LA NOTTE

standard 9 novembre 2020 Leave a response

La notte, quella in cui senti il rumore dei pensieri.

[Pitigliano – agosto 2020]

Non c’è musica, non c’è Alexa che ti risponde ai dubbi, che mette la musica leggendoti la mente (e sbagliando sempre), non c’è la colonna sonora dei bambini che litigano/parlano/cantano/si lamentano/ridono in sottofondo.

La notte, quella bastarda che ti tiene sveglia e il perché non lo sai nemmeno tu, o forse si, ma è troppo banale per poterne parlare. Questo nuovo “limite” che ci ha cambiato la vita da marzo ad oggi, che ancora lo farà, che ci fa sognare in grande per il “dopo”, cercando in quello che sarà un conforto che riscaldi la casalinga quotidianità.

La notte, quella che mi tiene ancorata alle mie ansie, che mi fa retrocedere ma comunque toccare i confini della mia labilità, perché no, non sono invincibile. Nemmeno io che combatto tutti i pessimismi a colpi di futuri rosei e utopici. Ma sono corde sensibili quelle delle ansie. Sono corde amiche-nemiche, che mi fanno sobbalzare e allo stesso tempo mi coccolano, perché molto conosciute.

Mai ho valicato veramente la notte. Mai ho preso decisioni sconvolgenti nella mia vita. O forse l’ho fatto in modo delicato, senza disturbare nessuno, senza scavalcare la lunghezza della mia gamba. Mai mi sono posta obbiettivi troppo lontani per essere raggiunti o ho fatto promesse (a me stessa) che non potessi mantenere. Non ho mai lasciato il lavoro, non ho mai lasciato fidanzati importanti, non ho mai lasciato Firenze, la mia seconda vita che ho scelto, ormai da 19 anni, gli stessi che ho passato in famiglia.

Ma cosa vuol dire davvero fare scelte così definitive? Anche non farle è una scelta. In una realtà così definita io scelgo di non oltrepassare l’ostacolo. Perché per me l’ostacolo, semplicemente, non esiste. Ho scelto una vita semplice, dove non fosse necessaria la difficoltà intrinseca che tutti si affannano a volere.

La notte, quella amica. Grazie, perché mi fai ritrovare le parole. Perché spesso la battaglia che si sceglie di combattere non ci corrisponde, le vie traverse impervie non sono le uniche e i condimenti a questa insalata insipida sono oltremodo saporiti.

E tornare a scrivere (qui) dopo 10 mesi ha un sapore che regala sfumature scintillanti alla mia mattina.

Buongiorno.

RINCORSA

standard 31 gennaio 2020 Leave a response

Quando ero piccola avevo una fissazione per un paio di compagne di classe, che non mi consideravano minimamente.
Sara e Lisa, questi i loro nomi. Io bramavo le loro attenzioni, ma senza risultato. Da quando ho memoria ho portato avanti questo comportamento, con tutti. In un modo o nell’altro ho sempre rincorso le attenzioni, soprattutto se negate. Poi, la vita, le occasioni, il carattere, mi hanno piano piano allontanata da questo atteggiamento, diventato sempre più distante dal mio modo di essere. Mi sono costruita una personalità forte. Mi sono costruita la mia vita, la mia autonomia. Ma ogni tanto, quella Berenice vittima (anche un po’ di se stessa), faceva capolino.

L’ho odiata molto.

Ora mi fa compagnia. Ora che ho costruito posso dire che non mi fa paura, non più. Lo spauracchio di ciò che ero (e che vive in me, comunque) non mi fa paura.
Ho smesso di rincorrere. Non senza difficoltà, non senza muri da abbattere, non senza qualche parola di troppo. Perché la sensazione di “lasciar andare” non è mai bella, ma alla lunga appaga. Fa sentire liberi. Ed è così che voglio essere, per me stessa, per i miei bambini, per chi amo. Libera di vivere nel modo migliore per me. Anche se questo modo migliore non combacia con gli altri, anche se può essere una scelta presuntuosa o egoista, ma, in fondo, quale scelta non è tale?
Tutto ciò che presume una scelta ti rende “egoista” rispetto a qualcosa.

Tutto ciò che presume una decisione ti insinua il dubbio di stare facendo la cosa giusta.

E qual’è la cosa giusta? Fare ciò che mi fa stare bene. Nel dubbio, quella è sempre la cosa migliore.

Fai luce nella nebbia. Smetti di rincorrere.

Lampada ad arco – G. Balla

(ri)fiorire.

standard 13 giugno 2019 2 responses

La primavera che non esiste. Un alito di vento troppo freddo, un soffio di caldo troppo intenso.

Proprio ieri mattina cercavo tra le mie foto qualcosa che interpretasse questo mio momento, in cui sento la forza di nuovo scorrermi nelle vene, in cui sento la vecchia e desiderata energia che mi investe, in cui voglio coinvolgere chi amo. La mia innata voglia di amore, di pensiero positivo, di sorrisi e armonia. Ho trovato questa foto, di qualche tempo fa, di un bellissimo papavero appassito ma resistente, cosa insolita per questi fiori così labili.

A volte (erroneamente?) ci sentiamo invincibili, inarrestabili. Ci sentiamo sorretti dalla forza di qualcosa di superiore, di potente. Ci sembra di esistere non solo per la nostra presenza reale, ma perché questa presenza è riconosciuta da altre virtuali, ma più che mai tangibili. In questi anni ho avuto la fortuna di constatare sulla mia pelle quanto forte sia questa virtualità. Quanto forti siano i legami, le esperienze, le emozioni vissute. Ci ho buttato dentro i miei figli, mio marito, la mia famiglia. I rapporti, le strade, le storie si sono intrecciate, formando delle lunghissime catene di sentimenti credibili e manipolabili. Ci ho creduto quando nessuno ci credeva, ci ho sperato quando tutti remavano contro. Ho anche combattuto per battaglie perse, mi sono sentita offesa e vilipesa senza alcun motivo, mi è stata sbattuta la porta in faccia. Insomma, virtuale è solo un aggettivo poco attendibile, perché tutto si può dire tranne che sia così.

In questo papavero così stanco voglio riporre la mia fiducia. La speranza di oggi. Il bisogno di ritrovare qualcosa che si è perso, che mi faceva sentire potente. Mi faceva sentire riconosciuta. Libera. Noi esseri umani siamo talvolta perversi, molto egoisti, sfacciatamente deboli. Pieni di limiti e parole, quando servirebbe un momento di silenzio e riflessione.

Oggi mi sento come se mi avessero strappato via qualcosa di importante, ingombrante, ma in modo giusto. E libera, no, non mi sento affatto.

(Passerà, si, passerà sicuramente. Lasciando lo strascico come tutte le cose che si amano senza remore, aprendo cuore, anima e braccia).

A volte rifiorire è una scelta saggia. Basta saper aspettare la giusta primavera.

SHALLOW.

standard 25 febbraio 2019 Leave a response

In superficie.

Sto in superficie, come spesso faccio, quando non riesco ad immergermi per vivere. Quando la quotidianità mi divora, quando mi sento troppo poco per essere me stessa. Quando la voce che ho  dentro non riesce più a venire fuori e mi limito al minimo indispensabile per andare avanti. Quando mi relaziono con gli altri e mi accorgo di essere tremendamente limitata, bloccata, disinteressata e poco coinvolgente.

Ma dove sono finita? Mi sono persa nel sonno e nelle lenzuola del mio letto, che frequento con scarsi risultati? Dov’è quella persona brillante e socievole che ero un tempo? Forse chiedo troppo a me stessa, ora non ne ho le energie, il tempo, lo spazio. Forse dovrei solo, davvero, limitarmi alla velocità di sopravvivenza. Fare il necessario, stare a galla quanto basta per respirare. Ma è una nuova sfida per me, una sfida che non conosco, un movimento confinato tra sbarre che non amo avere, soprattutto nella mia testa.

Cosa posso fare, dunque. Lista. Fare una lista di priorità. Cosa è urgente, cosa è importante, cosa lo è più di altro. Stabilire un ordine, come faccio materialmente (e non) ogni giorno della mia vita. Come faccio nel lavoro. Al primo posto ci sono IO. Se non trovo tempo per me, non può esistere nient’altro. E si sa che l’egoismo è uno dei pilastri della mia vita.

Quindi il mio manuale di sopravvivenza prevede che per me e i miei figli ci sia, da qualche parte, la serenità. Così come per le persone che amo, tutte. La serenità è un filo d’oro che percorre le nostre vite, che quando ci batte il sole si illumina e rischiara anche le giornate più difficili. Tipo quelle che ti svegli alle 4.40 e poi non riesci più a dormire. La serenità è la certezza che dentro di noi c’è la pace. Che ci sentiamo amati e ci amiamo. La serenità è l’armonia dei sensi. Della vista che sfiora le curve di un meraviglioso quadro in un museo, dell’olfatto che affonda in un prato di fiori selvatici, del tatto che manipola i gommini di un gatto, del gusto che si riempie la bocca con una fetta di cocomero, dell’udito che si perde tra gli accordi della canzone preferita.

Che oggi, per me, è questa.

Tell me somethin’, girl
Are you happy in this modern world?
Or do you need more?
Is there somethin’ else you’re searchin’ for?
I’m falling
In all the good times I find myself
Longin’ for change
And in the bad times I fear myself
Tell me something, boy
Aren’t you tired tryin’ to fill that void?
Or do you need more?
Ain’t it hard keeping it so hardcore?
I’m falling
In all the good times I find myself
Longing for change
And in the bad times I fear myself
I’m off the deep end, watch as I dive in
I’ll never meet the ground
Crash through the surface, where they can’t hurt us
We’re far from the shallow now
In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
We’re far from the shallow now
Oh, oh, oh, oh
Whoah!
I’m off the deep end, watch as I dive in
I’ll never meet the ground
Crash through the surface, where they can’t hurt us
We’re far from the shallow now
In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
We’re far from the shallow now

SEI MINUTI.

standard 16 gennaio 2019 Leave a response

C’è sempre un count down che regola le nostre giornate. Dall’inizio alla fine. Dal primo suono della sveglia fino ai rintocchi delle palpebre che si chiudono.

C’è qualcosa in questi momenti che mi regala l’adrenalina dell’impossibile. Del “ce la faccio anche se non ho tempo”. Sei minuti, il tempo che mi separa dalle 9.00, il momento in cui devo entrare ufficialmente a lavorare, anche se sono già in ufficio da qualche decina di minuti.

Sei minuti, il tempo che ho per me.

Sei minuti in cui vorrei dire che sono carica di parole, ma non abbastanza per scrivere, per riportare qui quello che sono le mie giornate, i veli che nascondono i miei sorrisi e le mie paure. Non abbastanza per lasciarmi andare, per sotterrare quel controllo che mi serve per tenere tutto a bada, quelle redini per domare le mie rivoluzioni.

Sei minuti in cui mi sparo musica nelle orecchie per resistere alla tentazione di chiacchierare, per focalizzarmi, almeno una volta, su di me. E basta. Ma è così difficile.

Sono cambiata, non ho più i riferimenti giusti, gli spunti, i ritmi.

Ma forse va bene così, se non per me, per i miei figli. Ci sono delle cose che sono necessarie. E, si sa, non mi tiro mai indietro.

– foto di Berenice Abbott –

LISTA DI COSE (poco interessanti).

standard 29 agosto 2018 Leave a response

Quando non hai idee e tempo per scrivere, ma senti che non puoi farne a meno, non rimane altro che fare una lista.
Una lista di cose poco interessanti che possa, magari, aiutarti a sbrogliare un’intensa matassa aggrovigliata.

Ansia
Un anno di ricerca casa – infruttuoso
Cambiamenti lavorativi importanti (?)
Due figli, in due anni
Un maschio, mansueto e indipendente
Una femmina, irruenta e ruffiana
Ansia, ancora lei
Andare via da Firenze?
Rimanere?
Rimanere.
Gli amici, quelli che vedi spesso
Gli amici, quelli che non vedi quasi mai
Le amiche, quelle di sempre
Amiche nuove, spesso online
Ansia, sempre lei
Virus, ci attaccano
Il mio amore, mi difende
La poesia
Parole mancanti
Condivisione
La stanchezza, fedele compagna
Le occhiaie
Viaggi viaggi viaggi (mentali)
Sogni, sempre
Progetti
Ambizioni
Capacità di reazione
Scrivere liste senza senso
Aspettare, imparare ad aspettare
Invidia
Reciprocità
Organizzazione assente
Impotenza e assuefazione
Silenzio
Libri, tanti libri
Fantasia

Ma resto immobile. Vorrei cambiare ma non cambio, troppo faticoso. Vorrei migliorare ma non miglioro, troppo inutile. Il mondo è dei “peggiori”, in fondo. Cerco di rimettere tutto in ordine di priorità, come ho sempre fatto, per non perdere troppo di vista l’obiettivo, che non cambia mai. Cerco di stabilire dei momenti di tregua, di guardarmi allo specchio e farmi (nonostante tutto) i complimenti, ma non trovo il motivo. E allora taccio. Ho scoperto il silenzio come arma di difesa, come unica via d’uscita alle domande che mi faccio, alle situazioni irrisolte, all’impertinenza della vita, al cinismo nel quale non voglio sprofondare, alle conseguenze delle ovvietà che, preferirei, non pronunciare mai. Scelgo di stare in silenzio per non tormentarmi. Come se le il cielo potesse far piovere risposte, soluzioni, case, babysitter, orologi pieni di tempo, soldi, professionalità mancante. Per una volta non vorrei impegnarmi.

Stare in silenzio ed aspettare, e basta.

FORSE

standard 19 febbraio 2018 2 responses

Forse stanotte si dorme.
Forse ce la faccio ad arrivare in orario.
Forse l’autobus passa.
Forse non mi sentirò male.
Forse questa sensazione perenne di ansia e disagio passerà.
Forse tornerò ad essere creativa e attiva come un tempo.
Forse imparerò a truccarmi.
Forse riuscirò a cucinare qualcosa stasera.
Forse mi riprenderò ciò che ho guadagnato con impegno e intenzione.

Forse.

Forse non mi perderò tra questi forse che affollano la mia mente. Cercherò un punto di riferimento nuovo, dentro di me, qualcosa di più concreto, di forte e stabile, che non si lasci scoraggiare e portare via dal vento. Cercherò nuove ispirazioni, perché mi sento arida e incrostata come una vecchia macchina da cucire che non riesce nemmeno a fare un orlo. Una Singer arrugginita, dai meccanismi storpi e lenti, che fa troppo rumore e basta. Senza filo. Senza ago. Infatti. Infatti mi manca essere pungente, andare dritta al punto, trovare le soluzioni mentre cammino su una corda sospesa nel vuoto.

Ora sono sospesa, e basta.

Sospesa con tutti i miei forse, punti interrogativi come capelli in disordine, senza un criterio o una piega valida. In attesa alla fermata del bus, in costante rincorsa di qualcosa che pare sfuggirmi via, mai soddisfatta abbastanza di ciò che raggiungo. Anche quando provo a rilassarmi, sento una nube di nervi tesi che non mi da tregua. Respiro profondamente, lascio che questo febbraio antipatico scivoli via, giorno per giorno, verso la primavera. Lascio che l’aria fredda mi svegli, anche oggi, dopo l’ennesima notte difficile, ad aspettare il prossimo risveglio, ad aspettare di riaddormentarmi più velocemente possibile, per sentire meno la fatica.

Forse sarò meno superficiale, se mi concentro ci riesco a non relativizzare tutto. A non fare quella solita faccia che infastidisce chi mi parla, a non distrarmi, a rimanere sul pezzo. Ma sono troppe le cose che non catturano la mia attenzione in quello che dici tu, che sei davanti a me. Io ci provo, ma non riesco a fingere. Non mi interessi. Non mi interessa mai chi è tragico. Chi fa della propria realtà il mondo peggiore o quello migliore, come fosse l’unico mondo esistente.

Forse ci sarà un giorno in cui sarò capace di essere qualcosa in più di ciò che sono adesso, ma per il momento volo basso e mi accontento, che nel domani vedo sempre ottime prospettive.

(Forse).

LA MIA RIVOLUZIONE. LENTA.

standard 25 novembre 2016 8 responses

“Il tempo mi ha cambiato un po’
Il tempo mi ha cambiato un po’
Una cosa sola non cambia mai…”

Trentaquattro anni. Un po’ meno me ne sento addosso, non perché mi sia mai mancata la vita da vivere, ma forse solo perché ne vorrei vivere ancora di più, ogni giorno.

Trentaquattro anni e un giorno, al quale si sommano i pensieri e le consapevolezze di un lungo e importante anno trascorso.

Mi faccio gli auguri, i complimenti, sono stata brava. Non sono tanto fan dell’autocompiacimento, anzi, sto sempre a cercare il mio difetto, il mio errore, il mio problema. Ma no, non è stato un anno semplice. Sono tornata a lavoro dopo i mesi di maternità, sono sopravvissuta a svariati virus dolcemente portati da mio figlio, sono stata drammaticamente assonnata e infelice, impaurita, scossa, in ansia. Ho conosciuto persone meravigliose, molto spesso anche inconsapevoli di esserlo, ho passato giorni felici e ricchi, sotto il sole, sotto la pioggia, sotto l’abbraccio confortante di un amore che non manca mai, quello del mio compagno di vita. Ho trascorso momenti di rabbia e di lotta, con me stessa e non solo, momenti in cui desideravo fuggire e cambiare tutto, stufa di alcune prepotenti banalità quotidiane. E’ stato un anno fatto di 365 giorni più uno. In cui ho imparato, di nuovo, l’amore. In cui ho rimodellato per la milionesima volta i miei approcci troppo aggressivi e insistenti (chissà che sia stata la volta buona), ho ripensato alle amicizie, quelle vere, che voglio trattenere, nonostante tutto. E a quelle che invece basta così.

Me la sono cavata. Essere madre, moglie, amica, collega, donna nel modo in cui io pretendo da me stessa di esserlo non è semplice. Ma è una scelta, tra le priorità più pungenti, quelle di cui hai più bisogno…scegli e te ne prendi cura. Ho scelto me stessa, sopra a tutti. Questo forse non mi è stato perdonato, ma non importa, le strade che si percorrono sono belle perché sono a senso unico, ma la vita lascia sempre spazio alle sorprese, alle ri-scoperte, agli abbracci vecchi ma nuovi. Ho scelto di essere madre, di AMARE profondamente questo ruolo, nonostante i sacrifici, i momenti NO grandi come una casa, la voglia di lamentarsi che ti aspetta sempre dietro l’angolo. Ho scelto l’amore, come sempre, al primo posto nella mia vita.

Ho scelto di cliccare “mi piace” a tutti i post di auguri su Facebook, leggendo ogni parola, soffermandomi su alcune frasi, dediche, passando veloce su altre.

Ho scelto di cambiare, cambiare di una rivoluzione lenta e costante. Basta con le paure, con la solitudine, con l’imposizione della cordialità se non ne ho voglia. Basta con la diplomazia. Con le guerre fredde inutili e senza sbocchi.

La mia rivoluzione. Lenta. Include tutto. Anche te.

“Non ci fossi stata tu
Io oggi come sarei
Non ci fossi stata tu

Oggi non so com’ero vent’anni fa
Oggi non lo so più”
1993 – Boosta

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La mia prima scelta

ELASTICI

standard 27 ottobre 2016 3 responses

A volte si custodiscono delle cose che non si conoscono.

Sono sconosciute le forme, il contenuto, le intenzioni. Si custodiscono perché siamo persone protettive, per istinto materno o per casualità, per attenzione o egoismo, per paura, ansia o anche solo per distrarsi un po’.
Ieri ho raccolto una piccola foglia, dai confini frastagliati, l’ho poggiata lontano dalle mani distruttrici della piccola creatura che mi illudo di educare. L’ho protetta, senza conoscerla. Poi l’ho persa, ovviamente, come spesso mi succede nella baraonda delle giornate senza ne’ capo ne’ coda in cui mi tuffo, ma non per questo l’ho dimenticata. Questo faccio nelle mie giornate. Cerco.
Di non dimenticare, di non correre troppo o troppo poco, di esserci, presente, vera, reale, non quella specie di proiezione di me che non riconosco.

A volte custodisco me stessa, in una bolla fragile ma, a suo modo, resistente e stabile. Mi proteggo, ho bisogno di confini tangibili, di mani da trattenere e di occhi che supplichino attenzione. Mi proteggo da facili ostacoli, preferisco quelli più complicati. Me li lascio la notte, da sgranocchiare, perché passano meglio le mezzore di veglia accanto ad un figlio che non si arrende al sonno (quasi) mai.

Insomma, pare tutto un gioco di elastici. Elastici i sentimenti, elastico il tempo, elastiche le sensazioni vitali che mi trattengono dall’esagerare. E allora mi alleno ad essere elastica, a capire il significato dei cambiamenti continui, dell’imprevedibile consistenza delle giornate. A capire cosa è il movimento di fondo che ci rende così flessibili, ma non meno intensi, di un piccolo arco di bamboo.

Siamo elastici. Al mondo per modificarci e imparare.

Imparare ad essere genitori elastici, qualche esempio? Ok. Ad esempio: prima piangi perché lui piange, quando lo porti al nido. Poi piangi perché vorresti restare con lui, al nido. Ti piace vederlo crescere, interagire. Prendere i morsi dagli altri bambini, perché no, sapersela cavare.
Prima ti abitui a non dormire. Poi qualche ora. Poi tutta la notte. E poi si ricomincia da capo.
Prima ti abitui ai nuovi orari. Macchina. Asilo. Macchina. Lavoro.
Poi altri ancora. Macchina, asilo, autobus, lavoro. Corsa affannosa.
Poi è estate, bye bye Asilo.
Poi la baby Sitter.
Gli amici. I cazzo di virus. I dentini. I vaccini. La febbre.
Ovunque hai deciso potesse collocarsi il tuo piccolo, inutile, insignificante spazio…già non esiste più. Azzerato. Cancellato.

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Non è sufficiente? Lo so. Non credo lo sarà mai, perlomeno non sarà così per tutti. Ci sarà chi non vorrà o non potrà mettersi alla prova, come genitore elastico. Ci sarà chi si sentirà arrivato o chi non capirà mai le proprie potenzialità. Tra un affanno e l’altro, componendo il puzzle di ogni giorno, mi sento a volte spezzata a volte fortissima. Non esiste un elastico solo, nella mia scatola. Ogni giorno ne indosso uno diverso, per mantenere tutto in forma adeguatamente e il risultato è che, ovviamente, di adeguato non c’è mai niente.

Ma oggi è così che va, oggi mi sento adeguatamente me. Protetta al punto giusto. Mamma elastica e stravolta come piace a me.

Ps: non credo che la questione riguardi nessuno di voi lettori (se ancora ci siete). Però sappiate che non mi piace come chiudo i post. Inizio con un tenore e termino in discesa libera, senza criterio o legami, senza alcun senso a volte. Ma…va così. E’ il mio posto questo. Voletemi bene comunque.

QUINDICI ANNI.

standard 23 settembre 2016 Leave a response

Basilica di San Lorenzo

15 anni. Sono 15 anni che godo di questo cielo, di questo orizzonte, che si sagoma di architetture vive, interessanti, potenti, a volte delicate e sconosciute.
15 anni che sei la mia città, Firenze. Quanto mi hai visto cambiare? Quanto mi hai accompagnato tra i miei vicoli della vita? Abbiamo scoperto insieme coraggio e paure, molte lacrime che ora mi fanno sorridere, molti sorrisi che ora chiamano malinconia.
Ero una bambina. Ora?

Ora cammino attenta e guardo avanti. Ora [dovrei dirlo] sono una donna. Quando sono arrivata qui dovevo compiere 19 anni, adesso manca poco a 34. E se gli ultimi 3 anni sono stati una rivoluzione, tutti quelli prima sono stati la base, per questa rivoluzione. Quelle lacrime, le cadute e le ricadute, gli infiniti errori, le serate, i  baci, i trascorsi felici, gli amici. Gli Amici. L’amore, gli esami, le chiacchiere all’università. Il peso delle cose, che varia, che muta, che cambia. Il peso delle parole, dei momenti. L’importanza di tutto, che poi diventa niente, che di nuovo si trasforma. L’università. Non ci capivo niente, all’inizio. Andavo a lezione, prendevo appunti, non sapevo studiare. Ero sprovveduta, spaesata, senza forma. Da un piccolo paese di 1000 abitanti, da una provincia di agricoltori e pianure infinite per me, Firenze, era pura magia. Mi confondeva, mi faceva sentire piccola ma importante, sopraffatta dall’energia che sprigionava. Con la sua arte ovunque, così dirompente, importante, i primi sei mesi volarono senza nemmeno farmi accorgere di ciò che stavo facendo. E non che dopo sia andata meglio, ho solo migliorato qualche dettaglio, piano piano.

Ora [non so se lo sono] sono una mamma. Una mamma che a volte non ce la fa, che corre, che lavora, che lava/non stira/cucina/si arrabbia. Una mamma ogni giorno nuova, che si innamora anche delle difficoltà, che dice GRAZIE, ogni giorno. Grazie per queste vite. Sono una mamma moderna ma non troppo, attaccata alle convenzioni ma non troppo, sola ma non troppo, che ama e non è mai troppo. Una mamma incasinata, che vorrebbe più tempo per ogni giornata, per vedere EliaMirtillo crescere, in tutte le sue direzioni possibili. Una mamma che ha imparato la pazienza, suo malgrado e con tanto sacrificio.

Ora sono [ancora] quella bambina. Che non sa come ha fatto ad arrivare fino a qui. Che se ci penso adesso mi tremano le ginocchia. Perché la forza di quella bambina mi ha fatto fare tante cose. Andare avanti, lavorare sempre, nonostante le difficoltà economiche, studiare, studiare tanto, accettare me stessa, combattere, vincere o perdere non importa, comunque combattere. L’ingenuità, questa cara amica fedele che sempre mi accompagna, che mi aiuta a prendere un sacco di fregature ma, nonostante tutto, sapere che esisto. Che posso guardare la vita e sentirmi pulita.

Ora sono Berenice. Provo a vestire bene questo nome così importante, per me che sono così piccola. Firenze, ad esempio, mi calza a pennello; è una città incasinata, piccola e piena, controversa e talvolta antipatica. Vivere qui è abbastanza complicato ma lo considero un privilegio. Soprattutto quando, ogni mattina, nonostante la fretta, il sacrificio costante, i pensieri che sbattono uno contro l’altro, il sonno e la voglia di essere altrove…lei ti sorprende. Per Firenze 15 anni non sono niente, splende da secoli, ma per me sono stati una fetta di vita meravigliosa e, per la sua presenza costante, la ringrazio. Qui mi sento a casa.