompongo senza tregua.
Poi ci sono dei giorni dove non mi basta pensare di essere fortunata, lo devo toccare con mano, per esserne ancora più convinta.
E allora ti capita l’occasione, perché il mondo è piccolo e Firenze ancora di più e tutti conosciamo tutti, per qualche motivo insolito. Sicuramente avrete letto della piccola Sofia, della vicenda di Stamina, delle cure compassionevoli, delle malattie rare e terribili che affliggono lei e tanti altri bambini. 
Sofia vive con i suoi (meravigliosi) genitori sulle colline intorno Firenze, forse sarebbe meglio dire che sopravvive. Ho sentito parlare loro e altri genitori, li ho visti sorridere, accarezzare volti, asciugare lacrime. Ho provato a mettere da parte la sensazione di impotenza e mettermi in gioco, sentirmi partecipe, in qualche modo, almeno diffondendo la loro voce nel mio piccolo mondo. 
Non ci sono cure per molti bambini che si ammalano di malattie rare.
Non ci sono medicinali che possono essere somministrati.

Non ci sono molte cose, ma soprattutto c’è molta IGNORANZA. 

Dove si conosce poco non solo si continua a non voler conoscere, perché dopo aver saputo non si possono chiudere gli occhi, ma c’è anche tanta indifferenza, volontà di non sapere.
Le malattie rare non sono solo quelle con i nomi impronunciabili. Sono anche i tumori, per i bambini. Ecco, io questa cosa non la sapevo. Non sapevo che chi si ammala in tenera età viene curato con gli stessi farmaci di chi si ammala in età adulta. Non sapevo che le famiglie vengono spesso abbandonate a se stesse, con la scusa che di quegli ammalati ce ne sono troppo pochi e non c’è alcun interesse nell’approfondimento.
Non voglio più essere ignorante, non per loro. E se materialmente non posso fare ciò che vorrei, almeno voglio smettere di lamentarmi, di arrabbiarmi, di impiegare così male il mio tempo.
E’ tutto così prezioso.
Lo capisci guardando i volti di quei genitori che lottano contro dei mulini a vento, la disinformazione, l’indifferenza, le case farmaceutiche, lo capisci perché la loro vita è dedicata esclusivamente alla speranza di placare delle sofferenze certe e una diagnosi indecifrabile.
E’ prezioso il loro movimento, il loro lavoro, perché aiuta anche quei genitori che non hanno la capacità di farsi forza e trovare la voce, nella disperazione, di chiedere aiuto.
Venerdì scorso mi sono risvegliata dalla mia trance di incoscienza e per qualche ora ho respirato la gioia pura che ti può regalare solo chi veramente sa cosa è l’essenza della vita.
Tutti possiamo fare qualcosa. 
Anche solo parlandone con il vicino di ombrellone, anche solo mettendo da parte l’impazienza quotidiana che ti fa essere frettoloso davanti ad un semaforo rosso.
Tutti possiamo aiutare Sofia e i bambini affetti da malattie rare. 



Voa Voa! è l’associazione a cui darò il mio 5 x mille. Non basta dite? 

Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano,

ma se non lo facessimo l’oceano
 avrebbe una goccia in meno. 
Madre Teresa di Calcutta

ROUTINE D’AMORE.

standard 23 aprile 2014 21 responses
I piedi scostano la coperta, fino a spingerla in fondo al divano, dove altri residui bellici delle feste appena passate erano stati lasciati.
Non così lontani da essere dimenticati, non così vicini da essere spostati.
Era come se tutto fosse fermo, in attesa di un evento travolgente e inesorabile, una ventata, un trambusto, un improvviso crepitio che avrebbe cambiato le cose.
Fermo forse no, ma lento e stanco, come il cucchiaino abbandonato nella tazza, dove la tisana rilassante ha lasciato una traccia colorata. Stanco come il fiore appisolato nel piccolo vaso, con poca acqua stantia. Il tempo stanco del recupero delle forze, quando la domenica ti abbandona, lasciando spazio ai pensieri, ai doveri, ai meccanismi conosciuti del lunedì. E di tutti gli altri giorni della settimana.
In fondo sono cose a cui teniamo, anche se facciamo finta di esserne stanchi. La routine. Perché se anche solo per un giorno ce la porta via la febbre o un po’ di traffico in più, quasi ci sentiamo abbandonati. E’ nella natura umana rendere interessante ciò che è antipatico. E’ nella natura umana lamentarsi continuamente di ciò che si ha per poi lamentarsene se non lo abbiamo più.

Le mani si intrecciano tra di loro, cercando contatto. La punta delle dita è sempre fredda, sempre troppo fredda, corre a riscaldarsi sotto la maglietta, dove c’è pelle, quella sua, quella calda e confortante.
Tutti questi strumenti di oblio – coperte, mani, divano, piedi – parlano dell’ozio distorto e necessario, a volte si, necessario. Come quando aggiungi l’olio sulla fetta di pane e pomodoro. E poi un po’ di sale. Ogni strumento aggiunge sapore ed è come uno strumento del piacere, che spinge oltre tutti i sensi coinvolti. Ho bisogno di te. Mano, piede, sospiro.
Toccami con la noia e l’abitudine di ogni giorno. Lasciami inerme come quella coperta arrotolata. Sul cuscino i miei capelli perdono la forma e ne trovano un’altra.
Raccolgo il tuo respiro e cerco di abbracciarmi stretta a te, che sei il mio unico amore. 
E anche se non celebro quei giorni simbolici, dietro alla mia immagine riflessa ci sei sempre te.
Sei lì e non ti muovi.
Mi proteggi e io ti chiedo di proteggermi di più.
Mi dimostri e io ti chiedo di farlo in un modo che io possa comprendere.
Mi segui, annuisci alle mie scelte, condividi le mie follie e le mie assurde paranoie.
Sali e scendi sulle montagne russe senza avere nausee o ripensamenti.

I tuoi occhi brillano come i mari tropicali più trasparenti del mondo.

La routine ci accompagna, io e te sulla stessa piccola barchetta, giù per le rapide del fiume. Nell’ansa che raccoglie la calma di un momento rilasso il mio sguardo e ti vedo, così come tu vedi me. E forse hai ragione. Queste maledette “rapide” ogni tanto mi confondono, ma devo ritrovarmi e soprattutto non perdere te. Tu non mi perdi  mai. Ma come fai? Come dici? E’ il rumore dell’acqua scrosciante che copre la tua voce, devo concentrarmi per sentirti di nuovo…Dici che basta vedere dove si mettono i piedi, insieme, per non perdersi? Dici che non per forza dobbiamo voler fare le cose allo stesso modo? 
E se poi mi sento soffocare dalle ansie? Troveremo una soluzione anche a questo.
Insieme.
Sempre.
Per attraversare in barca ogni tempesta.

Io e Te ? E il nostro primo anno insieme. Grazie Amore, TI AMO!

DOUBLE DREAM, ONE LIFE.

standard 16 aprile 2014 22 responses
Vi capita di ricordare i sogni che fate?
Di appuntarli e riuscire a non farli essere delle parole vuote e senza corpo?
A me capita di ricordare alcuni sogni, ma rimangono lì, in quello spazio senza colori e senza voce del mattino, quando aprendo gli occhi l’unica cosa che capisco è il bacio del mio principe che scappa a lavoro, ma senza cavallo bianco.
E poi ci sono i sogni doppi, i sogni dentro i sogni, quelli che ti svegli ma in realtà stai ancora sognando. Che cammini, parli, alzi la testa dal cuscino, fai domande e mandi messaggi con il cellulare…mentre dormi.
Allora mi sveglio, stavolta davvero, e cerco il significato. 
Se dovessi credere a tutte le cose che mi dicono le interpretazioni dei miei sogni sarei:

1. Pazza (che un po’ è anche vero).
2. Psicologicamente instabile.
3. Insoddisfatta totalmente dalla vita.
4. Soddisfatta pienamente dalla vita.
5. Sola.
6. Innamorata e corrisposta.
7. Abbandonata da tutti.
8. Sull’orlo di un precipizio.
9. Sorridente ma non troppo…

…e potrei continuare con un lungo elenco. La mia incoscienza ha dei seri problemi di personalità, a quanto sembra. Si confonde con tutte le cose che penso ogni giorno e tira le somme, buttandomi ogni notte in storie diverse che, però, non sono capace di scrivere, ne’ di tradurre correttamente come vorrei.
Ho smesso anche di provarci, non ne vale la pena. 
E così faccio di solito quando mi rendo conto che non sono in grado. La consapevolezza è una cosa fondamentale per me. Perché tutto questo rincorrersi di sogni, di vita, di realtà, di pensieri forse è sintomo di una frenesia che ho sempre avuto dentro, che si è riflessa nelle mie attività, nel mio carattere, nel mio modo di non essere mai stanca e mai troppo impegnata per poter aggiungere qualcos’altro e qualcosa ancora.
E allora vi svelo un segreto…non ci sono ancora arrivata a perdonarmi per non (voler) riuscire a infilarci tutto, nelle mie giornate, però sto cercando veramente di volare alto per capire cosa risalta di più, in quel marasma di cose/occhi/persone/profumi/idee.
Non so se funziona, con una come me, questa formula delle priorità, però non mi piace essere statica, non mi piace dire a me stessa che ciao ragazzi, io sono arrivata e oltre lì non posso andare. 
Mi metto alla prova. Sperimento. Testo, impasto, intruglio. Non uso formule o manuali, solo la mia spontaneità.
Questo mi piace, mi rende felice. 

Venghino siore e siori, non c’è trucco, non c’è inganno, non c’è macchinazione.

Tutto quello che posso fare è mettermi NUDA di fronte a voi con il mio atto di spontaneità. Come fosse un proclama da affiggere in piazza io scrivo qui ogni mia sensazione al riguardo.
Mi perdoneranno tutti coloro che si sentono trascurati, non coinvolti, erroneamente scavalcati…sto solo cercando di fare una giusta selezione, prima o poi si deve anche imparare a scegliere. 
E poi magari mi tufferò di nuovo nella mischia…

…chissà.

Con affetto e disattenzione, 
la vostra Berry

Douane Hanson – Flea Market Lady (1990)
Guardate bene…non è una foto, è un’opera scultorea composta, corrente artistica dell’iperrealismo. Fantastica.



Ps: Non vi crucciate se non ci avete capito niente in questo post. Nemmeno io capisco cosa scrivo a volte. E’ il mio modo goffamente poetico per scusarmi dell’assenza, del turbinio di parole e dei silenzi, di come non riesco ad essere presente su tutti i fronti come e quanto vorrei…la mia vita da un anno a questa parte si è arricchita di una presenza, l’uomo dagli occhi di ghiaccio, per la quale non mi pesa prendere le distanze da un bel po’ di cose che prima (senza rendermi conto) erano diventate parte della mia vita più per bisogno di racimolare presenze e impegni che altro. Poi ci sono anche dettagli (e soprattutto PERSONE) che non vorrei perdermi ma sono certa che non sarà una vera e propria perdita, ma solo uno stop, una pausa necessaria per prendere fiato. Mamma mi ha sempre detto che fin da piccola ero un vulcano di energia, che mai voleva “negare” la propria partecipazione o presenza, ammettendo di aver scelto altro, di non essere stata capace di farcela. 
Ora invece ce la faccio, posso dire di NO.
Ma il mio NO è una carezza, un dito sulla bocca per non parlare, per farlo al meglio quando, anche io, avrò costruito la mia vita.
Forse è proprio così che si capisce che si è trovato l’Amore.
Dove dico NO posso dire tantissimi … SI!
Vi bacio a tutti!

UNA VALIGIA DI PAROLE.

standard 7 aprile 2014 46 responses
Quando ci sono troppe cose da raccontare, l’unica cosa da fare è trovare il filo del gomitolo e cominciare da lì. Dalla fine, quando si è arrotolato tutto, tipo quando mangi gli spaghetti e la forchetta con affanno ha percorso tutto il piatto per lasciarlo sgombero.
E’ stato intenso, indubbiamente. Pieno, ricco, fitto, zeppo, soffocante quasi.
E’ stato colorato, diverso, insolito, emozionante, mitico.
E’ stato come entrare in una leggenda epica, esserne risucchiati e poi uscirne, senza nemmeno troppi effetti collaterali, a parte il fuso orario.
Amo viaggiare, respirare mondi opposti e imparagonabili tra loro.
Amo viaggiare ma non sopporto stare così lontana, kilometricamente parlando, da casa mia, soprattutto se con la parola viaggio si associa la parola lavoro.
Dieci giorni che a raccontarli mi ci vorrebbe un mese, per tutto quello che ho visto, provato, assaggiato, passeggiato, incrociato, scrutato, sudato, fotografato.

Ho visto Johnny Depp che abbracciava Wonder Woman, impronte famose e set cinematografici, Beverly Hills e Mulholland Drive, ho visto ville lussuose e grattaceli dalla forma strana, architetture da enciclopedia e musei (correndo) nei quali avrei potuto passare una vita.
Ho visto panorami mozzafiato, dall’Oceano Pacifico alle colline verdi di Hollywood, senza alcuna interferenza, se non il vento forte che confondeva idee e capelli. Mi ci sono bagnata i piedi, nell’Oceano, la mattina presto. L’acqua era fredda e arrabbiata.
Ho visto le Montagne Rocciose, la neve da Zurigo a Denver, ho viaggiato e perso aerei, coincidenze, momenti, ricordi. Ho respirato la marijuana libera del Colorado e il fumo che esce dai tombini, mangiato panini e french fries, assorbito e osservato tutto, visibile e invisibile. 
Ho fatto la pipì nell’hotel di Pretty Woman, toccato le nuvole morbide della California e i suoi pungenti cactus, mi sono seduta accanto a Forrest Gump e messo un piede one mile above the sea level (a proposito…sapete cosa vuol dire stare una settimana a 1600 mt di altezza? Pelle secca, aria rarefatta, mal di testa, sangue dal naso tutti i santi giorni…quando dico che preferisco il mare!).
Ho camminato tanto, consumando scarpe e distanze, che di certo non sono brevi. Ho riempito e disfatto valigie, perso la testa e parecchie lacrime, scordato di comprare regali e fatto acquisti inutili ma essenziali. Ho visto artisti di strada, barboni che suonano il pianoforte, poetesse improvvisate parlare solitarie sotto una palma scossa dal vento, parecchi palloncini e parecchie altre cose che avrei voluto vivere per mano al mio amore.

Gli Stati Uniti non sono un posto facile, per chi come me ama la storia, le radici. Sono uno stato così nuovo e che si rinnova con una tale facilità da rendere tutto ciò cui siamo abituati quasi ridicolo. Lì la storia è fatta dalla Coca Cola, dai boulevard alberati visti in qualche film, dall’integrazione razziale evidente, dal sentimento comune di tolleranza.
Non si può far altro che aprire la mente, una volta arrivati. Ci sono troppe cose da immagazzinare, ma l’inesperienza della gioventù del paese diventa il suo primo pregio: niente è storia, niente è da ricordare per sempre, tutto si può modificare, organizzare, armonizzare. Tutto diventa plasmabile, niente è statico.
Non ci sono radici, non ci sono legami.
Questa medaglia ha anche il lato opposto, quello dei lunghi risvolti negativi, delle obiezioni che si possono fare ad ogni virgola. Io stessa ne ho a bizzeffe di critiche, sugli States…ma non oggi.
Perché ora ho solo voglia di sorridere, perché sono tornata.
Sono sopravvissuta a infinite ore di volo, scomodissime ed infinite. 
Perché questa esperienza mi ha fatto bene, per quanto sia stata impegnativa e, indubbiamente, non ho il fisico per tutto questo impegno
Perché guardare un altro mondo e poi tornare a guardare il proprio regala delle sfumature che prima non c’erano, si nascondevano nella quotidianità, nell’abitudine, nell’ovvio.

E’ bello viaggiare.
E’ bello tornare.
Perché è bello sapere che ci sono, che ci siete. Come quando cammini al buio e dopo qualche passo sai che c’è il letto.
Le ginocchia si appoggiano sul materasso e non c’è pericolo di cadere.
Los Angeles & Denver – 10 giorni in 16 foto

Ti voglio bene Denver!

standard 26 marzo 2014 17 responses

Impossibile sfatare certi miti. Se diventano tali ci sarà un motivo.
In America i neri sono grossi, grandi alti, con dei sorrisi proporzionalmente enormi.
Ci sono tanti fast food che ci pienano occhi e stomaco molto fast.
Le macchine sono infinitamente e inutilmente grandi.
In America tutti hanno caldo. Infradito e short a 1600mt, con pochi gradi sopra lo zero, come se piovessero.
E non solo. Si vestono al buio.
Sembra di essere in un film. Come dire il contrario? Grattacieli ultra moderni e piccole case in legno, contrapposizioni che raccontano un paese molto diverso dal nostro.
È tutto strano e tutto possibile.
Barboni al McDonald’s,  fumo dai tombini, artisti di strada che improvvisano concerti.

Di certo, in America, non ti senti diverso. Forse è il retaggio lasciato dai molti anni di apartheid, di schiavismo…ma sembra che nessuno sia interessato a giudicarti per la tua apparenza…mi sono spiegata, no? Anche se in Italia sono le 6 di mattina e qui le 23 la stanchezza si fa sentire e sopratutto l’uso del tablet!!!!

E se ogni viaggio serve a qualcosa, alla fine di questi giorni di intenso lavoro dall’altra parte del mondo, vi faro sapere cosa ha portato a me.

Un bacio a tutti da Denver, Colorado,  e uno speciale al mio Amore.

ASPETTAMI, TORNO SUBITO.

standard 19 marzo 2014 19 responses
Adoro il mercoledì.
Soprattutto la sera, è la sera in cui si corre. Torno a casa sfinita ma appagata, mi aggiro sola nelle stanze cercando di capire se la voglia di cenare è più forte della voglia di non fare niente.
Oggi è un mercoledì da pagina bianca, da voglia di scrivere, da affollamento di idee e parole, che mi costringe a sedermi con il portatile in mano, iniziando da qui senza conoscere la fine…e il percorso.
Sono giorni concitati, come succede sempre prima di ogni viaggio…dopo due anni torno negli Stati Uniti, con tutt’altro sentimenti rispetto alla volta scorsa. Oltre alla solita paura di volare, parto lasciando il mio cuore qui e così questi dieci giorni mi sembrano un’eternità…ma in qualche modo passeranno, devo solo smetterla di concentrarmi sul tempo.
E corro quindi, corro via dalle mie ansie, dai brutti pensieri, verso il tramonto di questa giornata, sfumato di rosa. Cerco la calma mentre piego e preparo calzini e magliette, cerco il tepore dello sguardo di chi amo, le parole rare ma intense di chi ho vicino. Non sono queste le cose tragiche, Berry. 

…Sono rimasta senza parole. Ha vinto la sonnolenza.

Adesso fuggo a mangiare un pezzettino di cioccolata fondente con le nocciole.
Voi aspettatemi qui, che magari ci scappa qualche post scanzonato a Stelle e Strisce.
Un piccolo assaggio pre partenza ^_^
Ps: amiche Bloggalline…siete straordinarie! Roberta, Roberta, Vatinee, Monica, Monica, Valentina e Silvia (e la mia Mary) su tutte, mi siete mancate tantissimo!!!

HUSTON, MI RICEVETE?

standard 10 marzo 2014 22 responses
Toni Servillo ne La Grande Bellezza










Dove eravamo rimasti? Ah, si, ora ricordo.
Perdo il contatto con la realtà…mi capita sempre più spesso.
Mi succede anche quando sono alla scrivania, a lavoro, nella situazione meno probabile…mi distacco. Tipo quando la capsula abbandona la sua stazione spaziale, verso l’atmosfera terrestre.

 

Tipo quando mi astraggo, pensando alla soluzione di ipotetiche situazioni poco verosimili.
Tipo quando guardo un film, come La Grande Bellezza.
Mi trovo lì a fissare le immagini che scorrono, evocando in me emozioni nelle quali non trovo nemmeno parole. Sono emozioni mute, sconosciute, ma non creano alcun disagio.
Le emozioni della poesia, dei sorrisi regalati, delle carezze sui capelli lisci.
Squilla il telefono e mi sveglio dal torpore.
L’attenzione cerca un appiglio valido, non un chiodino appena penetrato nell’intonaco, così fragile e pronto a sgretolare il muro intorno a se.
Non ho voglia di stare attenta, non oggi, in questo venerdì in cui trascino i miei pensieri come fossero il cappotto di un barbone solitario, all’angolo della strada.
Lascio la scia, con questo cappotto, ma è una scia che si cancella, si sgretola come il debole intonaco. Perché non sarò mai una vincente, una che coinvolge, che lascia il segno. I miei racconti rimarranno sempre qui, tra me e voi, limpidi e inermi lettori di questo blog fine a se stesso.
Un po’ la volontà, un po’ la mia scarsa capacità. Le mie lacune si arricchiscono di libri non letti, di tempi persi, di chat e dialoghi troppo brevi per essere dialoghi.
Quindi era venerdì, quando queste parole mi scorrevano tra le dita, ma non ero ancora pronta per pubblicarle. A volte mi percorre una smania di rendere accessibili a tutti i miei pensieri, altre volte mi sembrano troppo poveri e con troppa poca qualità per farli leggere ad altri. 
Ma in fondo arrivare qui, nel mio modesto blog, è una scelta. 
Se avete scelto di esserci non saranno questi post stanchi a farvi andare via.
 
? E poi c’è da festeggiare Le Bloggalline! Due giorni fa era il nostro primo compleanno ?
Andate a leggervi il nostro post corale!

UNA CIAMBELLA PER GALLEGGIARE.

standard 26 febbraio 2014 66 responses
Sono finite le carezze.
I sogni, le speranze.
Sono finiti gli sguardi suadenti.
Le mani intrecciate, gli abbracci.
E’ finito il tempo dei sorrisi, della gentilezza, della disponibilità.
E’ finito.
Tutto.

Ecco…a volte, immagino un mondo così.
Dove il dubbio governa anche la più limpida e pura delle acque.
Dove la rabbia scuote anche i rami più verdi.
Dove l’aggressività e l’invidia intrappolano i cuori e annebbiano anche la vista più sicura.
Ma forse questo non è il mondo che immagino, è quello reale.
Non si può fare un passo senza sentirsi giudicati.
Un Grande Fratello perenne che ti osserva. Movimenti, espressioni, sentimenti, tutto schedato.
Decisioni illuminate con un occhio di bue, non si accettano rimpianti, scuse o baratto.
Una vita senza vita, dove anche chi ti vuole un bene sincero è sempre pronto a sguainare la spada per difendere se stesso contro immaginari nemici, a cercare sintesi di malignità dove non si nasconde altro che qualche parola ingenua e priva di sotterfugi.
In questo mondo a volte mi sento aliena
Perché, pur sforzandomi, non riesco a guardare oltre le parole che mi vengono dette. Non mi immagino dietrologie o cattiverie, non costruisco battaglie inventate, non faccio castelli di sberleffi e malignità.
Posso rimanere imbambolata ad osservare la rugiada su una foglia, pensando alla magia della natura, e intanto scrivere nella mia mente parole che viaggiano insieme a delle infinite montagne russe, capovolgendo il corso del tempo.
Posso guardare in fondo agli occhi di chi ho davanti e immaginarmi mondi lievi, in cui la felicità si sorseggia la mattina insieme al latte, mescolando palpebre che sbattono e simpatici cereali che galleggiano.
Non so vivere diversamente, altrimenti mi sentirei soffocare. Questo a volte mi fa camminare da sola, perché in tanti modi questo mondo terribile si è insinuato nelle anime, anche delle persone più insospettabili. Mentre cammino i miei piedi misurano ogni passo e cercano contatto con il terreno, per avere un riferimento, per ricordarsi l’origine di tutto, per trovare un compagno fedele a cui affidarsi, se c’è.

Essere aliena a volte mi ha fatto sentire esclusa. 
Passato prossimo, remoto, recente, presente.
Ma il tempo che passa non è solo un nemico, è anche esperienza. E’ chiudere gli occhi e accumulare consapevolezza da quel piccolo momento di buio. Ho imparato a farmelo amico, il tempo che di solito combattevo, a sollecitare la sua collaborazione nelle situazioni in cui mi disperavo.
E il tempo mi ha insegnato che essere aliena non è per forza un difetto. Anche se continuerò a struggermi, a pentirmi, a sentirmi in colpa per colpe non mie, a sentirmi l’imbarazzo scivolarmi sulla schiena e sulla fronte sotto forma di piccole perle di sudore, cercherò di correggere questa sensazione di soffocamento che mi assale, quando la parte oscura di questo mondo, intriso di ipocrisia e poca vergogna, mi osserva e mi spinge verso il basso.

Ma io ho la ciambella.
Galleggio.

Erik Johansson

QUESTA STRANA DOMENICA.

standard 16 febbraio 2014 60 responses
I rumori della domenica.
Un passeggino veloce sulla strada che passa vicino al mio cancello.
L’abbaio di un cane, forse al profumo della primavera nell’aria. 
I sorrisi rilassati e stanchi, il sole che da qualche parte fa capolino.
Tutto giunge distratto e fugace dal proprio mondo assorto.
Questa strana domenica grigio vestaglia.
Dagli occhi satolli di lasagne condite, dall’eyeliner troppo marcato e i tacchi scomodi.
Questa strana domenica chiusa tra le pareti del mio giardino.
Sento strisciare tutti gli insetti tra i germogli dei fiori. Sento le zampette delle coccinelle e le ali trasparenti delle mosche.

I rumori della domenica.
Diventano suoni se qualcuno prende in mano una chitarra e si chiude con me nel giardino.
Abbiamo solo il quadrato del cielo a farci da guardiano, tutto il resto è comandato dalle tue corde.
Le corde della chitarra appena accordata, le corde della mia domenica lenta e frammentata.
Una domenica sulla corda.
Dove anche camminare è rischioso.

I rumori della domenica.
Dopo quasi un’intera settimana in prigione, ad alte temperature (febbrili). Quasi da delirio.
In questa settimana mi sono innamorata di nuovo – sempre del mio Amore -, maledetta febbre. 
Tutta colpa di San Valentino…

Innamorarsi di nuovo.
Degli stessi occhi, dei suoi occhi, nei quali ho la fortuna di riflettermi ogni giorno.

VOCE DEL VERBO SCRIVERE.

standard 7 febbraio 2014 28 responses
Io bloggo.
Tu blogg(h)i.
Egli blogga.

Coniughiamo insieme il verbo bloggare.

Bloggare o non bloggare, questo è il problema.
Il mio dubbio amletico del venerdì.
Qualcuno ha del vinavil, la pritt, un fissante, dei chiodi, un nastro morbido di raso? Esiste una formula segreta per incamerare tutte le belle paroline che ogni tanto fanno capolino nella mia testa? Se esistesse potrei anche tollerare i numeri, per una volta. Mi adeguerei alle necessità di calcolo, farei equazioni di punti e virgola e vocaboli strampalati, aggiungerei radici quadrate di emozioni e iperboli di pensieri.
Invece non posso.
Non sono dotata di lazo acchiappa-parole.
Le vedo sghignazzare, quando se ne vanno. 
Di solito capita in mezzo al traffico del mattino, in quei pochi minuti che servono per arrivare in ufficio. Una volta mi sono registrata…quando mi sono ascoltata mi sono sentita così deficiente che non l’ho più fatto. 
Allora mi dico che torneranno.
Magari sotto forme diverse, che non so riconoscere. Quasi mi ci arrabbio se non tornano nel modo che dico io.
Maledette parole, difficili parole. 
Sono sempre alla vostra ricerca, forse più di quanto ricerco il tempo.
Se trovo loro, non ho più bisogno di correre dietro alle lancette. E’ come se improvvisamente riuscissi a riequilibrare tutto.
Se le trovo mi ci sdraio dentro e le guardo dal basso.
Ci sprofondo.
E’ un amore corrisposto, il nostro.
Le accarezzo e le colgo, fiera. Le soppeso e le scelgo. Perché quando ci sono posso anche permettermi di scegliere, di aspettare, di misurare.
Quando non sono così ispirata le gratto via da ogni cosa che leggo, citazioni, scritte sui muri, titoli di giornale. Me le invento, non sono più originale, quasi mi disprezzo. Mi mangio le unghie, mi sistemo il ciuffo ripetitivamente.
Ma, appunto, non c’è nessuna formula che funzioni. Tutto rimane statico. I punti esclamativi dimenticati nello scatolone, insieme alle punteggiature immaginarie che affollano il mio cielo.
Una Via Lattea intera di pianeti fluttuanti di parole inespresse. Le mie mani sono i veri buchi neri che assorbono ciò che passa attraverso, non riescono a scrivere, si inceppano.

Edward Hopper – Automat (1927)

In realtà sono dipinta in un quadro di Hopper.

Senza parole, in una notte sconosciuta, avvolta da una solitaria luce artificiale, dentro un buco nero.

Ps: appena pubblicherò il post, le parole arriveranno tipo valanga. Lo so. Ma è venerdì, tra qualche ora sarò a casa e poi a fare la groupie per il mio chitarrista preferito.
Quelle che non scrivo oggi, saranno pronte per domani.
?