Nebbia.

standard 16 dicembre 2013 31 responses

Scivolo con i pensieri e con le braccia, sul bordo della vasca appoggio le mie membra stanche.
Sono livida, stanca, poco cordiale, ma sempre innocua.
Non ho ancora varcato il confine. Mentre mi bagno la punta del piede sento che mi abbandona anche l’ultimo entusiasmo remoto, mi lascio andare.
L’acqua risponde alla mia richiesta, mi coccola, mi scalda, rende le mie palpebre pesanti. Si incrociano le ciglia e chiudo gli occhi, sommersa dalle piccole onde del mio profumato bagno.
Galleggiano le bucce d’arancia, i miei capelli si bagnano al gusto di agrumi, sento le essenze insistere per entrare nel mio naso.
Sono circondata. Questo vapore come nebbia copre tutta la stanza. 
Continuo il mio bagno, non c’è più una vasca, non c’è più nessun bordo, sento il frusciare delle foglie, delle canne di bamboo.
L’acqua è fredda. Io sono livida, di un livido inverno, sono gelida, di una gelida nebbia.
Le mie mani si muovono nell’ombra di questa notte, lascio che mi avvolga.
Pensieri, braccia, capelli, profumo, non sento più niente.
La morte di Marat (1793) – J. L. David

Mi piace scrivere. 
Ci provo, anche quando non mi sento particolarmente ispirata, anche quando c’è la nebbia che mi offusca la visione delle cose, anche quando sono polemica, triste, pensierosa, invischiata, ammuffita. E’ facile cadere nei tranelli quotidiani del fare per non fare. Ogni tanto mi ci lascio trasportare, per comodità, per indolenza, per mancanza di energie. Ma in realtà, e questo lo imparo quando la nebbia si dirada, il tempo c’è sempre, per fare le cose che veramente amiamo fare. E allora si mette da parte tutto, anche quelle lacrime che si ostinano a rendere tutto più difficile, ma allo stesso tempo ripuliscono e sciolgono molti nodi.
Ci sono delle convinzioni di cui mi riempio la testa, delle ansie di cui imbottisco le mie giornate come se fossero dei grandi bomboloni strapieni di crema.
E poi viene il tempo per lasciar andare tutto e dire: Ok. Non ho scritto nulla in questi giorni. Però ho fatto molto. E quindi mi do pace, mi perdono, ecco. La mia sensibilità mi si ritorce contro, a volte…anzi, forse molto più spesso di quello che credo, si trasforma in insicurezza e domande. E allora quel tempo, che già è poco e soffocato, lo riempio di punti interrogativi, che si intrecciano, si accavallano, mi perseguitano fino a farmi mancare l’aria.
Fortuna che poi non muoio. Nessuno viene ad uccidermi di soppiato nella vasca da bagno, e non perchè non ce l’ho, ma perchè non c’è niente da ammazzare, se non un’immagine di me che devo riuscire a dimenticare, nella quale ogni tanto mi rifugio per compatirmi e subito dopo odiarmi…e fuggire di nuovo. 
Io sono quella dei sorrisi. Dell’entusiasmo, della follia buona, delle piccole cose.
Sono otto mesi che il mio coinquilino non è più solo un coinquilino. Lui ha la chiave per capire i miei punti interrogativi. Li prende, li stira, li rigira. Adesso hanno tutti la forma di un sorriso. 
(Non nego che a volte anche lui non sa molto bene come fa, perchè io sono una rompiscatole non indifferente…però poi alla fine ci riesce sempre!)
E quest’anno non vedo l’ora che sia Natale. Per nessun’altro motivo che stare con le persone che amo.
Abbracciare le mie sorelle, i miei, la mia nipotina, il pancione di mia sorella e avere con me LA persona che voglio accanto.

Buona settimana, che sia piena di punti interrogativi in trasformazione. ?

Un’eccessiva insalata (di parole) troppo condita.

standard 23 settembre 2013 71 responses
Voce del verbo ECCEDERE.
Io eccedo.
Metto troppi punti esclamativi, quando devo indorare una pillola.
Vado troppe volte a capo.
Faccio periodi troppo brevi e concisi.
Faccio pensieri contorti.
Le mie associazioni mentali sono di difficile comprensione anche per me che le partorisco.
Eccedo in raccomandazioni, con sorelle abbastanza grandi per sbrigarsela da sole.
Eccedo in domande…dio mio quante domande faccio.
Perchè? Perchè? Ma quando? E quanto? Dove? Sicuro?
Sono un tormento.
Talvolta ammorbante.
Eccedo in chiacchiere.
Mi piace comunicare, che posso farci.
Scrivo
Parlo
Leggo
Commento
Polemizzo
Sono una presenza. Certo non si può dire il contrario.
Quanto mi piace usare le parole.
Le metto lì, in controluce, le guardo.
Se non le conosco, le studio, per usarle nel modo appropriato.
Le pianto sotto terra e le faccio germogliare.
Uhhh guarda quella come è carina, ci sta bene in quel discorso. 
La prendo, con tutta la radice, e ce la metto. Tutta sporca di terra e profumata di verità.
Discorsi colorati come fiori freschi.
Ecco cosa sono: un’eccessiva fioraia di parole. Compongo ricchi mazzolini, nella mia testa. C’è un’amica che mi dice che sono fiorita, come darle torto?
E quindi eccedo in parole di contrabbando, che arrivano furtive senza chiedere il visto alla frontiera.
Alcune, spavalde, senza nessun filtro.
Con altre sono dietista. Le soppeso e le metto in cura, dimagriscono, si affinano, diventano accuminate come spilli o rotonde come un abbraccio.
Parole grasse, parole magre.
Parole profumate, parole intense.
Parole spacciatrici, parole oppiacee.

Questa eccessiva voglia di raccontare, mi accompagna da sempre, è la mia ancora.
E’ il mio modo per dire a me stessa che ci sono, per accarezzare gli amici cari, per sviscerare i sentimenti profondi. 
Le mie parole in un bagaglio a mano eccederebbero in peso.
Tatuate addosso indelebili, quelle che ho scelto.
Quadratini con lettere e numeri. Formo solo frasi ad alto punteggio. Zeta e Q come se piovessero.
Uno Scarabeo senza regole di tempo e spazio, grande quanto una piazza. 
Eccedo.
Non smetto mai e non mi piace smettere.
L’ultima parola è la mia, l’ho comprata.
L’ultimo bacio prima di dormire.
Quel chiodo fisso che devo sempre argomentare.
Insomma, le parole
Indispensabili.
Menomale ci siamo incontrate, da piccole. 
E’ un amore corrisposto e, a me, piacciono tanto le storie a lieto fine.

NOF4 – Incisioni sul muro dell’ospedale psichiatrico di Volterra

SOGNI PARALLELI.

standard 18 settembre 2013 33 responses

Ti prego, dimmi che non mi hai lasciato. Dimmi che sei qui, che la tua bocca mi bacerà ancora, che se voglio addormentarmi con la tua mano che mi stringe potrò farlo sempre. 
Sudo. Mi sveglio. Piango. Il mio incubo persistente, l’abbandono. La menzogna, il crollo dei progetti, degli sguardi verso il domani, insieme. Ma è solo un sogno, il cuscino mi racchiude, morbido, per il resto della notte…e la sua mano è lì, che stringe la mia.
 
Ti prego, dimmi che stai scherzando, amore mio! Non puoi credere che sognavo l’esatto contrario di ciò che ti ha turbato: festeggiavo il nostro futuro insieme! 
Mi asciuga le lacrime con le sue mani adorate, calma i miei singhiozzi. Nessuno mi abbandona, se non quando chiudo gli occhi e il buio mi circonda.
I miei gatti giocano, sono le sei del mattino, posso ancora dormire. 


La mia settimana è iniziata così, altalene, improvvise mutazioni.
Così la scorsa settimana si è appena conclusa, lasciando una scia strana dietro di se.
Ci sono dei contrasti che sono come le caselline della dama. Si posizionano in modo alternato, chiaro – scuro, bianco – nero, distinguendo i momenti. Solo il futuro è incolore, protetto dalla sua aura nebbiosa e stratificata da troppi desideri di conoscerne il contenuto.
Il futuro non ci appartiene. Forse solo la mattonella che abbiamo sotto i piedi è nostra e poi nemmeno lei, di nuovo non ci appartiene più.
Rimane l’essenza.
Rimane quel giovedì sera passato a domandarsi perché. Che anche se tu non sai nemmeno di che colore fossero i suoi occhi, percepisci l’angoscia di chi li conosceva bene.
Rimane un venerdì tormentato dai dubbi.
Rimane un sabato di sorrisi, perché in fondo chi se ne va non torna, anche se tu piangi.
Rimane l’essenza.
 
Mi sento un pizzico più saggia. Sempre la solita spaccona, polemica e arrogante, ma ho tra le mani tutto quello che mi serve per non smettere più di sorridere.
La nostra felicità dipende solo da noi, dall’intensità del nostro sorriso, dalla profondità della nostra vita, dall’insensatezza dei nostri lamenti e dalla continua voglia di fare. Ci possono essere circostanze, momenti, flussi negativi, ma non mi permetterò MAI di smettere di viverlo, questo O G G I.

****

Per chi si è preoccupato per me dico Grazie! Sto bene. Il Bullo non mi ha lasciato. E’ che quando succede qualcosa di molto grave e molto triste, anche se non mi colpisce direttamente, in qualche modo mi fa riflettere.
Vi regalo il mio inno alla vita:
Bullo, Baguette e Chorizo. TRI(S)PUDIO d’amore.

Innamorarsi (a trent’anni).

standard 2 luglio 2013 63 responses
E’ che esci ed è sabato mattina. C’è il sole e non quell’aria che fa sembrare giugno un novembre tiepido. Cammini per la tua radiosa città, ricettori e occhi aperti, voglia di amore.
Tutto cambia sapore, non c’è storia, con l’amore.
Come se fai scorrere un ruscellino nel letto del Nilo. L’acqua scorre come un velo, adagio e senza veemenza, ma comunque arriva a destinazione.
Ci mette il suo tempo, ogni sassolino il salto necessario per oltrepassarlo, ogni movimento regolato in base alla forza a disposizione. E lo impari, perchè il letto al quale devi adagiare la tua schiena non è mai sufficientemente comodo, perchè l’impetuoso getto di acqua ha sempre riempito con abbondanza il letto del fiume, per quanto grande fosse stato, senza mai lasciare niente per te.
Passo dopo passo, un sabato mattina, lo senti, che lo hai imparato. A misurare.
E la cosa più bella di quando impari qualcosa è che puoi decidere quando usarlo. E a me misurare, soprattutto MISURARMI, non piace. 
Soppeso, pondero e considero. Scelgo, decido di DARE. Se trattengo, trattengo perchè le ferite devono ancora quietarsi, perchè i lividi assorbirsi, perchè la domanda è scarsa per quest’offerta così abbondante.
Con il righello in mano, con il goniometro, le squadrette e la bilancia cammino, per il lieve silenzio fiorentino, del sabato estivo mattuttino. Un duemilatredici scientificamente (ap)provato, un equilibrio che non lascia niente al caso. E’ che le misure si prendono quando si ha paura, quando lo spigolo pare troppo affilato per non ferirti e i sorrisi troppo finti per essere veri, come gli applausi comandati e le risate di sottofondo nei telefilm anni ’80. 
Ma sabato ho messo tutti questi centimetri e pensieri in borsa, ho continuato a camminare. 
Ho visto i sorrisi veri.
Gli abbracci desiderati.
Le emozioni che non si trattengono.
I fuochi spenti e riaccesi.
Le crestine e i riccioli ribelli, le zeppe comode e le gambe lunghe.
Le chiacchiere nascoste.
I panini e il vino su un marciapiede.

Ho visto che nel cuore ti ci rimane chi decidi tu, tra i tanti che passano.
E anche chi non rimane, comunque, ti lascia qualcosa, una carezza, un petalo, un profumo, una foto.
E anche chi non è presente…c’è comunque.

E’ che esci ed è sabato mattina. Decidi di DARE. 
Amare, a trentanni, senza ritorno.

credits to ZioPiero

credits to ZioPiero

BlogGalline, questo post è per Voi!

Il pensiero lineare.

standard 10 giugno 2013 68 responses
L’eco dei pensieri lineari oggi scarseggia.
Mi fanno compagnia delle immagini, sotto forma di elenco, da stamattina. Si susseguono come diapositive, random e senza soluzione di continuità, davanti ai miei occhi che fissano questo pc per otto ore al dì. Che tutto sia la conseguenza di una settimana, la scorsa, in cui sono stata molto presa? Oppure forse di questo fine settimana entusiasmante, ricco, carico, pieno (di chiacchiere, di cibo, di conoscenze, di persone, di panorami, di tosse, di pioggia e sole)?
Chissà.

Ciliegie rosse, con la guancia gialla, nel cestino della mia bici.
Bicicletta rosa confetto.
Un ombrello al contrario, sul marciapiede.
Righe e quadretti, fantasie geometriche.
Piani e ripiani gustosi, dolci.
Sandali e pozzanghere scure.
Gonne blu, di velo, leggere come la brezza del mare.
Precipitazioni varie, crolli.
Contatto.
Fare la pace con tutti, poi litigare di nuovo.
Polemiche sterili e tante parole.
Sapori (dal sud).
Latte e derivati che non posso assaggiare.
Sogni di amiche senza senso.
Amori non andati a buon fine.
Pidocchi infestanti.
Aiuole di piante succulente, felici.
Ancora ciliegie, ancora mal di pancia.
Desideri vestiti di bianco, col velo.
Andare al nocciolo delle questioni.
Preoccupazioni.
Sviluppare strati necessari alla sopravvivenza.
Mondo cannibale.
Gnam, mi mangiano la mia coscia muscolosa.
Devo andare.
Rimane la sostanza.
I miei occhi nocciolini, il mio profumo di passaggio, il mio sospiro, il piccolo sacrificio mal voluto, la bocca storta, il suono di qualche distorsione, tu e i tuoi schiocchi sulla mia pelle, i piccoli lividi, il movimento coordinato del cuore con il battito di ciglia, la stanchezza, l’irrequietezza, l’ossessione di uno spauracchio.
Il sapore dolce di quello che 
Era. 
E’. 
Sarà.

Foto geniale scattata da me.

Irregolare e profumata (come la buccia di un pompelmo rosa).

standard 31 maggio 2013 73 responses

Tutto comincia da qui.

Giuseppe Sanmartino – Cristo velato (1753)

Perchè anche se studi storia dell’arte per anni, non è che ti puoi ricordare tutto. Ti basta poi un accenno e qualcosa ti risveglia delle emozioni. Dopo aver vissuto l’arte in modo accademico adesso la vivo in modo emozionale…o forse sono sempre andate di pari passo, solo che adesso è molto più forte ciò che sento piuttosto che ciò che so, quando guardo un’opera. 
La mia sensibilità mi fa esplorare ogni volta delle curve mai viste, di quel velo sul volto. Ed è come se lo toccassi, se lo sentissi su di me. Lo vedete quasi impalpabile, leggero, ma è marmo. 
Pesante, bianco, puro e duro. 
Che abilità nel tradurlo in leggerezza, nel renderlo come un sottile strato di cipria, da spazzolare via con un soffio di vento, come faccio ogni mattina sulle mie guance, colorandomi di rosa chiaro, per non essere pallida e vulnerabile.
Tutto comincia dove decido che debba cominciare.
E oggi si comincia dal ricordo di un velo. Quello che copre la mia testa di nero, quello che mi comprime così forte da non farmi ricordare come si prende fiato, immersi nel nulla.
Ed è così profondo, così scuro, infame, bastardo, sleale, che combattere non serve, se non a farti affogare ancora di più. Anche se mi impongo di stare a galla, annaspo.
Quel velo è la P A U R A. Con la P maiuscola.
Ti spara alla schiena, prima che tu finisca di camminare verso il punto accordato, non si fa guardare negli occhi.
Ti spegne tutti i pulsanti, i ricettori coscienti dell’amore. 
Tutti abbiamo vissuto qualcosa che ci ha attaccato addosso delle macchie nere di pece, le mie le conosco bene. So quanto sono grandi, profonde e vorticose, ma quando decidono di staccare la mia spina con i sensi mi lasciano inerme. Ho paura e basta, in quel momento. Che duri un minuto o un pomeriggio, non riesco a vedere, è orribile. Rimango ferma, immobile, in uno spazio in cui non c’è niente. 
Il velo mi soffoca, il buio mi invade.
Poi passa. Non so come sia possibile, passa. Ti svegli la mattina e l’unica cosa in cui affoghi sono gli occhi azzurri della persona che ami. E nel muffin al cocco fatto la sera prima.
E hai bisogno di riempire le tue ore di quella frivolezza solare che scolpisce ogni giorno la tua vita, senza malignità, senza nascondigli, senza angoscie e impervi e tortuosi percorsi.
 
Tutto comincia dove io decido che debba cominciare.
Comincia che il buongiorno che scrivi ad un’amica diventa il tuo post. 
Il post composto come una torta a strati.
E quindi inizia dall’arte e finisce con un sorriso.
E io con lei sono un soffione. Abbiamo due cervelli che se ci soffi sopra sfuggono alla scatola cranica (dice Sandra). Sempre più poveri di materia grigia, ogni giorno (dico io). Poco cervello e scappaticcio (dice lei).
Perchè io ho un’amica che dice che siamo (io e lei) fiorite come due zucchine.
E grulle come i grilli alle Cascine.
E io aggiungo che siamo fave come le fave.
Genuine, vive, pur sempre GALLINE.
“La mia amica mi dice di sorridere, di essere felice oggi perchè oggi conta e non domani.
La mia amica mi dice di essere positiva e piena di amore perchè l’amore chiama l’amore e noi (io e lei) non sappiamo vivere senza l’Ammmmmore, quello con la A MAIUSCOLA e con tutte le mmmmm del mondo.
La mia amica mi dice che mi vuole bene.”
 
Grazie Sandra. Io ti dico che sei speciale.
Oggi sono un cerchio che si chiude.
Ne decido l’inizio e la fine.
Senza che mi giri la testa.

(Siete confusi? Lo faccio per confondere la paura. Sia mai che volesse tornare.)

Se nasci tondo…

standard 7 maggio 2013 51 responses


Elena Vizerskaya – fotografa/artista ucraina

Se nasci tondo…vuoi un mondo soffice.
Vuoi un mondo senza spigoli, nel quale appoggiare schiena/testa/gambe e lasciare le braccia scendere a penzoloni, come se il bordo fosse il perimetro di una mezza luna.
Ciò che ti cambia sono le circostanze, gli avvenimenti, quello che fa diventare il percorso lineare, con le pareti ovattate, un sinuoso dispiegarsi di dettagli, poi impervio, poi pieno di quegli spigoli ricacciati via.
Se nasci tondo e ti trovi a vivere in un dodecaedro stellato, la vita non è proprio agevole.
Ti agganci ad ogni curva, hai graffi, segni sul corpo, evidenti e in superficie, difficili da mascherare come una cicatrice sul viso. Sono uncini quelli che ti acchiappano, la stoffa si allunga, la pelle si strazia, quando torna indietro, quando si lacera, è imprevedibile. Ma il risultato del camminare è questo. A volte si incontrano rovi, a volte solo erba fresca, che ti bagna di rugiada le caviglie. Cogliere more tra le spine nel mondo tondo non è reale, è immaginazione, è sogno. E la vita è altro.

Se nasci tondo la tua vita diventa flessibile, così che nessuno spigolo possa mai condizionarti veramente.
Fino a quando non incontri qualcuno che ti chiude in un piccolo cubo.
E questo qualcuno effettivamente ti assomiglia così tanto che sembri quasi tu. Un riflesso dotato di indipendenza, di chiavi, di lucchetto, che ti sigilla dentro un cubo soffocante, rosso cremisi sfumato con il blu.

Per uscire una sola alternativa.
Imparare a respirare negli spazi angusti.
Scegliere una sola chiave.
Inserirla nella toppa, piccola, come fosse una miniatura.
Capire il corretto senso per sbloccare il meccanismo.
Girare la chiave.
Solo così il riflesso scompare, si diluisce ogni chiavistello che scatta, fino a dissolversi. Rimani solo tu, è vero, tu con te stesso, con le tue armi e i tuoi difetti, la solitudine di ogni passo e la paura di aprire quella piccola porta del piccolo cubo in cui ti eri abituato a stare.
Ma la luce che entra da fuori non è più quella di un mondo rotondo.
È un mondo di mille specchi, di cerchi concentrici, di colori. Un Giardino dei Tarocchi di infinita meraviglia, un sottobosco profumato di funghi e ciclamini selvatici, dove non è più necessaria alcuna forma geometrica ma solo sviluppare i sensi e ascoltare se stessi, il proprio cuore, l’istinto e la ragione, l’unione di tutto. 
Questo è il mondo vero, sensuale, lussurioso e lussureggiante, cosmico, unito, ridondante e abbondante.
E’ il mondo che ho sempre voluto, quello dove non si deve chiedere niente, non perchè sia scontato ma perchè è un flusso continuo, senza limiti, spontaneo.
Quindi esci dal cubo e ti lasci travolgere. 
Confini e argini abbattuti, ogni limite sconvolto.
Noi abitiamo improvvisamente un mondo diverso. Pieno di luce, senza inganni, non c’è spazio per nascondersi. 
Il domani è sconosciuto ma la certezza che la vita rende le cose irripetibili rende tutto così infrangibile adesso. 

Sono presuntuosamente, schifosamente, vergognosamente  
f e l i c e

——————————————–
Piccola osservazione per tutte/i voi: Grazie
Fatene ciò che volete del mio grazie, però GRAZIE davvero.
E faccio anche un nome…anzi due. Mary e Roby
Semino…ma quanto ti avrò rotto le balle in questi mesi? Grazie.
Mezzamelina tu sai, non devo aggiungere altro. Quotidiano amore il nostro, puntuale 9-18. T’amo.
(Elle tesoro, grazie per avermi fatto scoprire quella meravigliosa artista!)

Amore OGM – Bloggallinamente Modificato.

standard 29 aprile 2013 74 responses
Perchè sono poco convenzionale.
Poco convenzionale, con molti pensieri notturni, tutti per Voi.
C’era una zanzara che mi svegliava stanotte. Ora si, ora no.
Come un sistema binario.
Acceso. Spento.
Ho scritto mille frasi che si sono cancellate ad ogni battito di ciglia che mi riaccompagnava verso la notte. 
Ho scritto di abbracci e di sguardi carichi di emozione.
Ho scritto di qualche goccia di pioggia che ci ha fatto camminare sotto lo stesso ombrello.
Di ricordi romantici come fossero mille storie d’amore.
Di sapori nuovi, di pietanze speciali, dal gusto Aromatico.
Ho scritto perchè ho fatto poche foto, praticamente nessuna.
Ma nei miei occhi è tutto registrato.
Perchè questo è un AMORE OGM, geneticamente modificato.
Qui si tratta di persone tutte poco convenzionali.
Di donne senza smanie di eccellenza, se non nel cuore. Che poi è l’eccellenza migliore che si possa ricercare.
Noi, Bloggalline, artiste di un quotidiano vivere virtuale, abbiamo sorpassato l’ostacolo più temuto: una marea di parole scritte. Sapevamo che ciò che ci aspettava sarebbe stato grande, ma quello che è REALMENTE stato, è stato una valanga sorprendente.
Quando ti trovi senza timore davanti a qualcosa che ti piace, non rimane che sorridere.
Se questo qualcosa che ti piace è così puro, sincero e al profumo di amicizia, sincerità, purezza, spontaneità, bellezza è come contemplare un’opera d’arte.
E quindi senza fiato, senza altre parole se non tutti i GRAZIE che vorrei dire, vi dedico ogni mio pensiero sorridente, ogni momento che vorrei passare a raccontarvi e a sentirvi raccontare.
Grazie a chi ha fatto tanto.
Grazie a chi mi ha rivolto anche solo un sorriso.
Grazie a chi mi ha preso per mano in tanti momenti di oblio.
Grazie a chi non è potuto venire.
Grazie perchè ogni Coccodè con voi ha un senso speciale e anche in questo mio blog, un po’ troppo poetico e snob, voi ci state benissimo e non potrei fare a meno di aver incrociato i vostri sguardi.
Grazie. Perchè con voi ho scoperto come sia ancora possibile stupirsi della genuinità, del disinteresse, del calore umano.
A Roma, sabato, abbiamo disegnato insieme un arcobaleno.
Dove attingere un po’ di colore in ogni giornata buia, dove lasciare un pensiero, uno sguardo, un sorriso, per ritrovarlo di rimando dal riflesso delle vostre bianche piume.
Siete uniche, Bloggalline.

Un caffè d’orzo romano, pieno d’amore. I LOVE BLOGGALLINE ?

Solo Cose Belle.

standard 15 aprile 2013 28 responses
C’era la luna sottile.
C’era l’aria tiepida.
C’era quell’aria leggera, che ti coglie solo nel momento in cui puoi essere colta. 
Non un attimo prima, non un attimo dopo.
C’era quel bagliore flebile, breve, della luna sottile.
C’era quella bilancia, che pesa tutte le parole, quelle necessarie.
C’era un’unica cosa da fare.

Chiudere gli occhi.
Non farsi domande, non cercare affannosamente risposte, non avere paura, dimenticare il buio e vedere solo quella fettina di luna sospesa, con un fine filo da pesca che la sorregge, ancora così delicata ma statica, presente.

Ho chiuso gli occhi.
Ho provato a scedere gli scalini senza guardare, tastando con il piede scalzo cosa c’era sotto.
C’era la terra, in fondo al pozzo. Umida, fertile, viva.
Un piccolo germoglio, illuminato dal chiarore lunare mi ha sfiorato la pianta del piede, sensibile al tatto di qualsiasi forma di vita. 

Occhi chiusi, sensi attenti.
Occhi chiusi, mani strette.
Occhi chiusi, luna crescente.

Vladimir Kush – Lock
Ho la testa nel “palloncino” in questi giorni. 
Perdonate la mia assenza quasi totale dai vostri blog (e dal mio) ma sono sotto evento a lavoro, ho la scrivania che sembra un campo da battaglia (dopo la battaglia) e da metà settimana sarò irraggiungibile/incontattabile ma soprattutto INSOPPORTABILE per altri sette giorni circa. Spero di ritrovarvi al mio “ritorno” virtuale, spero di leggervi ogni tanto per assaporare le vostre parole che amo così tanto leggere. 
E poi…il 27 aprile si avvicina. Io ho avuto un meraviglioso antipasto venerdì scorso con l’avvocato più pazzo della blogosfera di passaggio a Firenze (? la mia Vaty ?).
Vi mando un po’ della luce che vedo di riflesso dalle finestre aperte.
Questo nuovo sole è così intenso che mi toglie il fiato.

Il rumore di ogni attimo…

standard 8 aprile 2013 60 responses
Vorrei conoscere il rumore del dolore. 
Ricordarlo e riconoscerlo, da lontano.
Vorrei conoscere il rumore del dolore, 
per spezzarne tutti i rami sul nascere.
Vorrei conoscere il rumore del dolore,
per colorare la vita di leggerezza e fiori di ciliegio.

In fondo siamo sempre ad aspettare un rumore, un suono, un cenno.
Che squilli il telefono.
Che una voce ti chiami.
Che ci siano delle risposte.
Che per quanto ti chiudi le orecchie, tiri su il collo della maglia, ti chiudi dentro il cappuccio, il rumore che attendi, ad un certo punto, arrivi. 
Come un bacio per Biancaneve ti svegli.
Perché siamo fermi, nel torpore di quell’attesa, congelati, saturi di tentativi.
Ma siamo umani, non abbiamo super poteri, non siamo immortali, non siamo immuni, non siamo che fallibili e continuamente scettici.
E in quel battito nuovo, che aspettiamo, talvolta si cela il dolore.
Che non vorresti mai conoscere, che non vorresti mai sapere come consolare perché vorrebbe dire che non lo hai mai udito e provato.
E’ nel dare la forma a questo dolore che, chiuso il cerchio che lo rende spietato, dovremo essere capaci di riconoscere la grandiosità di questa sfuggevolezza, che tanto ci toglie, molto ci arricchisce, che ci secca la gola in mezzo secondo e ci disseta di quelle parole mancate, che distribuisce senza uguaglianza la sua presenza e per contro equamente dimostra di essere controvertibile, con un solo sorriso.
Non so attribuire né quantificare quanto generiamo noi stessi, di questo dolore, diventando i primi artefici dei nostri insuccessi; certo quando siamo incolpevoli, vittime, subendone l’avvento, possiamo lasciar scorrere le nostre lacrime, ogni volta che vogliamo, senza dimenticare mai di vivere questo oggi, sempre, fino all’ultimo suono.
Perché fino a quando le mie orecchie saranno capaci di udire il suono della musica, le mie mani di tremare per l’emozione, per la paura, per il terrore di non saper vincere delle crisi che nascono quando nasce l’ignoto, fino a quel momento, in cui sarò abile di ascoltare fino all’ultima nota della mia vita sempre voglio rammentare quanto valore ha un solo accordo di questo attimo.
Un valore alto, giusto, irripetibile e inconquistabile.
Katsushika Hokusai