la mia mente non ha mai concepito la cattiveria, la pochezza d’animo, le ingiustizie.
non voglio scrivere l’apologia dei miei genitori, non voglio tessere le loro lodi come se fossero degli esseri perfetti e non è nemmeno una gara a chi soffre di più o a chi ha avuto più difficoltà.
voglio solo scrivere una storia, una storia di cattiverie e malignità che va avanti da una vita, della quale non vorrei più sentir parlare, per la quale non vorrei più dispiacermi o vedere cadere una lacrima dagli occhi di chi amo.
questa storia comincia quando io non c’ero ancora, nei soprusi e nei meccanismi intrigati, di psicologie e invidia che ti acceca, nella gelosia di chi pensa che plasmare la mente di una persona senza farle vivere la propria vita, sia una cosa buona e giusta.
vivere con altre 3 sorelle non è certo una cosa facile ed io lo so bene. quando hai un carattere mansueto, dolce, adattabile a tutto e a tutti, gentile, sei facilmente preda di persone più grandi e dispotiche. purtroppo non riesco ad essere cattiva per capire come si possa odiare così tanto o dire certe cose di chi fa parte del tuo cuore, di chi è cresciuto con te e ha condiviso tutto, dal graffio sul ginocchio dopo che si è caduti dalla bicicletta, alle cicatrici del cuore, dallo sguardo sul paesaggio lontano alle carezze della mamma.
scrivo di questo con la certezza che ciò non accadrà mai tra di noi. perchè ho imparato cosa significa questa sofferenza “grazie” a persone così, che hanno provato a trascinare altre nel loro delirio di onnipotenza. di separare chi si ama, di creare dolore senza trarne nessun altro vantaggio che il veder soffrire gli altri.
impariamo ad amare, perchè non è mai abbastanza.
io mi impegno ad amare anche chi vorrebbe decidere per me un futuro diverso da quello che, per fortuna, ho.