MANGIAFUOCO & LABIRINTI.

standard 16 giugno 2014 20 responses
N O N  C E  L A  F A C C I O  P I U’

Mi sembra di avere un’esplosione nucleare nello stomaco da tenere a bada.
Hai voglia a sospirare, respirare, trattenere il fiato, cercare di non affogare. Comunque non serve.
Quando il “malessere” arriva da qualcosa di esterno ed incontrollabile tu puoi solo tamponare come sai, ma spesso non basta, soprattutto quando la stoffa è logora, i buchi sono troppi e sei vulnerabile. Soprattutto quando la linea tra il sorriso e il vaffanculo è completamente erosa da settimane di falsa cortesia.
E dunque non ce la faccio più.
Vedo le stagioni passare, mi domando dove io abbia messo tutto l’entusiasmo, la competenza, le voglie e l’intensità. Mi rispondo che il Mangiafuoco che ho intorno, per ora, si è assorbito tutto.

D’altra parte i Mangiafuoco sono grossi, hanno una barbona nera e fluttuante, tanti capelli che sembrano una criniera, sono aggressivi, ingiusti, poco corretti e non coerenti, non prendono mai nessuna decisione per fare in modo che la colpa, alla fine, ricada su di te.
Sono perfidi, illegali, indifferenti. Agiscono platealmente con arroganza e, tronfi del loro potere, travolgono tutti sotto le loro scarpe firmate (ma inguardabili) che calzano ai piedi.
Sono famosi ma ratti infami che si aggirano nelle fogne, cercando errori e sotterfugi uguali ai loro. E il brutto è che non si sentiranno mai sporchi, mai paghi delle loro spregevoli situazioni luride, certi che la faranno franca, ancora una volta, anche dalla loro coscienza. Una fuga costante insomma. 
Una vita inaccettabile per me. Un modo insulso di abitare questo mondo. In queste persone non c’è dignità, non c’è riconoscenza, non c’è nessun tipo di cuore, di mente, di volontà, di positività, di ammirazione. Sono esseri vuoti, che si rendono Mangiafuoco per ingannarci, per sottrarci alla nostra vita semplice ma solida, sono invidiosi e ricchi della loro inutile furbizia, moneta il cui utilizzo rende pieno solo il portafoglio di chi non ne capisce la miseria.
Sono costantemente dubbiosi, perché sono i primi ingannatori.
Sono sempre con un piede in due scarpe, per avere la soluzione ad ogni eventuale inghippo.
Sono scaltri, ma senza nessun vantaggio se non quello di accaparrarsi altro nulla, altro vuoto, altre soddisfazioni folli e futili.
Mi vengono in mente i film che amavo da ragazzina, dove c’era un nemico da combattere, un male oscuro e distruttivo de La Storia Infinita, oppure una banda di delinquenti senza coraggio de I Goonies. Oppure i film che amo adesso, i libri un po’ visionari di Murakami, i fantasy di Tolkien. I protagonisti sono sempre dei soldati contro il male. Sia che il male sia una bella ragazza riluttante o un intero esercito di orchi sanguinari. Ecco…io pensavo che fossero solo storie da film, da libro, da storia da raccontare vicino al camino. Invece sono sempre più storie dei giorni nostri, della quotidianità, delle nostre vite così congestionate che ci fanno perdere, evidentemente, il lume della ragione.

Quello che posso fare, per me, per chi amo, per chi mi ama, è prendermi cura del mio piccolo orticello. Nutrirlo, amarlo a mia volta, vederlo crescere, osservarlo, proteggerlo.
Queste sono le uniche cose che posso fare. 
Ma diventa difficile percorrere queste strade, diventano intricati labirinti di sospiri e parole non dette. Ogni mattina se ne aggiunge una, mentre si sposta il lenzuolo per alzarsi dal letto. Ogni mattina stento a riconoscermi.
E per quanto si creda che l’amore sia una delle armi valide per sconfiggere l’ingiustizia ormai…non ci credo più. Sono tutti finti baluardi da issare sulle proprie navi. Io tengo la vela ammainata e viaggio a vista, godendo ogni dettaglio e lasciando andare tutto questo mondo fatto di Mangiafuoco che mi ostino a non voler credere siano parte della mia stessa specie.
Quella (dis)umana.

“Tanto tempo fa, nel regno sotterraneo, dove la bugia, il dolore, non hanno significato, viveva una principessa che sognava il mondo degli umani. Sognava il cielo azzurro, la brezza lieve e la lucentezza del sole. Un giorno, traendo in inganno i suoi guardiani, fuggì. Ma appena fuori, i raggi del sole la accecarono, cancellando così la sua memoria. La principessa dimenticò chi fosse e da dove provenisse. Il suo corpo patì il freddo, la malattia, il dolore, e dopo qualche anno morì. Nonostante tutto, il Re fu certo che l’anima della principessa avrebbe, un giorno, fatto ritorno, magari in un altro corpo, in un altro luogo, in un altro tempo. L’avrebbe aspettata, fino al suo ultimo respiro. Fino a che il mondo non avesse smesso di girare.”

Il Labirinto del Fauno 

Il Labirinto del Fauno – film di Guillermo del Toro (2006)

IL RUMORE DELLA PIOGGIA.

standard 4 giugno 2014 48 responses
Ho sentito il rumore della pioggia sulla macchina dall’inizio alla fine del mio viaggio.
Ho pensato a queste parole per quei minuti interminabili di pioggia.
In cui non sentivo altro che il caldo del volante sulle mie mani, il fresco del vetro umido e appannato, in cui non vedevo altro che i fari, gallerie, nebbia. Nessun altro paesaggio se non la strada di fronte a me.

Nessun’altra follia o tradimento, solo io e la pioggia.
Nessuna bugia o corse impazzite, solo il mio respiro calmo…e la pioggia.

E la mia mente rielabora progetti, salti di qualità, estensioni temporali per rendere tutto fattibile.
Curva dopo curva.
Mano dopo mano.
Scambio, sguardo, attenzione, biberon di latte finto, sensazioni familiari. Abbracci. Amore allo stato puro, gioia, resistenza (alle lacrime), strade strade e ancora strade. Svolte, scelte, incroci, semafori, caselli autostradali, prezzi della benzina.
Tutto cambia, tutto si modifica, tutto si dimentica, tutto prende la propria direzione.

Io prendo le tue piccole mani paffute.
Prendo i tuoi riccioli.
I tuoi sorrisi di denti mancanti, i tuoi invece ancora inconsapevoli.
Prendo voi, mia droga d’amore, metà dolcezza, metà soffice candore.
E farei ancora tanti chilometri, come un innamorato per la sua principessa, che lo aspetta al tramonto alla finestra socchiusa.
Pagine e pagine di favole, dinosauri, strani giochi dell’oca.
Pagine che vorrei io scrivere con voi, tutti insieme, tutti i giorni.

La vita è come un domino al contrario.
Se pensi a ciò che più ami non smetteresti mai di ringraziare chi ha dato forma a tutto questo, tornando passo passo indietro fino ai tuoi antenati più lontani e nascosti.
La vita è un albero. Una spiaggia deserta. E’ ricca di speranza e di presenze.
Le mie sorelle sono i rami più belli, le presenze più intense, i sorrisi tiepidi e le esplosioni di affetto, i pianti, i morsi, i ricordi e la sicurezza del mio futuro.
Sono fortunata perché nell’umiltà della mia vita posso vantarmi della ricchezza più grande.
Avere loro. Essere con loro. Senza simbiosi ossessive o ingegni particolari. Così come siamo, un NOI che non svanirà mai.

Risalgo le caselline del mio domino e concludo il mio percorso.
Questo post è stato un delirio, un travaglio, una sanguisuga attaccata al collo che mi succhiava via le parole ogni volta che mi ci mettevo davanti.
Ebbene, è nato. E’ nato un post d’amore e casualità. 
E questo vi lascio, in balia di un raggio di sole.


Io con le mie sorelle e i miei nipoti ?


L’IMPERO DEL BUIO.

standard 23 maggio 2014 28 responses
Ci sono dei momenti in cui non ti bastano i sogni e le poesie, non ti bastano i sorrisi e l’ottimismo, le carezze, le corse, le storie felici.
In questi momenti vorrei scrivere una storia nera.
Dalle pareti oscure e i risvolti tristi.
Che si pieghi come la bocca con gli angoli in giù, una storia flessibile e passionale, senza lieto fine, che si illumini solo di luna calante.
La storia di un’insufficienza di sguardi, di sensazioni, di battiti. Di mancanza e di stordimento, di confusione e sospiri, di ansia avida e affamata, di coperte sbattute dalla finestra, per far volare la polvere.
Riavvolgo il nastro ma la storia è sempre la solita.
Cambio prospettiva, voce narrante, sguardo e angolazione. La linea nera mi stringe le caviglie e mi trascina nel suo vortice.

L’impero della luce – René Magritte


Faccio foto ai miei pensieri ma vedo solo buio.
E al buio è difficile prendere una strada piuttosto che un’altra e allora…temporeggio. Aspetto. Aspetto che passi questo nulla che sta inghiottendo tante sicurezze e cerco di starmene ferma, seduta e accoccolata, per non perdere almeno me stessa. In questa attesa rimetto in discussione tante cose, senza darmi tregua.
Magari nel mentre che perdo la fiducia in tutto la ritrovo in me stessa.
Magari.

Capita. Dice che alle persone come me, ingenue, illuse, sognatrici, dice che capita. Capita che ad un certo punto ti risvegli e quello che vedi non ti piace e non dipende in alcun modo da te.
Capire di non potersi fidare di quello che si ha intorno è forse una delle più brutte esperienze che mi siano mai accadute, nella mia intensa vita da babbea. Perché un po’ mi ci sento, si, stupida. E puntualmente ci ricasco. 
Mamma mi aveva insegnato ad essere spontanea, a credere negli altri, a vedere il buono. non so se si può insegnare ad essere ingenui, ma lei lo aveva fatto. Zero malignità quindi zero conseguenze negative. Invece non è così, mamma. Le persone sono negative. Cattive. Maligne. A volte non lo sanno nemmeno loro di esserlo, però alla fine io subisco. Non come vittima, ma come fantoccio inconsapevole. 
E quindi niente. Ecco che capita che ti risvegli in un mondo che non riconosci e non ti piace affatto.
Allora me ne sto zitta e guardinga, per imparare a conoscere questi nuovi limiti appena scoperti, questa libertà finta che abbiamo di comunicare i nostri pensieri, che poi verranno in qualche modo rielaborati e rivisti, con lunghi strascichi di rancore e cose non dette. 
Io non sarò mai così. Ma ho smesso di essere quella bambina con il dito appoggiato sulla bocca, pronta ad indicare il fiore più colorato.
Non voglio conferme, non voglio compassione, non voglio finti spasimanti.

Vorrei solo evitare pungermi con spine invisibili.

FUORI STAGIONE.

standard 12 maggio 2014 32 responses
Cerco le mie storie tra le curve dei piccoli sassi sulla spiaggia.
Mentre cammino li vedo luccicare, bagnati dall’acqua.
Il mare è fresco e sa di primavera. Rubo i suoi sassi ma loro brillano solo al mare.
Spostati dalle onde
Levigati dal sale
Dimenticati dal vento
Arroventati dal sole
Aspettano.
Aspettano che io li raccolga, che io racconti anche la loro, di storia.
Questa forma rotonda ha un certo peso tra le mie mani. E io dimentico tutto. Dimentico il tempo, i perché, tutto ciò che è accessorio, a parte respirare.
Dimentico la punteggiatura
Le forme
Lo spazio circostante
Ho bisogno di ritrovare anche il mio nome tra i granelli di sabbia.
Mi perdo così facilmente in questa vita “da elastico” che a volte non ricordo nemmeno il mio nome. Per necessità si fanno così tante cose che non ci piacciono che ad un certo punto non ci si ricorda nemmeno cosa ci piace veramente. 
E così mi dimentico tutto quello che non serve. E tengo solo il sasso tra le mani. E le uniche forze si concentrano per averlo lì, come unico intenso peso dei miei essenziali e selezionati pensieri.
Trovo le parole con fatica, cerco quelle giuste in quelle degli altri. In poeti a me sconosciuti, che lasciano il segno a prima vista. 
In artisti rinomati che mi caricano di energia e ritrovano tutto quello che perdo.
Sono questo le mie ultime due settimane. 
Un susseguirsi di parole nascoste e ritrovate, una catena di conseguenze legate da lontane motivazioni e coincidenze, un susseguirsi di bisogni sedati e desideri svelati.
Una ricerca soddisfatta nonostante la fatica quotidiana, immersa in un insoddisfacente montagna di ore in cui porto avanti tutto quello che devo, anche se dentro di me ho il tumulto. 
Poi sabato sono andata a Roma e, dopo tanto tempo, ho fatto qualcosa che veramente mi mancava: mi sono data del tempo.
Passeggiando nel caos dei turisti, nella polvere del Foro Palatino, percorrendo le distanze e le salite con i piedi che mi bruciavano, guardando l’intenso sguardo di Frida Kahlo nelle fotografie che la ritraevano e nei suoi autoritratti ricchi di simbologia…ho capito dove devo andare e anche che, in fondo, non è tutto da buttare.

Si sbagliò la colomba.

Si sbagliava.
Per andare al nord fuggì al sud.
Credette che il grano fosse acqua.
Si sbagliava.
Credette che il mare fosse il cielo;
e la notte, la mattina.
Si sbagliava.
Credette che le stelle fossero rugiada;
e il calore neve.
Si sbagliava.
Credette che la tua gonna fosse la tua blusa
e il tuo cuore la sua casa.
Si sbagliava.
(Lei si addormentò sulla spiaggia.
Tu, sulla cima di un ramo)
                                                   Rafael Alberti
Il mare, fuori stagione.

“Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev’essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso modo in cui mi sento io.” – Frida Kahlo

 À bientôt amici!

VOA VOA!

standard 28 aprile 2014 11 responses
Ci arrabbiamo.

Non ho trovato posto alla macchina, non ho abbastanza soldi, non sono soddisfatta del lavoro, il supermercato è chiuso e mi mancano le uova e stasera volevo proprio la frittata, il dolce si è bruciato, non ho l’autografo del mio mito, la mia squadra ha perso e l’arbitro è cornuto.

Ci arrabbiamo, sprechiamo energie, fantasia e amore.

Diventiamo polemici per poco, fomentiamo focolai già spenti, non so se per arrostire la nostra vita o per farci osservare dagli altri, come tanti Etna in eruzione.
Io sono così.
Scrivo, parlo, piango, distruggo e ricompongo senza tregua.
Poi ci sono dei giorni dove non mi basta pensare di essere fortunata, lo devo toccare con mano, per esserne ancora più convinta.
E allora ti capita l’occasione, perché il mondo è piccolo e Firenze ancora di più e tutti conosciamo tutti, per qualche motivo insolito. Sicuramente avrete letto della piccola Sofia, della vicenda di Stamina, delle cure compassionevoli, delle malattie rare e terribili che affliggono lei e tanti altri bambini. 
Sofia vive con i suoi (meravigliosi) genitori sulle colline intorno Firenze, forse sarebbe meglio dire che sopravvive. Ho sentito parlare loro e altri genitori, li ho visti sorridere, accarezzare volti, asciugare lacrime. Ho provato a mettere da parte la sensazione di impotenza e mettermi in gioco, sentirmi partecipe, in qualche modo, almeno diffondendo la loro voce nel mio piccolo mondo. 
Non ci sono cure per molti bambini che si ammalano di malattie rare.
Non ci sono medicinali che possono essere somministrati.

Non ci sono molte cose, ma soprattutto c’è molta IGNORANZA. 

Dove si conosce poco non solo si continua a non voler conoscere, perché dopo aver saputo non si possono chiudere gli occhi, ma c’è anche tanta indifferenza, volontà di non sapere.
Le malattie rare non sono solo quelle con i nomi impronunciabili. Sono anche i tumori, per i bambini. Ecco, io questa cosa non la sapevo. Non sapevo che chi si ammala in tenera età viene curato con gli stessi farmaci di chi si ammala in età adulta. Non sapevo che le famiglie vengono spesso abbandonate a se stesse, con la scusa che di quegli ammalati ce ne sono troppo pochi e non c’è alcun interesse nell’approfondimento.
Non voglio più essere ignorante, non per loro. E se materialmente non posso fare ciò che vorrei, almeno voglio smettere di lamentarmi, di arrabbiarmi, di impiegare così male il mio tempo.
E’ tutto così prezioso.
Lo capisci guardando i volti di quei genitori che lottano contro dei mulini a vento, la disinformazione, l’indifferenza, le case farmaceutiche, lo capisci perché la loro vita è dedicata esclusivamente alla speranza di placare delle sofferenze certe e una diagnosi indecifrabile.
E’ prezioso il loro movimento, il loro lavoro, perché aiuta anche quei genitori che non hanno la capacità di farsi forza e trovare la voce, nella disperazione, di chiedere aiuto.
Venerdì scorso mi sono risvegliata dalla mia trance di incoscienza e per qualche ora ho respirato la gioia pura che ti può regalare solo chi veramente sa cosa è l’essenza della vita.
Tutti possiamo fare qualcosa. 
Anche solo parlandone con il vicino di ombrellone, anche solo mettendo da parte l’impazienza quotidiana che ti fa essere frettoloso davanti ad un semaforo rosso.
Tutti possiamo aiutare Sofia e i bambini affetti da malattie rare. 



Voa Voa! è l’associazione a cui darò il mio 5 x mille. Non basta dite? 

Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano,

ma se non lo facessimo l’oceano
 avrebbe una goccia in meno. 
Madre Teresa di Calcutta

ROUTINE D’AMORE.

standard 23 aprile 2014 21 responses
I piedi scostano la coperta, fino a spingerla in fondo al divano, dove altri residui bellici delle feste appena passate erano stati lasciati.
Non così lontani da essere dimenticati, non così vicini da essere spostati.
Era come se tutto fosse fermo, in attesa di un evento travolgente e inesorabile, una ventata, un trambusto, un improvviso crepitio che avrebbe cambiato le cose.
Fermo forse no, ma lento e stanco, come il cucchiaino abbandonato nella tazza, dove la tisana rilassante ha lasciato una traccia colorata. Stanco come il fiore appisolato nel piccolo vaso, con poca acqua stantia. Il tempo stanco del recupero delle forze, quando la domenica ti abbandona, lasciando spazio ai pensieri, ai doveri, ai meccanismi conosciuti del lunedì. E di tutti gli altri giorni della settimana.
In fondo sono cose a cui teniamo, anche se facciamo finta di esserne stanchi. La routine. Perché se anche solo per un giorno ce la porta via la febbre o un po’ di traffico in più, quasi ci sentiamo abbandonati. E’ nella natura umana rendere interessante ciò che è antipatico. E’ nella natura umana lamentarsi continuamente di ciò che si ha per poi lamentarsene se non lo abbiamo più.

Le mani si intrecciano tra di loro, cercando contatto. La punta delle dita è sempre fredda, sempre troppo fredda, corre a riscaldarsi sotto la maglietta, dove c’è pelle, quella sua, quella calda e confortante.
Tutti questi strumenti di oblio – coperte, mani, divano, piedi – parlano dell’ozio distorto e necessario, a volte si, necessario. Come quando aggiungi l’olio sulla fetta di pane e pomodoro. E poi un po’ di sale. Ogni strumento aggiunge sapore ed è come uno strumento del piacere, che spinge oltre tutti i sensi coinvolti. Ho bisogno di te. Mano, piede, sospiro.
Toccami con la noia e l’abitudine di ogni giorno. Lasciami inerme come quella coperta arrotolata. Sul cuscino i miei capelli perdono la forma e ne trovano un’altra.
Raccolgo il tuo respiro e cerco di abbracciarmi stretta a te, che sei il mio unico amore. 
E anche se non celebro quei giorni simbolici, dietro alla mia immagine riflessa ci sei sempre te.
Sei lì e non ti muovi.
Mi proteggi e io ti chiedo di proteggermi di più.
Mi dimostri e io ti chiedo di farlo in un modo che io possa comprendere.
Mi segui, annuisci alle mie scelte, condividi le mie follie e le mie assurde paranoie.
Sali e scendi sulle montagne russe senza avere nausee o ripensamenti.

I tuoi occhi brillano come i mari tropicali più trasparenti del mondo.

La routine ci accompagna, io e te sulla stessa piccola barchetta, giù per le rapide del fiume. Nell’ansa che raccoglie la calma di un momento rilasso il mio sguardo e ti vedo, così come tu vedi me. E forse hai ragione. Queste maledette “rapide” ogni tanto mi confondono, ma devo ritrovarmi e soprattutto non perdere te. Tu non mi perdi  mai. Ma come fai? Come dici? E’ il rumore dell’acqua scrosciante che copre la tua voce, devo concentrarmi per sentirti di nuovo…Dici che basta vedere dove si mettono i piedi, insieme, per non perdersi? Dici che non per forza dobbiamo voler fare le cose allo stesso modo? 
E se poi mi sento soffocare dalle ansie? Troveremo una soluzione anche a questo.
Insieme.
Sempre.
Per attraversare in barca ogni tempesta.

Io e Te ? E il nostro primo anno insieme. Grazie Amore, TI AMO!

DOUBLE DREAM, ONE LIFE.

standard 16 aprile 2014 22 responses
Vi capita di ricordare i sogni che fate?
Di appuntarli e riuscire a non farli essere delle parole vuote e senza corpo?
A me capita di ricordare alcuni sogni, ma rimangono lì, in quello spazio senza colori e senza voce del mattino, quando aprendo gli occhi l’unica cosa che capisco è il bacio del mio principe che scappa a lavoro, ma senza cavallo bianco.
E poi ci sono i sogni doppi, i sogni dentro i sogni, quelli che ti svegli ma in realtà stai ancora sognando. Che cammini, parli, alzi la testa dal cuscino, fai domande e mandi messaggi con il cellulare…mentre dormi.
Allora mi sveglio, stavolta davvero, e cerco il significato. 
Se dovessi credere a tutte le cose che mi dicono le interpretazioni dei miei sogni sarei:

1. Pazza (che un po’ è anche vero).
2. Psicologicamente instabile.
3. Insoddisfatta totalmente dalla vita.
4. Soddisfatta pienamente dalla vita.
5. Sola.
6. Innamorata e corrisposta.
7. Abbandonata da tutti.
8. Sull’orlo di un precipizio.
9. Sorridente ma non troppo…

…e potrei continuare con un lungo elenco. La mia incoscienza ha dei seri problemi di personalità, a quanto sembra. Si confonde con tutte le cose che penso ogni giorno e tira le somme, buttandomi ogni notte in storie diverse che, però, non sono capace di scrivere, ne’ di tradurre correttamente come vorrei.
Ho smesso anche di provarci, non ne vale la pena. 
E così faccio di solito quando mi rendo conto che non sono in grado. La consapevolezza è una cosa fondamentale per me. Perché tutto questo rincorrersi di sogni, di vita, di realtà, di pensieri forse è sintomo di una frenesia che ho sempre avuto dentro, che si è riflessa nelle mie attività, nel mio carattere, nel mio modo di non essere mai stanca e mai troppo impegnata per poter aggiungere qualcos’altro e qualcosa ancora.
E allora vi svelo un segreto…non ci sono ancora arrivata a perdonarmi per non (voler) riuscire a infilarci tutto, nelle mie giornate, però sto cercando veramente di volare alto per capire cosa risalta di più, in quel marasma di cose/occhi/persone/profumi/idee.
Non so se funziona, con una come me, questa formula delle priorità, però non mi piace essere statica, non mi piace dire a me stessa che ciao ragazzi, io sono arrivata e oltre lì non posso andare. 
Mi metto alla prova. Sperimento. Testo, impasto, intruglio. Non uso formule o manuali, solo la mia spontaneità.
Questo mi piace, mi rende felice. 

Venghino siore e siori, non c’è trucco, non c’è inganno, non c’è macchinazione.

Tutto quello che posso fare è mettermi NUDA di fronte a voi con il mio atto di spontaneità. Come fosse un proclama da affiggere in piazza io scrivo qui ogni mia sensazione al riguardo.
Mi perdoneranno tutti coloro che si sentono trascurati, non coinvolti, erroneamente scavalcati…sto solo cercando di fare una giusta selezione, prima o poi si deve anche imparare a scegliere. 
E poi magari mi tufferò di nuovo nella mischia…

…chissà.

Con affetto e disattenzione, 
la vostra Berry

Douane Hanson – Flea Market Lady (1990)
Guardate bene…non è una foto, è un’opera scultorea composta, corrente artistica dell’iperrealismo. Fantastica.



Ps: Non vi crucciate se non ci avete capito niente in questo post. Nemmeno io capisco cosa scrivo a volte. E’ il mio modo goffamente poetico per scusarmi dell’assenza, del turbinio di parole e dei silenzi, di come non riesco ad essere presente su tutti i fronti come e quanto vorrei…la mia vita da un anno a questa parte si è arricchita di una presenza, l’uomo dagli occhi di ghiaccio, per la quale non mi pesa prendere le distanze da un bel po’ di cose che prima (senza rendermi conto) erano diventate parte della mia vita più per bisogno di racimolare presenze e impegni che altro. Poi ci sono anche dettagli (e soprattutto PERSONE) che non vorrei perdermi ma sono certa che non sarà una vera e propria perdita, ma solo uno stop, una pausa necessaria per prendere fiato. Mamma mi ha sempre detto che fin da piccola ero un vulcano di energia, che mai voleva “negare” la propria partecipazione o presenza, ammettendo di aver scelto altro, di non essere stata capace di farcela. 
Ora invece ce la faccio, posso dire di NO.
Ma il mio NO è una carezza, un dito sulla bocca per non parlare, per farlo al meglio quando, anche io, avrò costruito la mia vita.
Forse è proprio così che si capisce che si è trovato l’Amore.
Dove dico NO posso dire tantissimi … SI!
Vi bacio a tutti!

UNA VALIGIA DI PAROLE.

standard 7 aprile 2014 46 responses
Quando ci sono troppe cose da raccontare, l’unica cosa da fare è trovare il filo del gomitolo e cominciare da lì. Dalla fine, quando si è arrotolato tutto, tipo quando mangi gli spaghetti e la forchetta con affanno ha percorso tutto il piatto per lasciarlo sgombero.
E’ stato intenso, indubbiamente. Pieno, ricco, fitto, zeppo, soffocante quasi.
E’ stato colorato, diverso, insolito, emozionante, mitico.
E’ stato come entrare in una leggenda epica, esserne risucchiati e poi uscirne, senza nemmeno troppi effetti collaterali, a parte il fuso orario.
Amo viaggiare, respirare mondi opposti e imparagonabili tra loro.
Amo viaggiare ma non sopporto stare così lontana, kilometricamente parlando, da casa mia, soprattutto se con la parola viaggio si associa la parola lavoro.
Dieci giorni che a raccontarli mi ci vorrebbe un mese, per tutto quello che ho visto, provato, assaggiato, passeggiato, incrociato, scrutato, sudato, fotografato.

Ho visto Johnny Depp che abbracciava Wonder Woman, impronte famose e set cinematografici, Beverly Hills e Mulholland Drive, ho visto ville lussuose e grattaceli dalla forma strana, architetture da enciclopedia e musei (correndo) nei quali avrei potuto passare una vita.
Ho visto panorami mozzafiato, dall’Oceano Pacifico alle colline verdi di Hollywood, senza alcuna interferenza, se non il vento forte che confondeva idee e capelli. Mi ci sono bagnata i piedi, nell’Oceano, la mattina presto. L’acqua era fredda e arrabbiata.
Ho visto le Montagne Rocciose, la neve da Zurigo a Denver, ho viaggiato e perso aerei, coincidenze, momenti, ricordi. Ho respirato la marijuana libera del Colorado e il fumo che esce dai tombini, mangiato panini e french fries, assorbito e osservato tutto, visibile e invisibile. 
Ho fatto la pipì nell’hotel di Pretty Woman, toccato le nuvole morbide della California e i suoi pungenti cactus, mi sono seduta accanto a Forrest Gump e messo un piede one mile above the sea level (a proposito…sapete cosa vuol dire stare una settimana a 1600 mt di altezza? Pelle secca, aria rarefatta, mal di testa, sangue dal naso tutti i santi giorni…quando dico che preferisco il mare!).
Ho camminato tanto, consumando scarpe e distanze, che di certo non sono brevi. Ho riempito e disfatto valigie, perso la testa e parecchie lacrime, scordato di comprare regali e fatto acquisti inutili ma essenziali. Ho visto artisti di strada, barboni che suonano il pianoforte, poetesse improvvisate parlare solitarie sotto una palma scossa dal vento, parecchi palloncini e parecchie altre cose che avrei voluto vivere per mano al mio amore.

Gli Stati Uniti non sono un posto facile, per chi come me ama la storia, le radici. Sono uno stato così nuovo e che si rinnova con una tale facilità da rendere tutto ciò cui siamo abituati quasi ridicolo. Lì la storia è fatta dalla Coca Cola, dai boulevard alberati visti in qualche film, dall’integrazione razziale evidente, dal sentimento comune di tolleranza.
Non si può far altro che aprire la mente, una volta arrivati. Ci sono troppe cose da immagazzinare, ma l’inesperienza della gioventù del paese diventa il suo primo pregio: niente è storia, niente è da ricordare per sempre, tutto si può modificare, organizzare, armonizzare. Tutto diventa plasmabile, niente è statico.
Non ci sono radici, non ci sono legami.
Questa medaglia ha anche il lato opposto, quello dei lunghi risvolti negativi, delle obiezioni che si possono fare ad ogni virgola. Io stessa ne ho a bizzeffe di critiche, sugli States…ma non oggi.
Perché ora ho solo voglia di sorridere, perché sono tornata.
Sono sopravvissuta a infinite ore di volo, scomodissime ed infinite. 
Perché questa esperienza mi ha fatto bene, per quanto sia stata impegnativa e, indubbiamente, non ho il fisico per tutto questo impegno
Perché guardare un altro mondo e poi tornare a guardare il proprio regala delle sfumature che prima non c’erano, si nascondevano nella quotidianità, nell’abitudine, nell’ovvio.

E’ bello viaggiare.
E’ bello tornare.
Perché è bello sapere che ci sono, che ci siete. Come quando cammini al buio e dopo qualche passo sai che c’è il letto.
Le ginocchia si appoggiano sul materasso e non c’è pericolo di cadere.
Los Angeles & Denver – 10 giorni in 16 foto

Ti voglio bene Denver!

standard 26 marzo 2014 17 responses

Impossibile sfatare certi miti. Se diventano tali ci sarà un motivo.
In America i neri sono grossi, grandi alti, con dei sorrisi proporzionalmente enormi.
Ci sono tanti fast food che ci pienano occhi e stomaco molto fast.
Le macchine sono infinitamente e inutilmente grandi.
In America tutti hanno caldo. Infradito e short a 1600mt, con pochi gradi sopra lo zero, come se piovessero.
E non solo. Si vestono al buio.
Sembra di essere in un film. Come dire il contrario? Grattacieli ultra moderni e piccole case in legno, contrapposizioni che raccontano un paese molto diverso dal nostro.
È tutto strano e tutto possibile.
Barboni al McDonald’s,  fumo dai tombini, artisti di strada che improvvisano concerti.

Di certo, in America, non ti senti diverso. Forse è il retaggio lasciato dai molti anni di apartheid, di schiavismo…ma sembra che nessuno sia interessato a giudicarti per la tua apparenza…mi sono spiegata, no? Anche se in Italia sono le 6 di mattina e qui le 23 la stanchezza si fa sentire e sopratutto l’uso del tablet!!!!

E se ogni viaggio serve a qualcosa, alla fine di questi giorni di intenso lavoro dall’altra parte del mondo, vi faro sapere cosa ha portato a me.

Un bacio a tutti da Denver, Colorado,  e uno speciale al mio Amore.

ASPETTAMI, TORNO SUBITO.

standard 19 marzo 2014 19 responses
Adoro il mercoledì.
Soprattutto la sera, è la sera in cui si corre. Torno a casa sfinita ma appagata, mi aggiro sola nelle stanze cercando di capire se la voglia di cenare è più forte della voglia di non fare niente.
Oggi è un mercoledì da pagina bianca, da voglia di scrivere, da affollamento di idee e parole, che mi costringe a sedermi con il portatile in mano, iniziando da qui senza conoscere la fine…e il percorso.
Sono giorni concitati, come succede sempre prima di ogni viaggio…dopo due anni torno negli Stati Uniti, con tutt’altro sentimenti rispetto alla volta scorsa. Oltre alla solita paura di volare, parto lasciando il mio cuore qui e così questi dieci giorni mi sembrano un’eternità…ma in qualche modo passeranno, devo solo smetterla di concentrarmi sul tempo.
E corro quindi, corro via dalle mie ansie, dai brutti pensieri, verso il tramonto di questa giornata, sfumato di rosa. Cerco la calma mentre piego e preparo calzini e magliette, cerco il tepore dello sguardo di chi amo, le parole rare ma intense di chi ho vicino. Non sono queste le cose tragiche, Berry. 

…Sono rimasta senza parole. Ha vinto la sonnolenza.

Adesso fuggo a mangiare un pezzettino di cioccolata fondente con le nocciole.
Voi aspettatemi qui, che magari ci scappa qualche post scanzonato a Stelle e Strisce.
Un piccolo assaggio pre partenza ^_^
Ps: amiche Bloggalline…siete straordinarie! Roberta, Roberta, Vatinee, Monica, Monica, Valentina e Silvia (e la mia Mary) su tutte, mi siete mancate tantissimo!!!