Innamorarsi (a trent’anni).

standard 2 luglio 2013 63 responses
E’ che esci ed è sabato mattina. C’è il sole e non quell’aria che fa sembrare giugno un novembre tiepido. Cammini per la tua radiosa città, ricettori e occhi aperti, voglia di amore.
Tutto cambia sapore, non c’è storia, con l’amore.
Come se fai scorrere un ruscellino nel letto del Nilo. L’acqua scorre come un velo, adagio e senza veemenza, ma comunque arriva a destinazione.
Ci mette il suo tempo, ogni sassolino il salto necessario per oltrepassarlo, ogni movimento regolato in base alla forza a disposizione. E lo impari, perchè il letto al quale devi adagiare la tua schiena non è mai sufficientemente comodo, perchè l’impetuoso getto di acqua ha sempre riempito con abbondanza il letto del fiume, per quanto grande fosse stato, senza mai lasciare niente per te.
Passo dopo passo, un sabato mattina, lo senti, che lo hai imparato. A misurare.
E la cosa più bella di quando impari qualcosa è che puoi decidere quando usarlo. E a me misurare, soprattutto MISURARMI, non piace. 
Soppeso, pondero e considero. Scelgo, decido di DARE. Se trattengo, trattengo perchè le ferite devono ancora quietarsi, perchè i lividi assorbirsi, perchè la domanda è scarsa per quest’offerta così abbondante.
Con il righello in mano, con il goniometro, le squadrette e la bilancia cammino, per il lieve silenzio fiorentino, del sabato estivo mattuttino. Un duemilatredici scientificamente (ap)provato, un equilibrio che non lascia niente al caso. E’ che le misure si prendono quando si ha paura, quando lo spigolo pare troppo affilato per non ferirti e i sorrisi troppo finti per essere veri, come gli applausi comandati e le risate di sottofondo nei telefilm anni ’80. 
Ma sabato ho messo tutti questi centimetri e pensieri in borsa, ho continuato a camminare. 
Ho visto i sorrisi veri.
Gli abbracci desiderati.
Le emozioni che non si trattengono.
I fuochi spenti e riaccesi.
Le crestine e i riccioli ribelli, le zeppe comode e le gambe lunghe.
Le chiacchiere nascoste.
I panini e il vino su un marciapiede.

Ho visto che nel cuore ti ci rimane chi decidi tu, tra i tanti che passano.
E anche chi non rimane, comunque, ti lascia qualcosa, una carezza, un petalo, un profumo, una foto.
E anche chi non è presente…c’è comunque.

E’ che esci ed è sabato mattina. Decidi di DARE. 
Amare, a trentanni, senza ritorno.

credits to ZioPiero

credits to ZioPiero

BlogGalline, questo post è per Voi!

Ragione e sentimento, i confini invisibili.

standard 26 giugno 2013 80 responses
Se sei brutto ti tirano le pietre.
Se sei Berry ti tagli i capelli.
Corti. Sempre più corti.
Se sei bello ti tirano le pietre.
Se sei Berry, non sei bella, sei pazza.
Se poi torni a Firenze dopo tre giorni e mezzo di mare/sole/relax/cibo/amore e trovi SEDICI GRADI…allora impazzisci, anche se non sei me.

E allora penso a quel mare.
Quel mare che si confonde con il cielo.
Quel mare che non ti fa vedere l’orizzonte, se non con il riflesso del sole del tramonto.
Quello che è freddo come il ghiaccio, trasparente e chiaro.
Quello che diventa oscuro e nebuloso.
Quel mare che sembra un lago, che ti lascia il sale addosso, che ti fa respirare bene, che ti fa riempire di libertà gli occhi.
Senza limite.
Quel mare che ti riconcilia con la vita, con le insoddisfazioni, con i sospiri troppo trattenuti, con i sapori sbagliati, i disagi. 
Quel sale che ti gratta un po’ la pelle, che ti rende ruvido il tocco delle mani. 
Quel soffio di vento che ti fa impazzire i capelli e volare quell’alga secca sulla pancia.

Quel mare lì, quello in cui sono annegata e rinata, il mare in cui ti ho tenuto per mano e ti ho voluto scrivere ogni minuto una dichiarazione d’amore. Ogni sorriso che mi hai fatto fare, quelli della semplicità quotidiana, insieme. Insieme.

Perchè non so se i tuoi occhi sono azzurro-cielo o azzurro-mare
Ma so che hai riempito d’azzurro la mia vita.
Il mio cielo. 
E il mio mare.

Il Paradiso. Antisamos, Cefalonia – Giugno 2013
E poi QuellaStronza mi chiede di racchiudere in dieci, semplici punti, i motivi per cui amo l’estate. Niente di più facile per me.

Per i polsi rossi. Si, perchè quando vado al mare con le mie sorelle giochiamo a beach volley (una specie di) fino a che morte non ci separi.
Per il cocomero. Togliere tutti i semini e poi affondarci la faccia.
Per il sole. Devo essere stata un animale a sangue freddo perchè, in questa vita, non sopporto l’idea di non vedere il sole troppo a lungo.
Per i piedi liberi dalle calze. Dio mio, le odio. D’estate ciantelle anche con la pioggia…tiè!
Per l’insalata di riso. Quintali di maionese e valanghe di  olive.
Per i pomodori. Dolce e salato insieme, con il succo che si sparge ovunque. IL TOP!
Per i difetti dell’inverno che diventano inutili preoccupazioni. Perchè il caldo scioglie ogni nodo, lenisce ogni sussulto e cancella tutti i dubbi. Quello che conta resta, il superfluo se ne va.
Per i tatuaggi nuovi che fanno capolino dai vestiti corti. Così sembro un piccolo folletto con la pelle dipinta.
Per i colori. I fiori più belli, le sfumature della natura, i campi di grano con le rotoballe.

Per il mare. Bisogno di spiegazioni? Vedere/leggere sopra.
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Vi presento il mio logo! Finalmente dopo più di 3 anni online ce l’ho fatta, tutto grazie all’aiuto della mia collega grafica! Grazie Dona!
A voi piace? Io LO AMO.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind.

standard 19 giugno 2013 36 responses

Un mare di mi manchi.
Un mare di persone perse per strada.
Un mare di pensieri.
Onde e onde di parole.
Riemergo e me le sento tutte attaccate addosso.
Orme del mio passato.
Ma voi…ricordate il vostro passato?
Io non ricordo mai niente. Niente. È incredibile come io riesca a rimuovere fatti, avvenimenti, dialoghi, discussioni. Qualsiasi cosa avvenuta in un passato relativamente recente o remotissimo…lo cancello.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind
Ho una cartella nella mia mail che si chiama Ricordi. Ci sono parole lì, che sono sanguisughe. Ogni volta che la apro, per non so quale motivo masochista inutile, vengo investita da quel mare di cui parlavo sopra. Ricordi, persone, occhi, momenti, richieste inascoltate d’amore, di ascolto, pretese, disperazioni, dialoghi divertenti e scanzonati, quando whatsapp e facebook non avevano ancora intasato le nostre vite virtuali fino a farle diventare così ripiene da farci venire voglia di scappare, di non essere più noi, di vestirci di abiti polverosi e nasconderci nelle soffitte a respirare muffa e foto antiche.
Ogni tanto decido di andare a leggere, di spogliarmi della mia razionalità e tornare indietro, che sia un passo, che siano cento, per ritrovarmi. Perchè comunque, per quanto io dimentichi, sono io, quella persona di cui leggo, quella persona implorante, quella persona invasa dal sacro fuoco della scrittura per qualcuno di cui ora a malapena ricordo il nome, gli occhi, il modo in cui mi sfiorava e se mai, in qualche modo, mi avesse mai sfiorato davvero.
Forse questa è stata la mia salvezza. Dimenticare.
Ecco perchè non riuscirò mai ad essere veramente cattiva. Perchè dimentico. 
Ecco perchè non riesco e non voglio mai chiudere le porte con “chi passa”. Perchè è inutile.
Perchè il valore dei ricordi è pari al valore dei sorrisi spesi per quel ricordo.
E non serve che rimanga altro, non per me. Che ogni sguardo abbia la sua prospettiva e ogni mente decida di cogliere il dettaglio che preferisce, i miei sono stati colti e, adesso, sono sfioriti. Io ho preso la mia strada o magari sono rimasta ferrma, non so, però sento questo desiderio forte di lasciarmi indietro molto di quello che non serve.
Serve l’amore. Serve l’amicizia.
Servono gli sguardi d’intesa, i traguardi raggiunti insieme, servono le risate da mal di pancia e i sorrisi appena accennati.
Ma le parole, quelle forti, che rimangano pure legate al momento a cui appartenevano.
Io preferisco vivere senza rancori. Perchè molto spesso questo significa ricordare in modo “pieno”. 
Via i rancori della persistenza. 
Che rimangano i frutti di questi battiti di ciglia, che ci accompagnano, che mi sussurri ancora all’orecchio questo richiamo per soppesare la differenza tra quella che ero e quella che sono, che io sia capace di intravedere oltre, senza mai mettermi nessun freno.
Quando arrivo alla fine di questi post (che in realtà vorrei continuare) mi sembra di essere ubriaca. Che poi non so nemmeno cosa vuol dire visto che sono astemia da sempre. Però sono ubriaca di pensieri, spossata e sbronza (Mary lo sai che è colpa tua no? Come dice Vaty…insieme siamo pericolose!). 
E mi piace lasciarmi prendere da questi flussi, da queste onde, sento lo sciabordio…e salgo un attimo in soffitta, a rovistare tra la muffa e la carta arricciata dall’umidità, mi vesto di stracci, mi sporco le ginocchia, le mani…nuoto e sfoglio, leggo e annaspo, un po’ affogo e un po’ respiro.
Una cosa che non dimentico è il presente.
Fosse l’ultimo pezzo di legno che galleggia, rimango attaccata a quello.
Perchè il valore del presente è pari all’amore che sento.

OLTRE. Scivolando sui pensieri.

standard 28 maggio 2013 54 responses

Non credo di averlo mai fatto.
Cosa?
Di pubblicare con quasi due mesi di ritardo dei pensieri di un pomeriggio caldo, nei primissimi giorni di aprile, quando l’illusione della primavera era reale e mi svegliavo con un misto di insoddisfazione e voglia di andare oltre.
Ma non conoscevo questo oltre, lo temevo di certo. Cercavo di annegarlo nella marmellata della colazione, ma lui tornava.
E, alla fine, c’è stato, ed è stato un oltre davvero OLTRE. Mentre sono qui che vi guardo dall’OLTRE, leggo con voi…

Sette Aprile Duemilatredici.
Sulle rive dell’Arno.
Sono come il polline. Fine, giallo, gustoso.
Sono come i raggi caldi di questa primavera, finalmente.
Sono questo aprile.
Sono questo ragnetto. Pochi millimetri di perfezione. Giallo su nero, come fosse polline.
Sono queste spighe verdi, immaturo frutto della natura.
Sono questo foglio di carta, questi pensieri impuri e gravidi, questo monsone di tempeste mai viste.
Sono questa irruenza, questa voglia di scoprire, di cucirmi in faccia un amore mai visto, questi vestiti così aderenti da non riuscire più a toglierli.
Sono queste domande a cui sottopongo la mia anima, senza tregua.
Sono al mediocrità che non conosco. Perchè la scanso ma non la posso lasciare del tutto, mio marginale contatto con la realtà.
Sono questo foglio, che voglio fare a brandelli, piccole parole, piccoli pezzi di carta, verba volant, per alleggerire un mondo costruito solo per la mia personale sopravvivenza.
Sono questo traffico costante, il profilo verde delle colline di Firenze, un tempo disabitate.
Sono questo sterile punto di vista, il cui valore è un significato solo per me.
Sono perfetta come le guglie di quella basilica, come il merlo di quella torre, il bastione di questa fortezza.
Sono troppo in una vita che il troppo non lo può tollerare. E nemmeno controllare.
Sono quelle piccole anatre che procedono sul fiume scuro, incuranti di ciò che avviene attorno. 
Sono la loro scia, il flusso sottostante creato, che lambisce con lentezza la costa, con il suo ritmo parallelo.
Sono quella cosa che dovrà avvenire, spietata e chiara.
Sono quel segreto che ancora non conosco, quell’amara domenica mal vissuta sotto un vento che ricorda l’inverno e un sole che chiama l’estate.
Sono le note di queste ripetute canzoni nelle mie orecchie distanti dal reale.
Sono la mia voglia di scrivere senza mai una fine, come se non conoscessi che righe e inchiostro nero, sbaffato dalla fretta di dire qualcosa.
Sono una mendicante di poesie già scritte, che non so come scrivere. Non conosco il carattere, ancora geroglifico, senza traduzione.
E allora tu fammi egizia, da profilo intatto per secoli, fammi scultura, mummia del passato così che io legga sulla pietra la mia vita già vissuta e stringi le bende. Stringi per non far passare il sangue, freddo afflusso di sistemi nervosi troppo attivi per lasciarmi riposare in pace.
Sono questo sarcofago.
Sono questa maschera di cera.
Sono la combinazione sconosciuta.
Sono un simbolo segreto delle Terre di Mezzo.
Sono una regina. Tu lasciati ammaliare dal canto delle sirene e vattene, lasciami, abbandona questa attesa che non sopporta più le attese sconosciute dell’amore.

Meekyoung Shin – Vasi di Sapone (foto by Berry – Saatchi Gallery, London, agosto 2012)

Perchè questa foto? Perchè era agosto, caldo anche a Londra. I miei pensieri erano più cupi di adesso e questo museo fu una boccata d’aria. Questi vasi sono fatti di sapone, da non credere, vero? Ora i miei cupi pensieri sono scivolati via sulle curve morbide di quelle forme, sono rimasti quelli dai colori accesi. 
Non c’è più nessuna attesa.

Testa e Gambe.

standard 15 maggio 2013 65 responses
“Chi unn’ha testa, abbia gambe”

E ve lo dico in fiorentino.
Io corro. Da sempre. Corro in tutto. Nei pensieri, nel lavoro, nell’elaborazione delle cose. Corro ma non sono frettolosa, ho solo un modo di risolvere le mie cose, che siano più o meno pratiche, molto veloce. Come diceva la dolce Sara sulla “tiepidezza” dell’animo, di certo non posso definirmi tale. Sono estrema, esagitata (ben diverso da esagerata), sempre accorta, precisa, attenta.
Trovo rilassamento nel fare cose che normalmente stancano, stressano, annoiano, affaticano. Quando voglio veramente sentirmi “stanca”…scrivo. Scrivo fino a che non finisco le energie utili per fare qualsiasi altra cosa. Ma è una spossatezza con la quale amo convivere, perchè è così integrata in me che non posso, anche volendo, osteggiarla.
Ieri avevo voglia di correre.
La testa, che in questo periodo non mi accompagna frequentemente, dato gli ultimi lieti eventi di cui già siete a conoscenza, era già in vacanza dalla mattina, quando dopo 300 metri mi sono accorta di pedalare sulla strada (invasa dal traffico) invece che sulla pista ciclabile di fianco. 
Le gambe, quindi, le dovevo allenare. Una testa così leggera va tenuta saldamente a terra e con la dovuta cognizione.
OttoKm. Otto meravigliosi chilometri. 
Sudore, salita, respiro cadenzato.
Testa e Gambe sincronizzate, ma pur sempre in due mondi diversi.
E poi Firenze, davanti ai miei occhi. I merli di Palazzo Vecchio, con la sua torre. La lanterna della cupola del Brunelleschi, così vicina che la posso anche toccare. Il campanile di Santa Croce. Più in basso i tetti, le strettoie, i passaggi segreti, i giardini, le piazze della mia città. 
L’arte di correre, l’arte mentre corro. Forse anche per questo mi rilasso, perchè correre in zona piazzale Michelangelo è come dipingere un quadro, ogni volta diverso, a seconda del minuto in cui lo percorri, a seconda del sole, di come batte, di come riflette su San Miniato al Monte di cui percepisci la potenza silenziosa. Ogni passo fatto le mie gambe si caricano di tutto questo. Della leggerezza dei pensieri, della frivolezza della primavera, dei rami che intralciano il mio percorso, della luce e della forza di questa atmosfera così importante, così mia.
E anche se gli occhi si riempiono di moscerini, anche se torno a casa esausta, con le guance a fuoco e i muscoli tirati mi sento B E N E e mi sento di riempire in ogni sua curva, in ogni suo angolo questa parola, così breve ma così bramata. 
Intensa, ecco come mi sento. Intensa e densa.
Dire e fare, finchè morte non li separi. Ogni parola accompagnata da un gesto, anzi due, per non lasciare sola la parola successiva.
In questo B E N E, che scandisco pronunciando ogni lettera come fosse un piccolo menhir, c’è amore. C’è voglia, passione. C’è un dolce al cioccolato preparato per un sorriso, c’è una focaccia impastata dopo gli otto chilometri. C’è la consapevolezza di mille frasi scontate, ma nuove di fronte ai miei occhi: 
Non c’è cosa migliore di vivere senza avere fretta. 
(Non credo ai miei occhi. L’ho scritto davvero? Sono io? Ebbene si…si, sono io, non allarmatevi, non mi hanno messo un coltello alla gola, lo giuro!)
Perchè anche se corro, in tante cose e davanti agli occhi di tanti, so bene cosa sto facendo. 
Perchè anche se corro fisicamente sento la necessità di far si che le giornate si srotolino con il loro ritmo, di dover vivere con il dovuto rispetto dei tempi, di accarezzare ogni istante che passa, di sopportare le attese. Non ho fretta che arrivi l’alba del domani per guardarmi allo specchio e capire se i miei occhi hanno dimenticato un frammento di dolore, per sottolineare che anche questa giornata per fortuna arriverà alla fine. Voglio guardarmi ogni mattina e capire che i miei occhi ricordano questo ieri così recente, che quasi mi sfiora, ma che hanno guadagnato e non perso, che sono fortunata, ma che non ho fretta, nel respirare il futuro (vedi M4ry, le nostre sintonie…). Ho determinazione, ho me stessa, ho questo oggi da vivere, da scrivere con le mie mani, da decorare con le tegole dei tetti antichi di Firenze, da contemplare e accogliere.
E mi piace da morire, questo oggi.
Anche se probabilmente pioverà, anche se tornerò a casa a mezzanotte, anche se il tempo non mi basta mai, anche se ho le gambe stanche e la testa ancora dispersa.
San Miniato al Monte di notte – Maurizio Picci
Ps: non siete mai stati a San Miniato al Monte? Andateci. E’ uno dei luoghi più incantevoli di Firenze, la scalinata per arrivare è una fatica sopportabile, una volta lassù.

Per Te.

standard 12 maggio 2013 76 responses
Con le mani sporche di impasto scrivo su questa tastiera, scrivo e cancello, perchè tutto vorrei dirti senza essere mai banale, perchè tu mi hai insegnato a scrivere, perchè tra le infinite cose che potevi darmi hai scelto le migliori.

UNA FAMIGLIA BELLISSIMA.
L’AMORE & LA LIBERTA’.

Quello che racchiudono questi miei pensieri servirebbero centinaia di pagine per descriverlo a parole, ma basta solo uno sguardo quando torno a casa, che ogni spiegazione diventa inutile.
Ti amo Mammina.

Berry, 4 mesi – Annamaria, 23 anni – MARZO 1983
E perchè non posso che amarti se ogni tanto, la mattina, apro la mail e trovo le tue poesie, per me…

 
l’anima
l’anima non rimane prigioniera, non si fa rapire;
se non vogliamo
essere vivi
forse la lasciamo assopita
per non pensare, non ora
ma lei dorme con un occhio aperto
è più grande di noi
ci rifiutiamo di ascoltarla
ma lei è come un sottofondo musicale
è implacabile
è dissoluta
non si preoccupa di come stiamo
ci avvolge come un velo di sonorità
espellendo i vuoti di cui abbiamo paura
nel nostro inerme palato;
e noi ,storditi
la rivomitiamo
in braccio al cuore
cerchiamo lì
il suo sollazzo……….no
un chiaro no!
l’anima rimane con noi sempre
e ci tormenta perchè, se abbiamo dato il cuore
lei non vuole essere venduta
vuole farci pagare a caro prezzo il fatto
che rimaniamo con lei sola, sempre, alla fine….
ecco..io a giorni
cerco di trattarla bene
l’accompagno dove lei vuole
poi, di nascosto
giro le parole e guido il carro
così lei, mesta mesta, torna e
mi riprende in mano….

Azzurro.

standard 9 maggio 2013 41 responses
Scriverei una poesia per ogni venatura dei tuoi occhi.
Che poi sono uguali a molti altri. Ma sono i tuoi.
E guardano me. 
Fino al più piccolo granello lasciato cadere abbandonato, in fondo ai miei tormenti.

I tuoi occhi così azzurri.
Che fanno riaffiorare le ferite, solo per ricordarmi quanto adesso siano lontane. 
Solo per sottolineare quanto si cammina, prima di sentirsi a casa.

E’ che non c’è un colore che io posso descrivere, se penso ai tuoi occhi.
Se non al colore che non avevo mai visto.
Quello che mancava, e ora c’è.
Mark Owen – Stars (2013)

Gonna build a rocket
Anytime you want it
Paint it pretty colors
Gonna light it up and take us to the moon
That’s what I’m gonna do

I giorni dell’amore.

standard 2 maggio 2013 48 responses
Sostenuti dal vento del sud, caldo, desertico, portatore di colorate piogge di primavera, questi giorni si annodano stretti.
Forti alleanze terrestri e marine li accompagnano, seguendo logiche parallele senza ritorno o spiegazione. Ed è ciò che è senza ritorno che io percorro.
Svuoto ogni zavorra dalla sabbia, non la intrappolo tra le dita ma si sgrana, benevola e complice, in un sottile strato caldo di ricordi.
In questi pendii verdi e scoscesi, avidi di ogni mio passo io mi celo, solo per chi non vuol vedere. Di colori della natura ho le mie vesti ma non mi volto indietro. Solo la vetta nel destino del mio passo svelto.
La vetta dove incontrerò i tuoi occhi.
Che riconosceranno i miei tra i rami incastrati del labirinto.
Tu che non hai bisogno di seguire nessun percorso per arrivare a me, tu che percepisci il mio calore, la mia densità, anche a distanza, il mio odore, tu che sai, che conosci, che perdoni i miei difetti.
Tu, mia meta, mia metà, mia vetta.
I giorni dell’amore si annodano stretti.
Solo noi testimoni di noi.
Che siamo quel sapore che mancava.
Contemplo la baia di Pozzuoli e vedo la pace.
Pozzuoli – vista sul golfo

Leggero o o o oh.

standard 20 aprile 2013 27 responses

Il velo si posa sul mio viso.
Un velo impalpabile, un lenzuolo leggero.
Energia sottile, come un filo elettrico incollato alla pelle, leggero.
Il bozzolo segreto di quella futura farfalla. Un segreto leggero.
Mai sussurrato, forse mai pensato, qualcosa di ardito.
Cerco il coraggio necessario tra gli scaffali della mia vita, ne faccio scorta.

Leggero il mio pensiero ora.
Leggero come i palloncini.
Leggero perché ci lavoro.
Prima di dormire, dopo 13 ore e più di lavoro…vi lascio la mia fotina in veste lavorativa! Domani ancora l’evento…dai dai che mercoledì è vicino!

Ps: ve l’ho già detto che vi adoro? Mi mancate!!!

Rosa.

standard 17 aprile 2013 64 responses
Dicono che ci sono dei segnali inequivocabili di cambiamenti.
Dicono che quelle destrutturazioni che si verificano quando avviene qualcosa nel cuore.
Nell’aria.
Nel senso di marcia delle lancette.
Nella scansione del tempo.
Dicono che quando una donna decide di tagliarsi i capelli è perchè vuole mettere un punto e ricominciare.
Accettare un passaggio, un termine, una curva pericolosa a sinistra.
Lo dicono anche delle donne con la cresta (quasi) rosa? 😀
Io sono inconsapevole.
Inconsapevolmente ho agito, ho respirato, ho sfiorato, ho desiderato.
Non so se questo  è il temporaneo cambiamento necessario per sviluppare quelle libertà di cui sento il bisogno.
Non so se ci sono strade giuste, strade sbagliate.
Non so quale piede mettere davanti per primo, rischio di inciampare.
Ma questo momento è lieve, come lieve è l’ala del cormorano sull’acqua, la zampa dell’airone, fine, che nell’acqua stessa si fissa, come un fuso rimane sospesa.
Io sono rosa.
Rosa come le piume che riflettono la palude.
Rosa come questa enorme nuvola di zucchero filato.
Rosa come il sentimento bianco, appena una goccia di pigmento rosso tinge la sua purezza.

Rosa e immune, come un neonato.
Rosa e sconosciuta, come un naufrago, come quel mendicante che si sporge fino a terre lontane.
Rosa e inerme, come quel fiato che non sento per il troppo fruscio di fondo.
Rosa come la caramella che era rimasta nel sacchetto, che credevo così lontana dai miei gusti.
Rosa, sensibile e morbida, aromatizzata alla fragola.
Rosa e sfumata, come uno strano arcobaleno che avevo necessariamente bisogno di vedere.
Ora che ho la primavera sui capelli, vado a fiorire.
Sento già il profumo.
 
Me. 16/04/2013.

Elle, tesoro, la mia crestina rosa è un po’ anche tua ?
Domani comincia l’evento che ho organizzato. Celapossofare.
Siatemi nel cuore, c’è posto per tutti lì!