Viaggi (in)aspettati…

standard 28 dicembre 2012 28 responses
Ho affogato il mio sgomento di questo Natale addormentato in un infinito mondo di pop corn.
L’altra sera al cinema.
Ci ho affondato la mano. Ho assaporato il sapore salato dei frammenti in fondo al contenitore colorato, si attaccavano alle dita umide di saliva.
Il film si snodava tra le foreste della terra di mezzo, Bilbo, Gandalf e i nani calcavano i terreni scricchiolanti di storie, lasciandosi alle spalle sangue, spade, frecce e sguardi d’intesa.
Un viaggio inaspettato.
Le lande sconfinate della Nuova Zelanda, le infinite montagne, il colore verde che quasi acceca gli occhi.
Un mondo inventato nei sogni più strani torna a vivere sotto i miei occhi.
Quei draghi che rispondono al terrore della perdita sono la forma delle mie paure. Le squame, il movimento rapido ma pesante, pungente e imprevisto.
Le paure di non riuscire a mettere tutto dentro un fagotto e partire.
Non ho uno zaino abbastanza capiente per portare con me le esperienze, la vita e i sorrisi che vorrei, i rimproveri e gli insegnamenti, le litigate furiose, le lacrime versate. 
Guardo le mie sorelle come fossero il film più bello che potrebbero scrivere sulla mia vita, vivo e godo ogni momento con loro perchè conosco i cambiamenti istantanei delle cose, come battiti di ciglia ben strutturati.
La più grande, così silenziosa e riservata, con quegli angoli acuti che sembrano dei cancelli invalicabili, dai quali puoi sperare di passare solo se lei decide di lasciare una piccola fessura, come un fiato di vento primaverile, come un petalo che ti carezza, nonostante non voglia far trapelare ciò che vive.
Le mie piccole bambine. I miei fiori. La “numero tre” e i suoi lunghi capelli, portatori delle sue mille facce, il sorriso e il pianto, quel dolore che non vorrei mai vederle provare, i diavoletti tentatori che le fanno cambiare modo di vivere quando lei, in fondo, è una candida margheritina di campo, come quelle che spuntano timide adesso, in questo dicembre così caldo. E la stella del mio cielo, dura, intoccabile. Ma quella fragilità e amore che leggo nel suo sorriso quando la accompagno a letto, mezza addormentata, o quegli abbracci e i baci di quando mi rivede dopo qualche settimana mi ripagano di tutta la sua poca docilità.
Voi credete che sia solo bello, dunque. Una famiglia numerosa è come una ricetta inventata, ingredienti improvvisati e un forno che non funziona. E’ un gran casino insomma. Gatti che miagolano, cane che abbaia, molte più probabilità di insuccesso, di delusioni, di sofferenze. Elasticità da far invidia all’argilla.
Se speri di tornare a casa e ricevere un abbraccio magari non è il tuo turno, arriva quando non lo vuoi. Tutti che fanno domande e non sono mai quelle giuste, quelle che vorresti sentire. Quando cambi lavoro, quando torni, quando riparti, quando trovi il fidanzato “giusto”, dai dai (pacca) vedrai che lo trovi anche te. Mix di parole da far venire un infarto insomma. 
Però. Il gioco vale la candela anzi. Il candelabro. 
Ogni parola fuori posto, ogni osservazione da nevrosi, ogni commentino stizzito che mi fa salire il sangue al cervello. Ognuno di questi momenti io li vivo e ringrazio i miei antipatici genitori di avermi dato tutto questo. 
Tutti i balletti stupidi, i versi ripetitivi, le paroline inventate, i soprannomi, gli sguardi.
Io che non amo il Natale, la bambina cattiva, impertinente e bizzosa, con le codine che non stanno mai al loro posto, altro che Grinch. Io sono proprio spietata con il Natale. 
Ma con le mie sorelle tutto diventa meraviglioso. 
Mangiare una montagna di pop corn guardando Lo Hobbit diventa un momento da ricordare. 
E la voglia di partire con loro, lasciare tutto, chiudere a chiave il male che a volte i nostri cuori pallidi e sensibili ci fanno sentire, mettere in valigia i nostri stracci, questo è quello che vorrei come regalo.

Casa è ormai dietro di te, il mondo è davanti

E io guardo avanti. Con i miei occhi, con tutte le speranze e le forze, con la voglia di brillare di nuovo, di osservare la mia volontà lottare contro l’indolenza e vincere, senza dubbio, vincere.
Se in tutto questo non ci sarà l’amore, quello – di cui sopra, pacche sulle spalle etc… – lì di amore, beh, state pur certi che non mi farò mancare di vivere.

FEEL. Quello che succede.

standard 29 novembre 2012 29 responses

E poi rimane solo questo.
Io, un foglio, una penna.
I segni di una notte vicina, che ancoa non si può cancellare.
Il mascara nero, che cola, di questa notte ancora da vivere.
E le parole che ancora mi  mancano, che non trovo, che non conosco, che mi fanno scrivere nell’unico modo che so.
Scrivere di me, di questi fazzoletti sprecati, in due notti così diverse.
Solo l’insonnia le accomuna.

Pace e tumulto in contrasto.
La sfiorata pace.
Il persistente tumulto.
Il faro non illumina la via che ho scelto. Cambia rotta.

I miei singhiozzi, i vetri appannati per le troppe parole.
Un abbraccio, le insistenze, le mani aggrappate al volante. Più lo stringono e più cercano la voglia di partire.
Girare la chiave, andare via.
Voltare le spalle, ancora una volta.
In queste due notti così diverse.
Nel profumo che conserva la mia pelle.
Nei segni di un passaggio. Qui chiudo i miei desideri. Soffoco la gioia dei miei sogni.

Perchè la vita non si vive da soli, perchè non si può fare finta che le cose non esistano, perchè io sono la campionessa del definitivo. Perchè i buchi non si tappano, le persone non si dimenticano.
Perchè si cambia e la vita cambia, perchè questa solitudine mi spacca i timpani e mi distrugge l’anima. Perchè vorrei solo delle risposte a tutte le mie domande, delle risposte che curino le ferite, quelle che io voglio sentire.
Perchè sono sfinita.

E questa notte è così diversa. Spengo le stelle con ogni mia lacrima. Il cielo scompare. Inghiotte le mie parole, anch’esse sconfitte.
Parole inutili.
Voglio le carezze tue, sul mio viso.
E il ricordo acceso dell’altra notte, che nessuna lacrima lo spenga. Che almeno lui rimanga a farmi compagnia, in questa sorda Firenze, che tanto amo ma che, per l’ennesima volta, raccoglie il mio pianto.
Di notte.
E sorda rimane nella sua magnifica bellezza, nelle sue strade vuote, nel suo castigo perenne, nella sua condanna, nella sua staticità di illusa Venere.
Abbracciami, Firenze.
Un girotondo di foglie arancioni accolga il mio cammino. Una meta che non conosco mi attende, lontana. Non ci sono nemmeno più gli spettri a seguirmi.
Non gli spettri del passato.
Solo il presente, che mi soffoca, disprezzando la mia voglia, ignorando il mio impegno, impedendo il mio domani.

Firenze, 29 novembre 2012 – ore 4.20 di mattina.
Cielo terso. Luna quasi piena.

Come and hold my hand
I wanna contact the living
Not sure I understand
This role I’ve been given

I sit and talk to God
And he just laughs at my plans
My head speaks a language
I don’t understand 

I just wanna feel
Real love, fill the home that I live in
‘Cause I got too much life
Running through my veins

Going to waste

Se fossi… e la Maremma.

standard 15 novembre 2012 20 responses

Sulla scia del post di Monica di Emporio 21 che ha proposto un simpatico giochino alle sue colleghe blogger…eccomi con il mio Se fossi, aspetto i vostri!

Se fossi un dolce sarei il mille foglie con la crema al limone e tanta frutta sopra, un tripudio di gusto e dolcezza.
Se fossi una bevanda sarei l’acqua, perchè è limpida ed essenziale.

Se fossi un colore sarei il rosa caramella, coccoloso, infantile e morbido.

Se fossi un fiore (una pianta) sarei una pianta grassa, spinosa e immortale.

Se fossi un animale sarei un gatto, ronfante, attivo ma pigro e graffiante.

Se fossi un gelato sarei
un gusto di frutta, per rinfrescarmi idee e memorie.
Se fossi un Dio, sarei Flora, la dea della fioritura.

Se fossi un profumo, sarei quello della pelle dei bambini, innocente e da mordere.

Se fossi un libro sarei Ragione e Sentimento (J. Austen) …e anche molti altri.

Se fossi una canzone La Cura (Battiato), perchè le sue parole poetiche mi descrivono quasi alla perfezione.

Se fossi un film sarei L’attimo fuggente, poesia, poesia e ancora poesia.

Se fossi un sentimento sarei l’amore, perchè Amor Vincit Omnia et Nos Cedamus Amori.

Se fossi un artista sarei Michelangelo, poeta dello scalpello e di anime.
Se fossi una stagione sarei la primavera, quando è quasi estate, fiori, verde, odore di mare.
Se fossi una terra sarei la mia Maremma, calda, fieno e pini, collina e montagna. 
Se fossi un viaggio sarei il Giappone, tra i fiori di ciliegio, i libri di Murakami e la Grande Onda di Hokusai.
Se fossi un frutto sarei un po’ Mirtillo e un po’ Lampone. Il perchè lo sapete già.

Come al mio solito avrei voluto continuare per ore a scrivere, soprattutto quando si tratta di queste cose (di parlare di me soprattutto…) mi faccio sempre prendere la mano senza controllo! 
Però sono stata brava e, devo dire la verità, sono soddisfatta di aver esulato dalla poesia e dal pessimismo cosmico dei miei soliti ultimi post.
Aggiungo solo due parole, sulla mia Maremma.
Non voglio fare retorica o dire cose già ripetute, solo una cosa.
E’ una terra umile, la mia, una terra paludosa, contadina, umida, dalle mille sfumature di colori, di accenti, di spazi.
E’ una terra ricca. Di persone, con la faccia bruciata dal sole. Di frutti, raccolti con fatica. Di arte, archeologia, reperti, trovati e conservati con cura.
E’ una terra che potrei descrivere in mille modi e con mille parole, vorrei avere una foto di mio babbo per mostrare la poesia delle curve di ogni collina e il movimento delle spighe al vento e dei papaveri a primavera, tra i cespugli selvaggi e incoltivati.
E’ una terra di cui amo il mare, gli alberi, gli odori, i gusti e le strade. 
Rialzati Maremma, sconfiggi ancora una volta l’acqua. 
Donna dalla vitalità inaffondabile.

Breakfast at Tiffany’s

standard 5 novembre 2012 17 responses

sono veramente rare le volte in cui mi sento così poco comunicativa e socievole da non poter intrattenere (e tollerare) una conversazione.
stasera è una sera così.
una sera di quelle in cui ti guardi allo specchio e non ti riconosci.
una sera senza sorriso.
in cui l’amarezza si scioglie nelle lacrime e le rende ancora più corrosive.
una tipica sera di questo duemiladodici che, ben più di una volta, mi ha messo alla prova.
e la cosa che più di dispiace è che c’è molto di peggio.
ma “annullare” la festa del mio compleanno è, per me, come un secchiello riempito con la sabbia sbagliata, non ancora abbastanza bagnata. e il castello non sta su.
quello specchio mi rimanda l’immagine sfocata di chi ha fatto tanto ma non abbastanza per  riempirsi la bocca di indipendenza e possibilità. 
ho riposto i miei sogni in un cassetto, facendo finta fossero troppo difficili da raggiungere.
nel cassetto di fianco c’è la delusione.
guardo la vetrina di Tiffany, mi fingo ricca.
ma non ho niente.
niente.



Piccole Donne…

standard 18 ottobre 2012 10 responses

oggi mi sento così, anche se è una condizione che sento mia da tempo, oggi più del solito…

più nello specifico così:
(tratto da Wikipedia)
  

Josephine, detta Jo, è la secondogenita delle sorelle ed ha 15 anni. Inizialmente lavora come dama di compagnia per la zia March. Viene descritta come schietta, coraggiosa, determinata, ribelle e irrequieta. Ogni tanto tira fuori un carattere scontroso ed il suo temperamento impulsivo la porta ad arrabbiarsi spesso, ma ha sempre buone intenzioni. Jo non è molto femminile e le risulta difficile comportarsi come una “signorina” tanto che viene vista come il “maschiaccio” della famiglia. La sua sorellina preferita è Beth. Le piace andare a cavallo e correre per i prati, ma la sua vera passione è la letteratura e coltiva il sogno di diventare una scrittrice famosa, così nel frattempo si diletta ad inventare storie da far leggere alle sorelle. Inizialmente Jo è contraria al matrimonio e al romanticismo in generale, ma in seguito si innamora, ricambiata, di un professore tedesco, Friederich Bhaer, molto più grande di lei di età.  

certo, ci sono dei dettagli che non corrispondono, ma il quadro generale può incastrarsi quasi alla perfezione!

un abbraccio, vostra Jo.

il viaggio delle anime.

standard 27 settembre 2012 1 response

il lungo viaggio delle anime
che si accampano in un tiepido luogo di luce e polvere
in contrasto con le loro ombre
una battaglia di ferite senza sosta
con i piedi scalzi
senza protezione
con i sogni che scivolano via come lacrime
con le lacrime che sembrano lame
gli occhi pieni di frammenti di vetro
ogni battito un dolore

si infrange il vuoto.

marmo bianco carezzano le mie mani.
il marmo della pelle che vorrei
soave
venature grigie, impuro candore
svelati mistero, alla soglia del mio viso contraffatto.
svelati senza pudore
l’attesa cela vana speranza 

stoffe arcaiche, intrecci di corda
collage di sorrisi e incontri
il viaggio delle anime approda 
l’orizzonte è limpido
il temporale non continua che nel ricordo, nel colore.

MOVING…

standard 26 settembre 2012 2 responses

mi vorrei spostare con la schiena carica di cose.
con calma.
viscida e soddisfatta del mio percorso.
sono una chiocciolina e passo da una foglia all’altra, cercando un nuovo mondo da esplorare, con le mie piccole antenne. 

vorrei voi, tutti.
che prendeste le mie cose, la mia casa intera, sulle vostre spalle, e la portaste giusto lì, dove mi sto per trasferire.
dai. dai per piacere!
scusate, sto solo traslocando, non sono improvvisamente impazzita. 
insomma…chi mi aiuta?
scarsa poeticità e infiniti desideri di passione. forte, vera, senza veli e vergogne.
  

sud.

standard 19 settembre 2012 1 response

tutto suona come un vecchio ritornello country.

la chitarra stonata, il suono diverso, distinto, di ogni corda.

languide, tristi parole, narrano destini avversi su un allegra melodia.

pale.
eliche.
giganti mulini a vento.
colline bruciate dal sole,
bruciate dal vento,
dalle fiamme di un estate ardente.
non rimane che la terra.
e nelle orecchie il rumore del sud.

 

millenovecentottantadue

standard 15 settembre 2012 8 responses
felpa. camicia bianca con colletto + trina sul bordo.
pantaloni blu, lunghi ma non abbastanza da coprire le calze di spugna. scarpe da ginnastica di improbabile provenienza.
odore di naftalina, di adolescenza, di sconosciuta vita, di innocenza. 
capelli lunghi, che sfiorano il fondo schiena, lisci come le orientali.
pensate.
come eravate voi a dieci, undici, dodici anni?
io ero drammaticamente trash.
ma non di quel trash anni ’80/90 quasi di moda, con i colori giusti e gli spunti azzeccati, bensì un TRASH nel senso di discarica, spazzatura, oblio.
però è ciò che mi fa sorridere ora. che mi fa pensare di essere nata “al momento giusto”.
pensate.
sarebbe veramente insignificante non poter ricordare con tale disgusto come si vestiva da piccoli. menomale non esisteva facebook e tutti i social network di adesso, altrimenti navigare diventerebbe un intrigato labirinto per schivare foto e tag poco desiderabili.
insomma dicevo. pensate ai trendy teen ager di oggi.
in posa, fashion victim, lampadati, firmati, pettinati, tirati sempre a lucido.
non ce li vedo, tra 10 o 20 anni, a guardare le proprie foto ridendo di vergogna. mi pare impossibile che molti di loro riescano a trovare innocenza, gioventù, spensieratezza, nei volti e nei sorrisi costruiti di bambine(i)/personaggio.
recuperiamo un po’ di sana genuinità.
recuperiamo noi stessi.
la spontaneità e l’amore di un sorriso regalato ad uno sconosciuto.
guardatevi allo specchio senza trucco, con le occhiaie e gli ultimi brufoli che ci fanno sentire ancora un po’ giovani.
senza pose e aspettative, senza inquadrature migliori.
fatevi una foto.
tra 10 anni guardatela, ci risentiamo.
sarebbe bello trovarsi ancora a sorridere, a riconoscere la differenza del tempo che passa, a vergognarsi per ciò che avevamo scelto di essere attraverso i nostri vestiti, ma non attraverso la nostra faccia.
nessuna maschera, nessun inganno.
non siate illusionisti.
tra 10 anni tutti potranno leggere i vostri segreti tra le rug…ops righe. 
buona notte.

e guardo il mondo da un oblò…

standard 31 luglio 2012 2 responses
in questo ultimo giorno di luglio, ben poca poesia scorre nelle mie dita.
la stanchezza, che arriva scortese dopo otto mesi senza sosta, implacabile, mi stronca ogni iniziativa che aleggia, volteggiando, nella mia testa.
effettivamente, non so’ nemmeno perchè sto scrivendo. 
volevo condividere forse un passaggio importante, con chi mi legge.
sto riprendendo in mano la mia vita.
sto passeggiando sul cornicione di un palazzo alto, ma senza rischi.
cammino.
a piedi scalzi.
e sono miracolosamente in equilibrio.
nonostante qualche sassolino ancora mi punge, mi fa uscire quelle lacrime di fastidio dal bordo degli occhi, nonostante la durezza abbia ricoperto con uno strato di piombo il mio corpo, il mio cuore, nonostante tutto questo, sono qui.

sono sempre io, con il mio vestito di candidi fiori, con le mie piume soffici, con ogni fiato di vento si spargono sul pavimento. 
sono un piccolo colibrì, sono una leonessa.
innocente ma crudele,
distante dalla realtà.
vivo sotto il sole.
il mio vestito di candidi fiori si squaglia, come le ali di Icaro.
intanto cerco delle nuove parole.
chiudo gli occhi e sento il sibilo dei vecchi sussurri nelle orecchie.
ancora qualche tormento, ancora un passo in avanti, senza fretta.
questi mesi di solitudine mi stanno aiutando a snocciolare con perizia ogni attimo che vivo, trovando apprezzabile anche l’attesa, scoprendo in me la capacità di non avere la solita (talvolta inutile) necessità di conclusione.
se mi guardo indietro vedo quello che ho vissuto, adesso lo posso guardare senza nessun timore.
quello che è stato mi ha dato questa Berenice, forte, tranquilla, mi piace.
tiro avanti dritta, a piedi scalzi.