Bach. Sinfonia sulla IV corda.
Immagino Piero Angela che racconta la mia storia (che lusso sarebbe). La mia storia lunga un anno, quello più intenso e forte che si può immaginare.
Primo mese. Potrei dire primo giorno, prima ora, primo sguardo. Non c’è un momento che non valga la pena raccontare. Così come non c’è un momento che non vorresti tornare indietro. Alla libertà di scelta. All’emancipazione. A quando potevi decidere di te stessa e per te stessa. Pochi momenti per pensare, pochissimi per andare al bagno, zero di solitudine. Rigurgiti come se piovesse. Ti senti come se ti fosse passato un tir sopra tutte le ossa, gli occhi pesano, i pensieri anche. Il cesareo non lo hai ancora “smaltito” e il corpo che vedi allo specchio è nuovamente cambiato. Ti chiedi se ce la puoi fare, la risposta è si, a tratti, come le code in autostrada.
Secondo mese. Le cose sulle quali ti eri soffermata a riflettere del primo mese prendono forma, si plasmano sulla solitudine che aumenta in maniera proporzionale alla perdita dell’indipendenza. Una solitudine fatta di due individui fusi in un’unica richiesta: amore. L’amore che si riflette, si allunga come il sole che tramonta sempre più tardi, lasciando il suo residuo in ogni giornata, rendendola lunga, infinita, difficile. Il baby blues ormai è roba passata ma le lacune di cui riempi le tue giornate sono consapevolezze. Anche se non hai più paura a mettergli il pannolino e il seno non è dolorante, ogni mattina è una sfida. Sfida a te stessa, stanca, sfatta, consumata. L’amore che si riflette, si, con il fastidio. Ma, nonostante tutto, sei sempre lì. Sveglia. Reperibile.
Terzo mese. Caldo. Torrido e insopportabile. Caldo impossibile anche per te, amante del sole. Esci, ma non basta. Passeggiate a qualsiasi ora, supermercati, centri commerciali, macchina ossessivamente parcheggiata all’ombra per non friggere un figlio ancora minuscolo ma che ti fa sentire potente, indispensabile, fiera. Alcune paure sono archiviate, altre sono in agguato. Ti accorgi che non puoi soffermarti mai, tirare il fiato, essere protetta dalla sicurezza di un obiettivo raggiunto. No, non basta. E’ sempre tempo di cambiamenti per te e per EliaMirtillo.
Quarto mese. Ancora caldo. Pazienza arrivata ad una soglia mai conosciuta prima. Le notti in bianco sono innumerevoli, quelle poche ore che riesci a mettere insieme di sonno sono un traguardo degno di una ultra maratona di montagna. Però sopravvivi. Ti imponi per farlo almeno una doccia al giorno, per spazzare via pensieri, per coccolarti 5 minuti, per concederti respiro, vuoto, per abbattere il senso di colpa. Quello che ti assale subito dopo aver inveito perché non cedi al sonno, per l’ennesimo rigurgito sul divano, sul bavaglio pulito, sulla tutina nuova. Speri in una compagnia che manca, manca sempre. L’amicizia assume nuove prospettive. Vai avanti, un passetto in più. La sdraietta è un’alleata, insieme alla fascia, per qualche minuto di pace. Perché i tuoi occhi sono sempre più attivi, attenti, vispi. Perché la tua crescita è la sostanza e il compimento di ogni giorno.
Quinto mese. L’estate è quasi passata. Il mare lo hai conosciuto per un giorno, ti è piaciuto. Sei sempre più coccoloso e tornito, intanto si avvicina la data del matrimonio e con lui anche lo svezzamento. Ogni cucchiaio che passa ti rendi conto che si, c’è sempre qualcosa di cui lamentarsi. Basta saper smettere al momento giusto e riconoscere tutto il bello fatto fino a quel momento e tutto il bello che dovrà ancora arrivare. Pensi al ritorno al lavoro, al nido, progetti che devi archiviare ma altri che non vuoi mollare, nonostante il tempo sia sempre più nemico delle tue giornate. Con le pappe arriva un’altra carrellata di ansie. Impegni. Scelte. Passi da fare con calma. Tutto quello che credevi impossibile da chiedere a te stessa lo fai senza nemmeno accorgerti di farlo.
Sesto mese. Aggiungi ingredienti alle pappe. Vedi i continui progressi di tuo figlio. Hai voglia disperata di fare qualcosa per te, solo per te. Torni a correre, non ci sono alternative, è quello che vuoi fare. Vorresti anche uscire con le amiche, leggere, fare un viaggio, stare spensierata su un prato lasciando tutti fuori dalla porta. A piccoli ma costanti passi capisci cosa è meglio per te. E quello che è meglio per te è sicuramente la cosa migliore che puoi fare anche per tuo figlio. Non è presunzione è solo una deviazione che hai trovato sul cammino. Di quelle irreversibili. Non hai più voglia di chiedere, insistere, mendicare. Inizi a tirare su un po’ di muri, per proteggere la tua vita stanca, perché non cerchi compassione ma complicità, condivisione. Ci sono degli spazi che ti fanno tirare il fiato e ci sono, soprattutto, le risate del tuo bimbo.
Settimo mese. La tua voce è dolcissima. Parla di “tatatata bababababa mamamamama”, di mondi colorati e sospesi, parla di armonie, di passeggiate, di scoperte che ti fanno ammirare tutto con occhi nuovi, quelli del tuo bambino. E’ filtro magico e caleidoscopico, il tuo sguardo acceso, mai domo. E’ sempre più bella la sua dolce compagnia, quella di un bambino tranquillo e osservatore come il papa’ ma curioso e un po’ folle come la mamma…peccato per le notti. Dure, minacciose, buie. Le luci artificiali che le illuminano la stanza non sono abbastanza. Perché è così difficile? Cosa stai sbagliando? Perché? Ti riempi di domande, alternando momenti di totale disperazione con altri di speranza. Ma, al momento, non ci sono vie d’uscita. Il tuo ottimismo infinito vacilla. Le gambe tremano.
Ottavo mese. Torni a lavoro. E’ dura stare senza di lui, senza il tuo tempo libero guadagnato nelle ore dell’asilo, è dura trovare un nuovo “nuovo” inizio. Ma a quanto pare la vita di ogni essere umano, se donna soprattutto, è destinato a questo. Riadattarsi. Riplasmarsi. Mettere un punto e ripartire da zero. Essere una persona uguale ma diversa, rischiando ogni volta di non riconoscerti, perché non solo cambia l’estetica ma anche le aspettative che hai su te stessa, su tutto quello che ti sembra di fare e, invece, agli occhi degli altri, ti accorgi di non fare. Insomma…ti senti trasparente. Ma forse è meglio così. EliaMirtillo cresce, sta seduto bene, si rende conto di ciò che succede intorno, si fa amare per la sua dolcezza infinita, per la sua morbidezza cronica, per la sua pelle liscia e profumata, per quella bava così copiosa. Si fa amare perché non può essere altrimenti, ai tuoi occhi, innamorati.
Nono mese. Il primo Natale, il primo anno nuovo, il primo antibiotico, la prima febbre, tosse, bronchite, virus gastrointestinale. I primi 3 fine settimana a disperarsi perché stai male. Nono mese, sesta malattia. La prima corsa al Meyer con il cuore in gola per una febbre che non vuole scendere sotto i 40°. Poi passa. Passa e ti senti invincibile. Nonostante la stanchezza assuma delle forme di sopravvivenza mai conosciute e pensate prima, nonostante le gambe cedano ma molto più spesso cedano i nervi. Passa tutto. La regola imparata in questi mesi, vivere alla giornata, è indispensabile ora più che mai, per non pensare troppo al domani, per non illudersi ne caricarsi troppo di afflizione e ansie. Insomma…tutto regolare. Essere mamma ti sta insegnando tantissimo. Ti sta togliendo degli orpelli, ti ha reso più pratica e meno filosofica. Ti fa sorridere sulle cose che prima ti preoccupavano. E’ come se davanti a te ci fosse un grandissimo casellario e tutte le priorità si fossero scombinate e avessero lasciato libere tante caselle sparse. L’abilità di riposizionarle, piano piano, è sempre più immediata.
Ah. Si sono fatti avanti i primi due dentini.
Decimo mese. Dopo mesi di preoccupante stabilità, finalmente gattoni. E come ogni volta ti trovi a “maledire” il momento in cui hai desiderato che scoprisse nuovi mondi, come sempre ti è successo in questi mesi. Perché essere madri è un percorso a tappe, dove conosci ciò che hai appena passato, per il quale hai conquistato la maglia gialla, quella rosa e quella del gran premio della montagna. Ma le tappe che verranno le aspetti con ansia e inquietudine, curiosità e fibrillazione, sperando in evoluzioni che quando arrivano non sai ancora come affrontare. Gestire le potenzialità di un piccolo essere che, piano piano, si sta staccando da te, potenzialità che non sono “tue” ma appartengono ad un “altro” che comunque fa affidamento completamente su di te. Insomma, un gran casino. Il bello del gioco è tutto qui, nel farsi confondere da tutto questo casino, rimanendo sempre con il sorriso sulle labbra. E come si fa a non esserlo, con lui accanto?
Undicesimo mese. Il tempo passa così velocemente, complici le settimane lavorative intense, che non hai nemmeno tempo di pensare a quello che sta per arrivare. Il suo primo compleanno (tadadadaaaaaaan). Non sai se vorrai festeggiare, sei confusa, ti senti in una specie di baraonda che ti fa rimbombare le orecchie. In fondo è una festa più per te che per lui, inconsapevole attore protagonista di questi 366 giorni intensi e, talvolta, complicati. Ma piano piano intravedi un barlume di vita, le notti cominciano ad essere meno pesanti e, dopo tanti tentativi, sacrifici inutili, forse hai trovato la strada giusta per la sopravvivenza: niente tetta la notte e via, in camera da solo, come i bimbi grandi. Improvvisamente ti chiedi perché non lo hai fatto prima. Perché forse per tutte le cose esiste un momento giusto? Perché è arrivato quel momento. In cui sei consapevole che ce la puoi fare da solo, quasi fino a sentirti ricco e straripante d’amore. Il momento in cui la fortuna e l’amore pieno vanno di pari passo, camminando in sincronia. In cui non hai bisogno di abbracci rassicuranti di continuo ma solo a giorni alterni. Il momento in cui senti di dover lasciar in pace tutti, dai tuoi tormenti, perché essere mamma agli occhi degli altri è di una noia incredibile. Invece agli occhi tuoi sta prendendo una forma quasi divertente, alla quale non potevi credere fino a qualche tempo fa. Essere mamma è un percorso, come lo è la felicità. All’inizio ti sembra impossibile, un tunnel afoso e soffocante, senza uscite. Poi diventa difficile, un ginepraio di rovi ma forse districabili. Poi diventa fattibile, pieno di ansie e graffi, ma quei rovi si trasformano piano piano in foglie verdi lucide, nuove. Poi diventa reale. Consapevole. Giusto. Bello come devono essere le cose belle. Quasi inspiegabilmente ti piace anche quella “solitudine a due” che prima ti chiudeva a doppia mandata la gola.
Dodicesimo mese. Ci siamo. Aprile è qui. Il 15 aprile saranno terminati i 12 mesi dalla sua (e tua) nascita. Compirà un anno. Quel cosetto lì, insignificante ma indelebile, con quelle gambette corte e ciccione, con le mani tornite e gli occhi marroni scuri, quel panzone lì compirà un anno. Quello che ti ha fatto penare di notte e gioire di giorno, quello che ti butta le braccia al collo ogni volta che ti vede, facendoti spappolare il cuore di gioia, quello che tu amerai, incondizionatamente ogni istante ma che all’inizio non sapevi come fare, e ti sei chiesta tante volte se quella fosse stata la cosa giusta. E ora invece ti chiedi se farla di nuovo, sta cosa. Perché nel tempo ti sei data delle risposte, il tempo come sempre ha aiutato a dipanare anche queste matasse strane e sconosciute. La sensazione è bella, ora. Respiri a pieno la primavera, le belle giornate, i suoi sorrisi sull’altalena, ti prendi tutto il meglio e se non hai occasione di farlo ti manca, perché è fiorita e profumata, questa primavera. E’ ricca di sole, di margini di miglioramento, è morbida al tatto come l’erba del prato di casa tua. Quella dove lo hai seduto per fargli assaggiare le prime margherite, lasciandolo per un attimo fuori dall’eterno controllo che vorresti, per lui.
Passo dopo Passo…
La sinfonia è finita. Per un attimo ti senti persa, senza musica. Ti guardi intorno, le mura della vostra piccola casa vi proteggono. Sono piene di colori, così come vorresti fossero sempre le sue giornate, senza preoccupazioni, paure, dolori. Non è il tempo di pensare a questo, è tempo di festeggiare. Di stare insieme, condividere, spegnere la prima candelina.
E mentre la lucina fluttuante si spegne, spengo pensieri e parole e corro da te.