poco agio.

standard 23 agosto 2010 1 response

il cielo giallo di un tramonto di fine agosto mi ricorda che tutto, prima o poi, volge ad un termine. che tutto è parte di un ciclo, che tutto cambia.
se non avessi già vissuto queste scene mille volte, mille sere, mille sorrisi e volti, non penserei che è l’ennesima ripetizione, ma che sto finalmente vedendo uno spiraglio di luce in mezzo al deserto delle mie emozioni.

ma questo cielo giallo mi ricorda che sono vulnerabile
infame
stupida
che mi faccio raggirare e illudere.
le nuvole sfilacciate mi stordiscono,
non ho più un riferimento,
non ho più me stessa,
butto via la mia libertà
in attesa di un autobus che non passerà mai.

attesa estenuante.
le rughe si fanno più spesse
su ciò che rimane del mio cuore.

alcatraz

standard 20 agosto 2010 1 response

troppo corta la catena che stringe l’anello alla caviglia. troppo corta e troppo faticoso disfarsene.
avere i movimenti per qualche motivo impediti è molto più semplice.
divincolarsi, sudare, rimanere fermi dove si è, molto più congeniale.
da lì si può comunque godere del panorama, apprezzare i particolari, godere dei vantaggi.
per quanto si possa disprezzare questo comportamento, chi lo accetta passivamente è forse ancora più ingiustificabile.
chi lo guarda fermarsi, ogni volta, al solito ostacolo.
chi lo osserva fare finta di provarci.
chi capisce che quei tentativi falliti sono frutto di una volontà determinata a farli fallire.
chi sente che la catena mai si spezzerà e le distanze continueranno ad essere le stesse.
il senso di colpa, di inettitudine, si disegna nella mente di chi soccombe.
si fa materia modellabile e allo stesso tempo astratta.
si dissolve quando il cuore vince, si propone imbattibile quando la ragione vince.
siamo in prigione amici, questo è quello che succede qua dentro.

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum

standard 8 agosto 2010 Leave a response

“Ti amo.”
La forma morbida e profumata della sua bocca si avvicina all’orecchio di lui. Sussurra queste poche lettere, binomio importante, dopo tutto ciò che avevano vissuto insieme.
Solito sguardo, quello di lui. Occhi un pò persi nel vuoto, convinzione e dimestichezza con la povertà di emozioni.
Niente si muove.
Il cuore di lui è come una strada di città in agosto.
Arido e avido. Spaccato come la terra arsa dal sole.
Ciò che c’è stato, non lascia altro che puliti ricordi senza nessuna richiesta. E’ sufficiente. Ciò che è stato con lei, è sufficiente a soddisfarlo. Mai una sorpresa, mai una svolta. La sensazione di appagamento data dalle due parole di lei è pari a tutto quello che aveva sempre pensato: “non ho bisogno d’altro”.
Lei e lui si completano. Si soddisfano, si piacciono, si attraggono come fosse la prima volta, forse anche di più, si vogliono, si equilibrano. Ma lui non vuole pensare che la vita sia oggi, non il pensiero di un domani banale.
L’oggi, però, non basta. Se non ami, niente basta.
Senza risposta e senza battito, senza voce il silenzio che è seguito.
Lei pensa mille cose in un secondo. Che ha fatto bene, che ha fatto male, che errare è umano, ma perpetrare è diabolico, che oggi si è fatta carina senza sapere perchè, visto che l’abitudine del guardarsi talvolta banalizza l’entusiasmo. Pensa che vorrebbe abbracciarlo, baciarlo, provare la sensazione di appartenenza, di scambio, di profondo legame, come sempre c’è stato con lui. Pensa che vorrebbe scappare, portarlo via. Pensa che vorrebbe farlo innamorare di lei, ora e per sempre.
Lei continua ad amarlo in silenzio, senza aspettare alcuna sillaba dalla sua bocca.
Lei sa che se fosse in un altro luogo, in un altro momento, l’amerebbe.
Lei sa che non ha senso continuare a torturarsi la mente perchè niente cambia.
Perchè sono lì. Adesso. Lui e lei.
Diabolicamente perseverano nel rimanere uguali a loro stessi.
Troppe ferite il cambiamento, troppo sudore per ipotetici sorrisi.

black out.

standard 6 agosto 2010 Leave a response

questa è una creatura poco spontanea, le cui virgole e frammenti escono a fatica.
le parole che vorrei scrivere mi osservano inespresse, orgogliose di non darmela vinta.
se chiudo gli occhi percorro tappe del futuro che ancora non hanno visto la luce e che forse mai la vedranno, se mi soffermo un attimo si disegna davanti a me lo spettro di ciò che non desidero.
continuo a sognare, sogno incendi, case allagate.
come al solito le contrapposizioni.
acqua
fuoco.
una cosa non esclude mai l’altra, non con me perlomeno.
rimando le decisioni, rimando le situazioni.
sogno ansie, fiato sul collo, concitamento e sudore, freddo/caldo, perdita.
sono diventata così brava a dissimulare che anche con me stessa riesco a mentire.
la luce è sempre spenta.
si sta così bene nell’inconsapevolezza del buio.
la vista rende le mani come occhi saggi ed esperti, che si muovono per definire il contorno delle cose. ma infondo, tutto somiglia ad una giustificazione.
posso dire di non averlo visto.
posso fare un capriccio per non avere responsabilità.
io non l’ho vista.
io non l’ho vista la mia coscienza scegliere razionalmente.
io ho scelto perchè lo sentivo, perchè le mie mani hanno scelto per i miei occhi.
perchè l’acqua, il fuoco, il contrasto, le differenze, ogni tanto si azzerano.
il silenzio e l’assenza di luce favoriscono ciò che non ti aspetti.
luce. rimani spenta.

fuochi di paglia

standard 26 luglio 2010 2 responses

vivere sempre senza sicurezze, sul filo del rasoio.
vivere svegliandosi e rendersi conto che la realtà, i sogni, gli incubi talvolta si bilanciano.
ho aperto gli occhi stamani, vedendomi allo specchio.
ho visto la mia anima a nudo, come un flash.
ho visto chi non vorrei, chi mi tormenta, chi non mi lascia in pace.
e la colpa non è “sua”.
la colpa è solo mia.
o forse non è nemmeno questione di colpe.

non riesco a scrivere stamani.
il sogno che mi ha svegliato, ha già detto tutto.
per una volta non vorrei davvero che ciò che sogno, fosse vero.
ma vorrei che il fuoco che penso di sentire, non si rivelasse una cosa passeggera e accecante.
il mio cuore non è fatto di paglia.

le caselline ed i numeri.

standard 10 luglio 2010 5 responses

ci sono delle parole, delle frasi, che suonano come delle sentenze.

una gomma che cancella tutti i sorrisi, un velo che copre i sentimenti e chiude il cuore.
una spazzatura che nasconde i profumi del mondo.
ci sono delle parole che non ti stanchi mai di sentirti dire, che affossano la tua autostima, che ti fanno sentire scaraventata in una discarica che non ha mai un fondo.
perchè la volta prima pensi che il fondo c’è. è lì. lo senti con le unghie.
invece no.
è un abisso senza fine, un baratro scuro e infinito che ti fa precipitare nell’oblio della ragione.
errori che si sommano ad errori, in una somma senza risultato.
sono una bambina. una bambina che gioca a campana.
saltello da una casella ad un altra, dall’uno, al due, al tre…
conto ad alta voce.
ho le codine e tutti i ciuffetti di capelli ribelli che mi escono dai laccetti con le fragole, perchè ho i capelli troppo lisci per stare a posto.
la gonnellina sobbalza ad ogni saltello, è estate, la stoffa è leggera.
gli alberi della campagna maremmana creano un’ombra mai sufficiente per questo caldo. tra ogni fronda si insinua il sole.
il pomeriggio torrido lascia qualche rivolo di sudore sulla mia schiena un pò abbronzata.
gioco a campana e tiro il sassolino.
l’ho lanciato sul 7. è lontano.
è lontano ma lo raggiungo. dopo un pò che provo e riprovo ho acquisito un pò di esperienza.
ma cado. arrivo al traguardo, al 7, un traguardo parziale, ma cado.
mi sbuccio il ginocchio, il rivolo di sudore si mischia con la piccola lacrima che esce spontaneamente dal mio occhio. un riflesso incondizionato del mio corpo che cerca di consolarsi del mancato risultato, della crosticina che mi verrà tra qualche ora, della piccola delusione che mi contrae i muscoli.
prendo il sassolino che mi aspetta all’angolo destro, in alto, nella casella del 7.
il sassolino c’è sempre.
è la mia volontà.
è una volontà che io tiro, maltratto e allungo ogni volta, per capire i miei limiti, perchè non voglio dei limiti, non su certe cose.
raccolgo il sassolino e la mia lacrima cade sull’asfalto.
mentre cade già si asciuga, l’alone di bagnato si spegne col calore della terra.
torno alla partenza, risoluta.
mi asciugo il naso con la mano, sistemo le codine e aggiusto la gonnellina leggera.
sono pronta per ricominciare.
devo solo trovare il gessetto per disegnare un’altra campana.

“non” o “sull’irrazionalità”

standard 26 giugno 2010 2 responses

non sono un burattino.
non recito come un’attrice.
non mi preparo discorsi, non mi creo aspettative.
non sono programmata.
non dico cose sulle quali non si possa contare.
non voglio più aspettare, dire che non ci ho provato.
non mi diverto a esercitarmi sulla pelle degli altri.
non mi dipingo come non sono, verrei subito scoperta.
non ho strategie.
non seguo consigli, sbaglio spesso.
non costringo.
non tollero le ingiustizie ad ogni livello.
non sono conforme.
non sono tranquilla.
non mi piace la pioggia, non mi piace il vento.
non sopporto le bugie, la falsità.
non voglio essere razionale.
non ora.

puzzle di lucidità.

standard 19 giugno 2010 Leave a response
curo i miei lividi con appassionata attenzione
faccio accumulare polvere
su polvere
pezzetti di carta lascio cadere dall’alto
per creare un puzzle
una pozzanghera dai contorni frastagliati
sulla quale si posa il mio sguardo.

vividi ricordi
vivide immagini dal futuro
convinco il mio cuore che tutto è possibile
che non sia un battito d’ali a distrarmi
convinco il mio sorriso che, nonostante la pioggia,
i dissapori,
le mancanze,
c’è sempre uno sguardo pronto ad accoglierlo.

le prove del nove.

standard 10 giugno 2010 5 responses
miei cari lettori, buongiorno.
Siete pochi ma affido sempre i miei pensieri a voi, a chi vi capita raramente, a chi è un avido lettore, a chi piace leggere le mie avventure (soprattutto virtuali).
Ho quasi finito di fare la valigia, vado a Roma per qualche giorno, impegni “atletici”. Vado a Roma povera di stimoli, con la voglia di ricaricarmi un pò queste pile alcaline vecchie e ossidate, credendo che la lontananza dalla solita routine possa in qualche modo smuovere quei meccanismi arrugginiti che fanno scricchiolare la mia vita, i miei mesi, da due anni a questa parte.
Non so cosa spero, non so nemmeno se spero. Se lo scrivo ancora, dopo tutto questo tempo, forse si. D’altra parte la speranza è ciò che ci fa alzare ogni mattina e vivere senza pensare che non ne valga la pena. La cosa che non so è PER COSA spero. Egocentristicamente parlando, spero per me stessa. Per il mio futuro, per la mia salute, per il mio lavoro. E poi, come in un banaliiiiiiiiiiiissimo circuito di go-kart, con le macchinine che girano costantemente, spero nell’arrivo dell’amore. Di quel tuffo al cuore, di quel momento di torpore delle mani-ossa-muscoli-salivazione che non ti fa capire più un cavolo e che così tanto mi manca.
Vorrei che questa maledetta “prova del nove” stavolta non tornasse, desse un risultato diverso. Voglio che la mia vita sia sempre più dispari, voglio che il sussurro del minuto che arriva mi sorprenda, lasciandomi senza parole. Voglio non scrivere più di cose che mi mancano, così come mi manca l’amore.
Amo le mie piantine grasse, vedere che crescono e come crescono.
Amo le mie sorelle, guardarle negli occhi e sentirmi a posto.
Amo i miei gatti e il loro modo di farmi sentire importante.
Amo i miei amici. E su questo non c’è da argomentare perchè loro sono ciò che di più splendido si possa avere.
Amo chi non ho e, probabilmente, non si può amare in una maniera più pura di così. Senza pretendere, senza confessare, senza ostentare. Pensando che non si ama e che, per il momento, la prova del nove possa essere una verifica sufficiente. E matematicamente non adatta a misurare il mio amore.