FUORI STAGIONE.

standard 12 maggio 2014 32 responses
Cerco le mie storie tra le curve dei piccoli sassi sulla spiaggia.
Mentre cammino li vedo luccicare, bagnati dall’acqua.
Il mare è fresco e sa di primavera. Rubo i suoi sassi ma loro brillano solo al mare.
Spostati dalle onde
Levigati dal sale
Dimenticati dal vento
Arroventati dal sole
Aspettano.
Aspettano che io li raccolga, che io racconti anche la loro, di storia.
Questa forma rotonda ha un certo peso tra le mie mani. E io dimentico tutto. Dimentico il tempo, i perché, tutto ciò che è accessorio, a parte respirare.
Dimentico la punteggiatura
Le forme
Lo spazio circostante
Ho bisogno di ritrovare anche il mio nome tra i granelli di sabbia.
Mi perdo così facilmente in questa vita “da elastico” che a volte non ricordo nemmeno il mio nome. Per necessità si fanno così tante cose che non ci piacciono che ad un certo punto non ci si ricorda nemmeno cosa ci piace veramente. 
E così mi dimentico tutto quello che non serve. E tengo solo il sasso tra le mani. E le uniche forze si concentrano per averlo lì, come unico intenso peso dei miei essenziali e selezionati pensieri.
Trovo le parole con fatica, cerco quelle giuste in quelle degli altri. In poeti a me sconosciuti, che lasciano il segno a prima vista. 
In artisti rinomati che mi caricano di energia e ritrovano tutto quello che perdo.
Sono questo le mie ultime due settimane. 
Un susseguirsi di parole nascoste e ritrovate, una catena di conseguenze legate da lontane motivazioni e coincidenze, un susseguirsi di bisogni sedati e desideri svelati.
Una ricerca soddisfatta nonostante la fatica quotidiana, immersa in un insoddisfacente montagna di ore in cui porto avanti tutto quello che devo, anche se dentro di me ho il tumulto. 
Poi sabato sono andata a Roma e, dopo tanto tempo, ho fatto qualcosa che veramente mi mancava: mi sono data del tempo.
Passeggiando nel caos dei turisti, nella polvere del Foro Palatino, percorrendo le distanze e le salite con i piedi che mi bruciavano, guardando l’intenso sguardo di Frida Kahlo nelle fotografie che la ritraevano e nei suoi autoritratti ricchi di simbologia…ho capito dove devo andare e anche che, in fondo, non è tutto da buttare.

Si sbagliò la colomba.

Si sbagliava.
Per andare al nord fuggì al sud.
Credette che il grano fosse acqua.
Si sbagliava.
Credette che il mare fosse il cielo;
e la notte, la mattina.
Si sbagliava.
Credette che le stelle fossero rugiada;
e il calore neve.
Si sbagliava.
Credette che la tua gonna fosse la tua blusa
e il tuo cuore la sua casa.
Si sbagliava.
(Lei si addormentò sulla spiaggia.
Tu, sulla cima di un ramo)
                                                   Rafael Alberti
Il mare, fuori stagione.

“Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev’essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso modo in cui mi sento io.” – Frida Kahlo

 À bientôt amici!

Blink. Come un battito di ciglia.

standard 19 luglio 2013 45 responses

Sono come un pesce fuori dall’acqua.

Annaspo. 
Un lato sulla battigia, vedo con un solo occhio. Lo giro e lo rigiro, camaleonticamente parlando, per guardarmi intorno, ma vedo cielo. Batto forte la coda, sento l’acqua vicina, ma non mi riprende con se.
È che sono un “pesce da weekend”. L’acqua il venerdì si avvicina di più, bagna la coda agitata, la seconda onda è ancora più forte, la battigia è solo un ricordo…le branchie riprendono un ritmo normale. 
Respiro. 
E se di solito sono un pesce in questo periodo sono diventata un fossile. È rimasta la mia sagoma su un sasso, qualche centinaia di estati fa, per risvegliarmi non serve nessun incantesimo, solo l’odore del sole. E del venerdì.
Recupero la mia forma, le mie squame lucenti, le pinne colorate e iridescenti, il guizzo e la vitalità. Il mio problema però non è il caldo, è il tempo, il tempo nel senso di ore disponibili per fare tutto quello che voglio. Il dono dell’ubiquità non è umano, ma a me basterebbe il teletrasporto.
Un blink e via, sono sotto l’ombrellone.
Un altro blink e via, sono in cucina a preparare la cena della domenica.
Quindi…annaspo. Respiro. Annaspo. Respiro.
Oggi respiro. Ma ho passato una settimana ad annaspare. A cercare di assaporare le cose belle che mi sono successe, senza per forza credere che svaniscano con un blink. Che poi io non sono pessimista…è che sono un po’ insicura.
E quando sono insicura cosa faccio? Mi fossilizzo. Mi chiudo. Doppio chiavistello, occhi persi nel vuoto. E mentre sono lì, sola, che vago nel torrione del castello, non mi rimane altro che rifugiarmi nelle certezze: forno acceso, frusta, ingredienti…e una penna per scrivere.

Mercoledì 17 luglio
Guardavo l’uovo e lo zucchero, nella ciotola, prima di fare il dolce.
L’arancione forte che si riempie di marroncino chiaro, color zucchero-di-canna.
I granelli che assorbono la liquidità.
Una questione di punti di vista, chi assorbe cosa, chi si impasta per primo, chi accetta la forma dell’altro.
Anche la mia vita è così, trasmessa a tratti su canali diversi dei quali non conosco il numero. Sobbalzo, in preda ai singhiozzi di un momento storto. Ci vuole così poco ad abituarsi alle belle forme, quelle che corrispondono, che non conoscono bolle d’aria, separazioni. Ci vuole così altrettanto poco per distaccarsi.
Aprire la scatola, in modo ordinato, togliere qualche pezzo. Richiudere. Smontare e rimontare, come con le costruzioni, come da bambini, quando tutto è possibile.
Si tratta di equilibri messi su basi paludose, in fondo io sono Maremmana, non può essere che così: acqua bassa, silenzio, piccole zanzare letali che lasciano cerchi concentrici impercettibili sulla pozzanghera, fili d’erba sporadici.
Quindi apro la scatola, il fiocco è bello ma il contenuto è povero, sono proprio io quella che vedo?
 
René Magritte – Falso specchio (1928)
Blink.
Per un attimo chiudo gli occhi. 
Sento il mare che mi rapisce di nuovo, posso respirare, guardare dove voglio, qualche paura nel taschino, che come un fiore perde i petali e svanisce.
Sento di non avere orizzonti ma solo possibilità.

Ragione e sentimento, i confini invisibili.

standard 26 giugno 2013 80 responses
Se sei brutto ti tirano le pietre.
Se sei Berry ti tagli i capelli.
Corti. Sempre più corti.
Se sei bello ti tirano le pietre.
Se sei Berry, non sei bella, sei pazza.
Se poi torni a Firenze dopo tre giorni e mezzo di mare/sole/relax/cibo/amore e trovi SEDICI GRADI…allora impazzisci, anche se non sei me.

E allora penso a quel mare.
Quel mare che si confonde con il cielo.
Quel mare che non ti fa vedere l’orizzonte, se non con il riflesso del sole del tramonto.
Quello che è freddo come il ghiaccio, trasparente e chiaro.
Quello che diventa oscuro e nebuloso.
Quel mare che sembra un lago, che ti lascia il sale addosso, che ti fa respirare bene, che ti fa riempire di libertà gli occhi.
Senza limite.
Quel mare che ti riconcilia con la vita, con le insoddisfazioni, con i sospiri troppo trattenuti, con i sapori sbagliati, i disagi. 
Quel sale che ti gratta un po’ la pelle, che ti rende ruvido il tocco delle mani. 
Quel soffio di vento che ti fa impazzire i capelli e volare quell’alga secca sulla pancia.

Quel mare lì, quello in cui sono annegata e rinata, il mare in cui ti ho tenuto per mano e ti ho voluto scrivere ogni minuto una dichiarazione d’amore. Ogni sorriso che mi hai fatto fare, quelli della semplicità quotidiana, insieme. Insieme.

Perchè non so se i tuoi occhi sono azzurro-cielo o azzurro-mare
Ma so che hai riempito d’azzurro la mia vita.
Il mio cielo. 
E il mio mare.

Il Paradiso. Antisamos, Cefalonia – Giugno 2013
E poi QuellaStronza mi chiede di racchiudere in dieci, semplici punti, i motivi per cui amo l’estate. Niente di più facile per me.

Per i polsi rossi. Si, perchè quando vado al mare con le mie sorelle giochiamo a beach volley (una specie di) fino a che morte non ci separi.
Per il cocomero. Togliere tutti i semini e poi affondarci la faccia.
Per il sole. Devo essere stata un animale a sangue freddo perchè, in questa vita, non sopporto l’idea di non vedere il sole troppo a lungo.
Per i piedi liberi dalle calze. Dio mio, le odio. D’estate ciantelle anche con la pioggia…tiè!
Per l’insalata di riso. Quintali di maionese e valanghe di  olive.
Per i pomodori. Dolce e salato insieme, con il succo che si sparge ovunque. IL TOP!
Per i difetti dell’inverno che diventano inutili preoccupazioni. Perchè il caldo scioglie ogni nodo, lenisce ogni sussulto e cancella tutti i dubbi. Quello che conta resta, il superfluo se ne va.
Per i tatuaggi nuovi che fanno capolino dai vestiti corti. Così sembro un piccolo folletto con la pelle dipinta.
Per i colori. I fiori più belli, le sfumature della natura, i campi di grano con le rotoballe.

Per il mare. Bisogno di spiegazioni? Vedere/leggere sopra.
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Vi presento il mio logo! Finalmente dopo più di 3 anni online ce l’ho fatta, tutto grazie all’aiuto della mia collega grafica! Grazie Dona!
A voi piace? Io LO AMO.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind.

standard 19 giugno 2013 36 responses

Un mare di mi manchi.
Un mare di persone perse per strada.
Un mare di pensieri.
Onde e onde di parole.
Riemergo e me le sento tutte attaccate addosso.
Orme del mio passato.
Ma voi…ricordate il vostro passato?
Io non ricordo mai niente. Niente. È incredibile come io riesca a rimuovere fatti, avvenimenti, dialoghi, discussioni. Qualsiasi cosa avvenuta in un passato relativamente recente o remotissimo…lo cancello.

Eternal Sunshine of the Spotless Mind
Ho una cartella nella mia mail che si chiama Ricordi. Ci sono parole lì, che sono sanguisughe. Ogni volta che la apro, per non so quale motivo masochista inutile, vengo investita da quel mare di cui parlavo sopra. Ricordi, persone, occhi, momenti, richieste inascoltate d’amore, di ascolto, pretese, disperazioni, dialoghi divertenti e scanzonati, quando whatsapp e facebook non avevano ancora intasato le nostre vite virtuali fino a farle diventare così ripiene da farci venire voglia di scappare, di non essere più noi, di vestirci di abiti polverosi e nasconderci nelle soffitte a respirare muffa e foto antiche.
Ogni tanto decido di andare a leggere, di spogliarmi della mia razionalità e tornare indietro, che sia un passo, che siano cento, per ritrovarmi. Perchè comunque, per quanto io dimentichi, sono io, quella persona di cui leggo, quella persona implorante, quella persona invasa dal sacro fuoco della scrittura per qualcuno di cui ora a malapena ricordo il nome, gli occhi, il modo in cui mi sfiorava e se mai, in qualche modo, mi avesse mai sfiorato davvero.
Forse questa è stata la mia salvezza. Dimenticare.
Ecco perchè non riuscirò mai ad essere veramente cattiva. Perchè dimentico. 
Ecco perchè non riesco e non voglio mai chiudere le porte con “chi passa”. Perchè è inutile.
Perchè il valore dei ricordi è pari al valore dei sorrisi spesi per quel ricordo.
E non serve che rimanga altro, non per me. Che ogni sguardo abbia la sua prospettiva e ogni mente decida di cogliere il dettaglio che preferisce, i miei sono stati colti e, adesso, sono sfioriti. Io ho preso la mia strada o magari sono rimasta ferrma, non so, però sento questo desiderio forte di lasciarmi indietro molto di quello che non serve.
Serve l’amore. Serve l’amicizia.
Servono gli sguardi d’intesa, i traguardi raggiunti insieme, servono le risate da mal di pancia e i sorrisi appena accennati.
Ma le parole, quelle forti, che rimangano pure legate al momento a cui appartenevano.
Io preferisco vivere senza rancori. Perchè molto spesso questo significa ricordare in modo “pieno”. 
Via i rancori della persistenza. 
Che rimangano i frutti di questi battiti di ciglia, che ci accompagnano, che mi sussurri ancora all’orecchio questo richiamo per soppesare la differenza tra quella che ero e quella che sono, che io sia capace di intravedere oltre, senza mai mettermi nessun freno.
Quando arrivo alla fine di questi post (che in realtà vorrei continuare) mi sembra di essere ubriaca. Che poi non so nemmeno cosa vuol dire visto che sono astemia da sempre. Però sono ubriaca di pensieri, spossata e sbronza (Mary lo sai che è colpa tua no? Come dice Vaty…insieme siamo pericolose!). 
E mi piace lasciarmi prendere da questi flussi, da queste onde, sento lo sciabordio…e salgo un attimo in soffitta, a rovistare tra la muffa e la carta arricciata dall’umidità, mi vesto di stracci, mi sporco le ginocchia, le mani…nuoto e sfoglio, leggo e annaspo, un po’ affogo e un po’ respiro.
Una cosa che non dimentico è il presente.
Fosse l’ultimo pezzo di legno che galleggia, rimango attaccata a quello.
Perchè il valore del presente è pari all’amore che sento.

Quei soldati del mare.

standard 28 marzo 2013 65 responses
Quando sogni il lavoro (e il boss) non è un buon segno.
E poi il sogno si materializza sulla tua scrivania sottoforma di appunti, fotocopie, scarabocchi, post-it, dettagli da non dimenticare e mille altre cose ancora in fase di definizione…e ti rendi conto che non è solo un incubo da far scivolare via con un po’ di acqua fredda sul viso la mattina, ma la tua realtà!

Capo Bianco – Isola d’Elba, luglio 2010
Immaginatevi un ciottolo. 
Di quelli che si trovano a Capo Bianco, Isola d’Elba. Belli rotondi, levigati, che sanno di selvaggio quanto di salmastro, di onde che ti sbattono forte agli scogli, di risacche che ti attirano verso il mare e poi ti lasciano lì, a guardare l’orizzonte piatto, chiaro, acceso di caldo e di miraggi estivi. 
L’ultima volta che sono stata a Capo Bianco c’era il mare mosso. Il cielo era bellissimo, con le nuvole che sembravano stracciatella, era luglio pieno, caldo, vivo, ma non si poteva fare il bagno. Il vento ci sferzava la pelle abbronzata, l’acqua ci rincorreva in quella lisca di terra che rimaneva, costringendoci ad avvicinarci alla parete di scoglio anch’essa bianca. E poi le alghe secche, il sapore del sale sulla bocca, i piedi vicini alle onde troppo forti…e tutti i ciottoli sotto i nostri piedi.
Ogni passo ne prendevo uno tra le mani, per capire se era quello giusto, quello da conservare per ricodo della brevissima vacanza, quello da mettere vicino alla pianta grassa preferita, nella mia serra personale.

Immaginatevi di essere un ciottolo. 
Di essere levigati, bianchi, belli, forti, indistruttibili, sensibili.
Immaginatevi di essere presi tra le mani di qualcuno.
Mi chiudo, la mia forma è imperfetta ma ha un contorno, posso essere scelta. Mi sento leggera e, per essere un sasso, è strano. Mi hanno raccolta, accolta. Desiderata perchè sconosciuta, desiderata perchè con un peso specifico particolare, mai uguale a se stesso, in costante trasformazione. Tutta colpa della corrosione. 
Insomma io, ciottolo tra milioni di altri ciottoli, sono tra le mani sue. E queste mani mi soppesano, mi sfiorano la superficie e scrutano, dai piccoli fori, anche l’interno. 
Il ricordo di un’estate. 
L’insostenibile necessità dell’effimero. 
Essere e scomparire.
Presenza e assenza. 
Io, ciottolo dotato d’anima, guardo queste mani. Anulare, medio, indice. C’è dello spazio, c’è della luce. Ogni giorni si allargano sempre di più, io vacillo.
Trattenetemi vi prego, dita sconosciute. Ma il vento è troppo forte, l’orizzonte così irraggiungibile e attraente, le cose da fare sono tante, la smania incontrollabile. 
E io, ciottolo disarmato, torno sulla spiaggia.
Mentre cado l’aria calda e forte mi accompagna, quasi divento una piuma. Scendo a zig zag, con la dovuta calma.
E non mi dimentico di quanto sia difficile prendersi cura di qualcuno.
Che io sia ciottolo o che io raccolga quel piccolo sasso bianco da conservare, che io abbia una scrivania piena di scartoffie e un mese che mi aspetta denso come la cioccolata calda del bar, io voglio prendermi cura di chi amo. 
Perchè la vita è così fragile, passeggera. Cammino sul filo con il mio ciottolo tra le dita, lascio che il sole illumini le mie lentiggini e la mia pelle opaca di un letargo lungo e recito:

Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie
Un soldato al fronte, trincee nemiche. 
Scelgo con pazienza i ciottoli da portare con me, che siano peso, zavorra nelle mie tasche, ma libertà e presenza costante nel mio cuore.
Ringrazio Boh e Debora per i loro premi delle settimane scorse. Non sono brava con queste cose e a volte mi dimentico…ma ora ce l’ho fatta! 
Sento la primavera forte, un tumulto. Sento che non devo smettere di leggere, studiare, imparare, conoscere. Perdonatemi se ogni tanto mi prendo qualche pausa dai vostri blog…se lo faccio è per poi tornare più ricca e meno ignorante di prima, almeno spero! Perdere ciò che si è acquisito in anni di studio è così facile, devo recuperare ciò che ho lasciato andare. Prendersi cura di se è la cosa migliore che si può fare per chi ci ama, oltre che per noi stessi. 

– Questo post lo dedico a te, mezzamelina del mio cuore. Sei speciale, te lo dimentichi troppo spesso. Guardati allo specchio e capisci il tuo contorno, la tua intensa energia, il tuo fuoco e le debolezze che hai scoperto. Sono solo dei doni, basta imparare a direzionarli nel giusto modo. Ti voglio bene. –

A sud del confine, a ovest della Luna.

standard 22 marzo 2013 42 responses
Latitudine 8°30’00 N
Longitudine 31°24’00 E
Coordinate lunari per il vostro sbarco, direttamente nel Mare della Tranquillità.
Io ci sono già stata, non molto tempo fa, ve lo raccomando.
Non se avete paura del buio, perchè lì non c’è molta illuminazione, anche perchè è bello affogarci con gli occhi chiusi, godendosi sommessamente il piacere della pace.
Magari il vostro viaggio dura un attimo, magari una notte intera, qualche ora. Ma provateci, non perdete l’occasione.

Mare Tranquillitatis

Ho gravitato lì per ore. Le mie vene pulsavano, quasi fosforescenti, dentro scorreva una pozione, un sonnifero per la mia perenne agitazione. Il siero per ogni ansia. La fine ad ogni dispersione di energie.
La pace, finalmente.
Chiusa nel mio palloncino trasparente, sempre un po’ goffa, guardavo il buio intorno. E gli occhi, ormai aperti e assuefatti, intravedevano forme, crateri sconosciuti, visti solo immaginandoli, dal mio posto sulla terra.
I palmi delle mani unico mio confine di sguardo, sull’interno del palloncino.
Una strana scoperta, per chi come me ha la presunzione di aver esplorato ogni anfratto della sua persona, una bella scoperta sapere di essere ancora e imprevedibilmente sconosciuti a noi stessi.

La tisana scende calda per la mia gola. Cerco una via per mandarla anche in quelle vene che hanno perso il loro siero, cerco un meccanismo diverso, un percorso, un dirupo dal quale scivolare. 
Mi reinvento e sono sempre la stessa.
Cambio i connotati e sono sempre la stessa.
E mi racconto con parole nuove, ammetto la fatica, ma non sono doma.
Quella tranquillità leggera come una impercettibile bolla di sapone non si è infranta, alle soglie dell’atmosfera terrestre. Perchè il mare, da dove è nata, dove è stata immersa per anni, che le ha regalato quei riflessi pallidi e color avorio, è un mare accogliente, salvifico.
E il siero non è perduto.
E’ perenne.

George Melies – Viaggio nella Luna (1902)

Poi, quando tornate dal vostro viaggio, passate da qui:
Natalia, sangue del mio sangue. 22 anni e tanta voglia di amare. Ha preso da me.
Helena, mia amica, tanto amica.
Vale la pena leggerle.
Ps: il titolo del post è merito di Murakami, il mio scrittore preferito. Ho solo cambiato oggetto celeste 🙂