HUSTON, MI RICEVETE?

standard 10 marzo 2014 22 responses
Toni Servillo ne La Grande Bellezza










Dove eravamo rimasti? Ah, si, ora ricordo.
Perdo il contatto con la realtà…mi capita sempre più spesso.
Mi succede anche quando sono alla scrivania, a lavoro, nella situazione meno probabile…mi distacco. Tipo quando la capsula abbandona la sua stazione spaziale, verso l’atmosfera terrestre.

 

Tipo quando mi astraggo, pensando alla soluzione di ipotetiche situazioni poco verosimili.
Tipo quando guardo un film, come La Grande Bellezza.
Mi trovo lì a fissare le immagini che scorrono, evocando in me emozioni nelle quali non trovo nemmeno parole. Sono emozioni mute, sconosciute, ma non creano alcun disagio.
Le emozioni della poesia, dei sorrisi regalati, delle carezze sui capelli lisci.
Squilla il telefono e mi sveglio dal torpore.
L’attenzione cerca un appiglio valido, non un chiodino appena penetrato nell’intonaco, così fragile e pronto a sgretolare il muro intorno a se.
Non ho voglia di stare attenta, non oggi, in questo venerdì in cui trascino i miei pensieri come fossero il cappotto di un barbone solitario, all’angolo della strada.
Lascio la scia, con questo cappotto, ma è una scia che si cancella, si sgretola come il debole intonaco. Perché non sarò mai una vincente, una che coinvolge, che lascia il segno. I miei racconti rimarranno sempre qui, tra me e voi, limpidi e inermi lettori di questo blog fine a se stesso.
Un po’ la volontà, un po’ la mia scarsa capacità. Le mie lacune si arricchiscono di libri non letti, di tempi persi, di chat e dialoghi troppo brevi per essere dialoghi.
Quindi era venerdì, quando queste parole mi scorrevano tra le dita, ma non ero ancora pronta per pubblicarle. A volte mi percorre una smania di rendere accessibili a tutti i miei pensieri, altre volte mi sembrano troppo poveri e con troppa poca qualità per farli leggere ad altri. 
Ma in fondo arrivare qui, nel mio modesto blog, è una scelta. 
Se avete scelto di esserci non saranno questi post stanchi a farvi andare via.
 
? E poi c’è da festeggiare Le Bloggalline! Due giorni fa era il nostro primo compleanno ?
Andate a leggervi il nostro post corale!

UNA CIAMBELLA PER GALLEGGIARE.

standard 26 febbraio 2014 66 responses
Sono finite le carezze.
I sogni, le speranze.
Sono finiti gli sguardi suadenti.
Le mani intrecciate, gli abbracci.
E’ finito il tempo dei sorrisi, della gentilezza, della disponibilità.
E’ finito.
Tutto.

Ecco…a volte, immagino un mondo così.
Dove il dubbio governa anche la più limpida e pura delle acque.
Dove la rabbia scuote anche i rami più verdi.
Dove l’aggressività e l’invidia intrappolano i cuori e annebbiano anche la vista più sicura.
Ma forse questo non è il mondo che immagino, è quello reale.
Non si può fare un passo senza sentirsi giudicati.
Un Grande Fratello perenne che ti osserva. Movimenti, espressioni, sentimenti, tutto schedato.
Decisioni illuminate con un occhio di bue, non si accettano rimpianti, scuse o baratto.
Una vita senza vita, dove anche chi ti vuole un bene sincero è sempre pronto a sguainare la spada per difendere se stesso contro immaginari nemici, a cercare sintesi di malignità dove non si nasconde altro che qualche parola ingenua e priva di sotterfugi.
In questo mondo a volte mi sento aliena
Perché, pur sforzandomi, non riesco a guardare oltre le parole che mi vengono dette. Non mi immagino dietrologie o cattiverie, non costruisco battaglie inventate, non faccio castelli di sberleffi e malignità.
Posso rimanere imbambolata ad osservare la rugiada su una foglia, pensando alla magia della natura, e intanto scrivere nella mia mente parole che viaggiano insieme a delle infinite montagne russe, capovolgendo il corso del tempo.
Posso guardare in fondo agli occhi di chi ho davanti e immaginarmi mondi lievi, in cui la felicità si sorseggia la mattina insieme al latte, mescolando palpebre che sbattono e simpatici cereali che galleggiano.
Non so vivere diversamente, altrimenti mi sentirei soffocare. Questo a volte mi fa camminare da sola, perché in tanti modi questo mondo terribile si è insinuato nelle anime, anche delle persone più insospettabili. Mentre cammino i miei piedi misurano ogni passo e cercano contatto con il terreno, per avere un riferimento, per ricordarsi l’origine di tutto, per trovare un compagno fedele a cui affidarsi, se c’è.

Essere aliena a volte mi ha fatto sentire esclusa. 
Passato prossimo, remoto, recente, presente.
Ma il tempo che passa non è solo un nemico, è anche esperienza. E’ chiudere gli occhi e accumulare consapevolezza da quel piccolo momento di buio. Ho imparato a farmelo amico, il tempo che di solito combattevo, a sollecitare la sua collaborazione nelle situazioni in cui mi disperavo.
E il tempo mi ha insegnato che essere aliena non è per forza un difetto. Anche se continuerò a struggermi, a pentirmi, a sentirmi in colpa per colpe non mie, a sentirmi l’imbarazzo scivolarmi sulla schiena e sulla fronte sotto forma di piccole perle di sudore, cercherò di correggere questa sensazione di soffocamento che mi assale, quando la parte oscura di questo mondo, intriso di ipocrisia e poca vergogna, mi osserva e mi spinge verso il basso.

Ma io ho la ciambella.
Galleggio.

Erik Johansson

QUESTA STRANA DOMENICA.

standard 16 febbraio 2014 60 responses
I rumori della domenica.
Un passeggino veloce sulla strada che passa vicino al mio cancello.
L’abbaio di un cane, forse al profumo della primavera nell’aria. 
I sorrisi rilassati e stanchi, il sole che da qualche parte fa capolino.
Tutto giunge distratto e fugace dal proprio mondo assorto.
Questa strana domenica grigio vestaglia.
Dagli occhi satolli di lasagne condite, dall’eyeliner troppo marcato e i tacchi scomodi.
Questa strana domenica chiusa tra le pareti del mio giardino.
Sento strisciare tutti gli insetti tra i germogli dei fiori. Sento le zampette delle coccinelle e le ali trasparenti delle mosche.

I rumori della domenica.
Diventano suoni se qualcuno prende in mano una chitarra e si chiude con me nel giardino.
Abbiamo solo il quadrato del cielo a farci da guardiano, tutto il resto è comandato dalle tue corde.
Le corde della chitarra appena accordata, le corde della mia domenica lenta e frammentata.
Una domenica sulla corda.
Dove anche camminare è rischioso.

I rumori della domenica.
Dopo quasi un’intera settimana in prigione, ad alte temperature (febbrili). Quasi da delirio.
In questa settimana mi sono innamorata di nuovo – sempre del mio Amore -, maledetta febbre. 
Tutta colpa di San Valentino…

Innamorarsi di nuovo.
Degli stessi occhi, dei suoi occhi, nei quali ho la fortuna di riflettermi ogni giorno.

VOCE DEL VERBO SCRIVERE.

standard 7 febbraio 2014 28 responses
Io bloggo.
Tu blogg(h)i.
Egli blogga.

Coniughiamo insieme il verbo bloggare.

Bloggare o non bloggare, questo è il problema.
Il mio dubbio amletico del venerdì.
Qualcuno ha del vinavil, la pritt, un fissante, dei chiodi, un nastro morbido di raso? Esiste una formula segreta per incamerare tutte le belle paroline che ogni tanto fanno capolino nella mia testa? Se esistesse potrei anche tollerare i numeri, per una volta. Mi adeguerei alle necessità di calcolo, farei equazioni di punti e virgola e vocaboli strampalati, aggiungerei radici quadrate di emozioni e iperboli di pensieri.
Invece non posso.
Non sono dotata di lazo acchiappa-parole.
Le vedo sghignazzare, quando se ne vanno. 
Di solito capita in mezzo al traffico del mattino, in quei pochi minuti che servono per arrivare in ufficio. Una volta mi sono registrata…quando mi sono ascoltata mi sono sentita così deficiente che non l’ho più fatto. 
Allora mi dico che torneranno.
Magari sotto forme diverse, che non so riconoscere. Quasi mi ci arrabbio se non tornano nel modo che dico io.
Maledette parole, difficili parole. 
Sono sempre alla vostra ricerca, forse più di quanto ricerco il tempo.
Se trovo loro, non ho più bisogno di correre dietro alle lancette. E’ come se improvvisamente riuscissi a riequilibrare tutto.
Se le trovo mi ci sdraio dentro e le guardo dal basso.
Ci sprofondo.
E’ un amore corrisposto, il nostro.
Le accarezzo e le colgo, fiera. Le soppeso e le scelgo. Perché quando ci sono posso anche permettermi di scegliere, di aspettare, di misurare.
Quando non sono così ispirata le gratto via da ogni cosa che leggo, citazioni, scritte sui muri, titoli di giornale. Me le invento, non sono più originale, quasi mi disprezzo. Mi mangio le unghie, mi sistemo il ciuffo ripetitivamente.
Ma, appunto, non c’è nessuna formula che funzioni. Tutto rimane statico. I punti esclamativi dimenticati nello scatolone, insieme alle punteggiature immaginarie che affollano il mio cielo.
Una Via Lattea intera di pianeti fluttuanti di parole inespresse. Le mie mani sono i veri buchi neri che assorbono ciò che passa attraverso, non riescono a scrivere, si inceppano.

Edward Hopper – Automat (1927)

In realtà sono dipinta in un quadro di Hopper.

Senza parole, in una notte sconosciuta, avvolta da una solitaria luce artificiale, dentro un buco nero.

Ps: appena pubblicherò il post, le parole arriveranno tipo valanga. Lo so. Ma è venerdì, tra qualche ora sarò a casa e poi a fare la groupie per il mio chitarrista preferito.
Quelle che non scrivo oggi, saranno pronte per domani.
?

LE AMBIZIONI (PERDUTE).

standard 3 febbraio 2014 27 responses
Quando le giornate sono pesanti ti auguri solo di tornare a casa.
E che la serata sia lieve.

Vivere a pieno in questo mondo vuol dire che ne senti tante. Che ti accorgi di come si vada avanti per espedienti, conoscenze, debolezze altrui, simpatie. Di come chi ti sta davanti sappia argomentare anche la più assurda delle ipotesi, facendoti quasi credere che sia possibile, ma dentro di te scuoti la testa. Non puoi farlo davvero perché chi ti sta davanti ha il vantaggio di molte cose rispetto a te, ma non di tutte, per fortuna.
Chissà, magari un giorno non sarò più capace di trattenere l’amarezza e l’impazienza di dire ciò che penso sarà più forte di tutto, non dovrò più trattenere il respiro, non dovrò provare la brutta sensazione di sentirmi fortunata a tutti i costi solo perchè ho un lavoro.
Le giornate, le settimane, scorrono così, per la maggior parte. In attesa. Che arrivi il fine settimana, che il telefono squilli poco, che le dita siano ispirate a scorrere così sulla tastiera, che i baci siano sempre come li vuoi e che ogni sguardo ti accarezzi come fosse una nota dolce della musica che ami ascoltare.
In attesa che tutto quello che hai studiato svanisca, o che serva a qualcosa, a qualcuno, almeno a me. 
In attesa di essere capace di ricordare ciò per cui mi sono impegnata e battuta, ciò che ho amato fare e ora metto quotidianamente da parte per produrre ciò che serve a pagare l’affitto, le bollette, qualche vizio speso in un negozietto della mia via.
Questi sono i giorni dell’amarezza. Della prospettiva che non ti corrisponde ma che da qualche parte cela questo lato di te, così negativo e VERO da farti paura.

Sylvia Plachy – Pink Veil (1979)
Poi la prospettiva si muta.
Il  pensiero sorvola.
Come un piccolo e frivolo uccellino sorpasso questi vortici.
Ogni nebbia si disfa nell’aria fresca e dolce del mattino, del cielo terso, di queste folli altitudini nelle quali riesco a volare, senza fiato, senza tempo, senza fretta, senza conoscere destinazioni.
Ad occhi chiusi non vedo altro che le mie palpebre come specchi.
Vedo me, capelli lisci e strani colori.
Le poesie che creo nella mia mente si posano e non lasciano spazio ad altre parole.
Sono loro, quelle giuste, le vedo.
Ma stasera non so scriverle, le vedo e basta.
Anche loro in attesa.
Anche loro alla fermata del loro turno. 
Quello che passerà e le lascerà qui, di nuovo, oppure le renderà vuote e senza alcun senso, soffiandole via di nuovo, inafferrabili, lontano.

UNA STORIA PARTICOLARE.

standard 28 gennaio 2014 11 responses

Ci sono delle storie che per raccontarle servono romanzi, intere pagine di dialoghi, lacrime e fazzoletti sprecati.

Ci sono altre storie più romantiche, a lieto fine, fiabe delicate e dalle guance rosee.
Ci sono poi delle amiche. Che invece che al bar si incontrano in un bar un po’ più…virtuale, pieno di voci, di starnazzamenti, di distrazioni. Queste amiche hanno iniziato a scrivere la loro storia proprio come se fosse un romanzo, passo dopo passo, lasciando che tutto prendesse forma.
Le autrici di questa storia sono un piccolo gruppo di blogger, approdate poi a Facebook: le chiacchiere tra quattro amiche sono diventate la realtà di un gruppo, Le Bloggalline, che conta più di 300 iscritti, in poco meno di un anno!

Le Bloggalline “sono donne, mamme, ragazze, giovani donne, nonne. Timide, estroverse, dei vulcani di energia, confidenti, amiche. Sanno dirti le parole giuste, ascoltare, confrontarsi. Apprezzano le bellezze del mondo e della vita, riflettono davanti alle cose brutte. Fanno tesoro dei momenti speciali, sono sincere, cercano l’armonia. Amano, scherzano, si scoprono nei punti deboli per farsi accarezzare dalle parole dolci di un’amica. Gioiscono come se il successo fosse il loro. Raccontano come se ti avessero voluto lì con te. Si informano come se ti conoscessero da sempre”

È questo lo spirito con cui scriviamo la nostra storia quotidiana, condividendo tutto: l’amore per il cibo, lo scambio umano, il supporto, i consigli e gli incontri, che ne sono diventati la linfa principale. Tutto questo ci ha fatto capire l’importanza del lavoro delle blogger e della presenza di una linea guida, un Codice Etico, che vada a disciplinare coloro vorranno farne parte.
Oggi nasce il blog delle Bloggalline e in esso il Codice Etico al quale tutte ci riferiamo nello svolgimento della nostra passione, quella di blogger.

Le Admin tutte sono liete di rendervi partecipi al lavoro delle ultime settimane che, in collaborazione con un altro piccolo gruppo di amiche Bloggalline, ha portato alla stesura del Codice Etico, presentato all’interno di un blog. 

Il blog delle Bloggalline http://lebloggalline.blogspot.it sarà il contenitore di iniziative, incontri, eventi, raduni e quant’altro!

Il Codice vuole essere una piccola linea guida per le Bloggalline, un vademecum di valori e interessi da tenere a mente, un gomitolo dal quale far partire tanti bellissimi fili colorati, dove ogni colore rappresenta una di noi e il suo contributo all’insieme delle sfumature del gruppo, molto nutrito e ricco di vita.

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CELAPOSSOFARE.

standard 27 gennaio 2014 60 responses
Uno dei tanti ritorni




Ho quasi tutti gli amici a Firenze.

Nessun parente nell’arco di un centinaio di chilometri.
I suoceri a più di quattrocento (fidanzato terrone!).
Ho scelto la mia vita qui, a metà strada tra il Rinascimento e la disorganizzazione.
Ho scelto di vivere qui, credo, ma ogni volta che sto via qualche giorno e torno…mi sento un po’ confusa.
Le cose da fare si accumulano, quelle messa da parte, gli obblighi casalinghi, le scadenze che si rincorrono e le domeniche da scansafatiche si annullano. 
Mi confondo perché metto sullo stesso piano e non so scegliere la priorità.
Alla fine ci scapitano le passeggiate, le torte, i libri, la mia cultura.
Quando parto lascio due gatti, ritrovo due belve assatanate di sangue. Ritrovo dei frammenti sparpagliati di cose non più riconoscibili, i frammenti delle mie cartoline comprate in giro, per i musei, le due belve mi smangiucchiano i ricordi.
Torno e ritrovo panni da lavare, i miei pensieri sul comodino, le parole nel cassetto, detersivi e mensole troppo impolverati.
Allora non rimane che CORRERE. Per schiarirsi le idee, guardare oltre, più lontano ancora, perdersi e trovarsi, mettere alla prova, sentire.
Sentire che ce la faccio, che ci riesco.
Ad incastrare tutto, a fare tutto, ad abbracciare tutti e, infine, a lasciare tempo a me di respirare, seduta sul letto, per scrivere queste due righe.

CELAPOSSOFARE.

Avida di tempo, vi saluto.

Ho le mie scarpe da corsa che scalpitano.

MEZZANOTTE E UN QUARTO.

standard 20 gennaio 2014 71 responses
Questo sonno, coltivato in una notte agitata, è un sonno simpatico. Mi tiene sveglia. 
Palpebre semi aperte, demenza intervallata a frequenti disconnessioni di neuroni, livelli di attenzione pari a quelli di un peluche di mia nipote.
Questo sonno, ha un nome, Giovanni. Ha anche un peso, 3,280 meravigliosi kg di bellezza. Due occhietti che ancora devono scoprire tutto. Delle manine che immagino morbide e profumate, che diventeranno abili cercatrici di guance, avide arruffatrici di capelli, irresistibili vittime di morsi.
Questo sonno si chiama impazienza, amore, preoccupazione, destino, impeto, felicità.
Questo sonno è il primo regalo che mi fa mio nipote, appena nato, in una notte di Gennaio.
Vorrei regalarvi la mia gioia.
Che per una volta non è solo smielatissimo ed appassionato amore, ma amore che ha le sembianze di un essere fragile e profumato di latte, di vaniglia, di dolcezza.

Questo sonno è la mia condanna, in un lunedì in cui ogni peso sembra sollevarsi e svanire, come fosse vapore. Forse è così che dovrebbe essere sempre, ogni giorno che ci sembra insostenibile, ogni giorno in cui il peso delle cose ci schiaccia, o da esso ci lasciamo schiacciare.
Pensare al germogliare della vita.
A come sarà fiorita e colorata.
Al nostro essere figli, zii, fidanzati, genitori, nonni.
Al nostro essere sorelle e fratelli, amici, cognati, indissolubilmente legati a queste radici che ci tengono qui, in vita, per generare in qualche modo altra vita.
Chissà, prima o poi toccherà anche a me, chissà se vorrò scrivere, registrare, fotografare le parole e i momenti…non lo so. Questa è una vita ancora da scrivere. 
Quello che mi importa oggi è la vita che ha iniziato a scrivere lui, senza nemmeno sapere come, regalandoci occhiaie, sonnolenza e stordimento…
Ma un’immensa e rinnovata speranza per TUTTO.

Gustav Klimt – Le tre età della vita (particolare)

TRANNE ME.

standard 14 gennaio 2014 44 responses
Appena ho aperto gli occhi mi è apparso, parola per parola, il sogno fatto.
Ho sognato che compravo una Bentley. Una berlina, rossa, ovviamente con la guida a destra.
La pagavo subito, in contanti, 12.500 Euro. Poi salivo, cercavo di capire come funzionasse e ingranavo le marce…certo, non era immediato, però guidavo. Accanto a me c’era il Bullo, dopo un po’ facevo guidare lui. Mentre andavamo mi ricordo di aver pensato (sempre in sogno) perchè avessi dovuto cambiare auto, visto che la mia Clio andava benissimo…però questo pensiero svaniva senza tormentarmi più di tanto e mi lasciavo trasportare, chiudendo gli occhi, tra le curve dolci che costeggiavano la scogliera.

E mi è venuto in mente l’inizio di una storia. Che poi è solo l’inizio, quindi non serve a niente però, vista la totale assenza di tempo e modo di scrivere due righe in questi giorni, ho cercato di concretizzare lo stesso…

La casa, su una scogliera. Un faro eroso dal tempo e dalla salsedine, una luce costantemente accesa, la luce della salvezza, della speranza, dell’approssimarsi, della vicinanza, del controllo, della costanza. Una moderna Raperonzolo dai capelli rossi fuoco, lunghi e morbidi, come le lingue di sole all’alba del mare.
Capelli rossi, scogliere appuntite e bianche.
Navi che lasciano una scia continua di strette e frequenti onde, cioccolato scuro, che si fonde lasciando le nocciole galleggiare sul mare.
Immagini ricorrenti, racchiuse dentro un nocciolo di pesca, come tante piccole matrioske. Una buccia pelosa e vellutata, un morbido frutto profumato, un rigido guscio bucherellato, un seme di forma allungata con uno strano tesoro all’interno. Il peso è leggero, tra le mie mani, ci gioco, lo tiro in aria, sento il vento sibilare in quei fori.

Vorrei raccontare una storia, tante storie. Vorrei raccontare.
Di me, di quello che succede tutti i giorni, dello spazio e del tempo troppo occupati, di come scorre tutto via e lascia sorrisi, di quelle giornate storte e nate male oppure di quelle felici e piene di occhi lucidi di emozione.
Ieri era così. Un giorno azzurro. 
Azzurro come il cielo di questo inverno caldo.
Azzurro come i palloncini che ho portato a Tommaso, la creatura meravigliosa che è venuta al mondo da mia cugina e suo marito.
Azzurro come lo sfondo del mio computer.
Azzurro come gli occhi del mio Amore, che mi riempie le giornate anche quando non c’è, perchè c’è sempre, sempre, sempre.
Azzurro come il mare che vedo nel mio sogno, mai troppo profondo.
Azzurro come i mondi che vorrei esplorare.
Azzurro di pienezza.
Azzurro di quantità.
Ogni giorno è un simbolo per il quale vorrei inventare un nuovo ideogramma, trovare le parole, le virgole necessarie. Ma ho imparato che non sempre c’è qualcosa di necessario, di indispensabile, di urgente, di ovvio.

TRANNE NOI STESSI.
Jack Vettriano

PIU’

standard 3 gennaio 2014 75 responses

Più un anno.
Più consapevolezza.
Più caramelle.
Più meriti a chi li merita.
Più attenzione.
Più fiducia.
Più spensieratezza.
Più cortesia.
Più baci.
Più semplicità.
Più rughe.
Più coccole.
Più scrivere.
Più puzzle.
Più vita.
Più ispirazione.
Più sguardi.
Più viaggi.
Più tatuaggi.

Un agenda in più su cui segnare i pochi appuntamenti e i molti pensieri, sulla cui prima pagina ho già sbagliato a scrivere, come ogni anno.
Una valanga di pensieri positivi accompagnano questo nuovo e brillante duemilaquattordici e, anche se non sono una fanatica degli anni pari, voglio continuare a pensarepositivo.
Stamani la città dormiva. Dormono tutti i bambini, che ancora non sono rientrati a scuola. Fanno tesoro delle ultime ore di libertà, così come io mi godo le strade vuote, l’asfalto bagnato di pioggia, l’autunno lontano che si fa vivo colorando i lungarni di giallo e respiro le forme di questo anno nuovo. Allontano quelle forme che non mi corrispondono più, in cui non mi riconosco più, quelle che non mi hanno mai vestita e rappresentata. Leggo molte persone, amiche o meno, sui social, sempre più cariche di astio e di invidia, leggo lamentele, leggo incapacità di guardare veramente la propria fortuna, dimenticandosene a fasi alterne. Ecco, queste cose non le sopporto. Dopo tanti PIU’ dico meno diplomazia, dunque, per me diventerà sinonimo di sincerità radicale (cit.).

Vorrei scrivere tanti altri PIU’.
Vorrei parlare con voi, faccia a faccia.
Vorrei abbracciarvi.
Vorrei parlarvi del Natale più bello che ho mai vissuto, con le mie sorelle, con il mio amore e la mia incasinata/casinista famiglia.
Vorrei includere in ogni parola che scrivo il mio passato e farlo risplendere in questo presente, come esperienza necessaria per affrontare il futuro.
Vorrei ago e filo e vorrei saper cucire per imbastire tappeti morbidi dove poggiare i miei desideri. E farli fiorire.
Expecting Winter – Where seasons meet – Erik Johansson
http://erikjohanssonphoto.com/
         

Che sia un anno intenso e gradevole.
Non lo appesantite inutilmente, vi accorgerete magicamente della differenza.
Duemilaquattordici baci, carezze e abbracci!