MASCHERE.

standard 17 settembre 2015 5 responses

I sorrisi sono la mia forza. Quello dietro cui nascondo tutto. Quello dietro cui nascondo le lacrime di stasera. Improvvisamente, questo elastico che tiro sempre, così tanto, mi trascina indietro. Alle serate “universitarie” solitarie davanti al pc. Ai momenti no scacciati con la scrittura, con le distrazioni, la realtà. Guardando allo specchio le mie fortune mi sento ridicola a trovare per forza qualcosa di cui lamentarmi. Ma in fondo questa è la nostra vittoria, la nostra via, il modo del mondo occidentale di sopravvivere alla propria superficialità: affacciarsi verso il buio.

Stasera è il mio turno, quello dove ho voglia di scavare e di sentirmi sola, di mollare le redini che mi tengono questo sorriso sempre qui, stampato, per tutti. E’ la sera dove mi mancano le mie sorelle, tre sorelle tutte lontano da me. Avrei bisogno di loro, adesso. Una per gli abbracci e la creatività, una per gli sguardi severi e le meraviglie che ha messo al mondo, una per le battute taglienti e l’essenziale bisogno reciproco di affetto.

Mi scontro con una me stessa che forse è sconosciuta anche per me, con una persona che ho sempre creduto non esistesse, una persona che non vuole chiedere aiuto perché ha paura di non trovarlo. Mi guardo allo specchio e vado avanti da sola, perché solo su di me posso contare. Vacillo in continuazione, temo di non avere appigli, poi da qualche parte trovo la forza, in quegli angoli reconditi la trovo. Ma è difficile, la solitudine. E’ difficile dover dire che ciò che di cui si ha bisogno non c’è. Manca.

Questi sono i momenti in cui vorrei vivere in una radura. Qualche casa qua e là. Pochi passi e lo sguardo rassicurante di qualcuno si posa su di te. Le mie sorelle vicine, i miei genitori, i miei gatti, vedere i miei nipoti crescere e far vedere ogni passo del mio piccolo Mirtillo. Ma così non è. E per stasera questa consapevolezza è abbastanza per affondarmi.

LA CASA NELLA PRATERIA.

standard 5 settembre 2014 15 responses
Mi trasformo.
Se venite a casa dei miei stasera ve ne accorgerete.
Appena, anche solo con il pensiero, tocco la Maremma…divento un’altra.

1. Penso solo al cibo.
2. Mi addormento ovunque, soprattutto sul divano.
3. Le mie sorelle abusano della mia persona, mentre dormo, nei modi seguenti: mi fanno fotografie con i loro piedi sotto il naso o con un cartello sopra la testa con scritto PUZZO e poi le pubblicano su facebook con il mio account, distruggendo in un secondo il mio curatissimo profilo. E la cosa mi fa anche ridere.
4. Mi abbiglio in modi molto opinabili. Tanto stiamo in campagna.
5. La mia iperattività si smaterializza lasciando spazio al più totale rilassamento fisico e mentale.
6. Anche solo percorrere 2 chilometri per arrivare in paese (con la macchina) mi crea fastidio e stanchezza. Quando sono a Firenze faccio molto peggio!
7. Oltre a pensare al cibo mi nutro come se non ci fosse un domani. E una bilancia ad attendermi, perlomeno nella mia coscienza.
8. Faccio qualche passeggiatina nel verde tollerando la presenza degli insetti. Ovviamente piccoli. Ovviamente molto piccoli e molto innocui.

La cosa più divertente di tutto questo è vedere l’integrazione del Bullo. In fondo non è molto che siamo fidanzati ma quando andiamo lì anche lui si sente A CASA. Ormai le mie sorelle hanno preso il sopravvento anche su di lui, il cibo anche e l’incapacità di intendere e di volere pure. Ma che ci volete fare. L’amore a volte diventa la piacevole scusa per trovare un’altra casa, oltre alla propria.
E quindi mi sento così fortunata.
Fortunata perché mi hanno insegnato ad amare le piccole cose, ad individuarle nel marasma, a gustarmi ogni momento come se fosse un regalo. E nella mia trasformazione da donna di città a figlia di campagna rimane sempre il mio cuore.

Il cuore non si trasforma.

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.

Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.
Alda Merini

Battiti su battiti su battiti su battiti…

IL RUMORE DELLA PIOGGIA.

standard 4 giugno 2014 48 responses
Ho sentito il rumore della pioggia sulla macchina dall’inizio alla fine del mio viaggio.
Ho pensato a queste parole per quei minuti interminabili di pioggia.
In cui non sentivo altro che il caldo del volante sulle mie mani, il fresco del vetro umido e appannato, in cui non vedevo altro che i fari, gallerie, nebbia. Nessun altro paesaggio se non la strada di fronte a me.

Nessun’altra follia o tradimento, solo io e la pioggia.
Nessuna bugia o corse impazzite, solo il mio respiro calmo…e la pioggia.

E la mia mente rielabora progetti, salti di qualità, estensioni temporali per rendere tutto fattibile.
Curva dopo curva.
Mano dopo mano.
Scambio, sguardo, attenzione, biberon di latte finto, sensazioni familiari. Abbracci. Amore allo stato puro, gioia, resistenza (alle lacrime), strade strade e ancora strade. Svolte, scelte, incroci, semafori, caselli autostradali, prezzi della benzina.
Tutto cambia, tutto si modifica, tutto si dimentica, tutto prende la propria direzione.

Io prendo le tue piccole mani paffute.
Prendo i tuoi riccioli.
I tuoi sorrisi di denti mancanti, i tuoi invece ancora inconsapevoli.
Prendo voi, mia droga d’amore, metà dolcezza, metà soffice candore.
E farei ancora tanti chilometri, come un innamorato per la sua principessa, che lo aspetta al tramonto alla finestra socchiusa.
Pagine e pagine di favole, dinosauri, strani giochi dell’oca.
Pagine che vorrei io scrivere con voi, tutti insieme, tutti i giorni.

La vita è come un domino al contrario.
Se pensi a ciò che più ami non smetteresti mai di ringraziare chi ha dato forma a tutto questo, tornando passo passo indietro fino ai tuoi antenati più lontani e nascosti.
La vita è un albero. Una spiaggia deserta. E’ ricca di speranza e di presenze.
Le mie sorelle sono i rami più belli, le presenze più intense, i sorrisi tiepidi e le esplosioni di affetto, i pianti, i morsi, i ricordi e la sicurezza del mio futuro.
Sono fortunata perché nell’umiltà della mia vita posso vantarmi della ricchezza più grande.
Avere loro. Essere con loro. Senza simbiosi ossessive o ingegni particolari. Così come siamo, un NOI che non svanirà mai.

Risalgo le caselline del mio domino e concludo il mio percorso.
Questo post è stato un delirio, un travaglio, una sanguisuga attaccata al collo che mi succhiava via le parole ogni volta che mi ci mettevo davanti.
Ebbene, è nato. E’ nato un post d’amore e casualità. 
E questo vi lascio, in balia di un raggio di sole.


Io con le mie sorelle e i miei nipoti ?


MEZZANOTTE E UN QUARTO.

standard 20 gennaio 2014 71 responses
Questo sonno, coltivato in una notte agitata, è un sonno simpatico. Mi tiene sveglia. 
Palpebre semi aperte, demenza intervallata a frequenti disconnessioni di neuroni, livelli di attenzione pari a quelli di un peluche di mia nipote.
Questo sonno, ha un nome, Giovanni. Ha anche un peso, 3,280 meravigliosi kg di bellezza. Due occhietti che ancora devono scoprire tutto. Delle manine che immagino morbide e profumate, che diventeranno abili cercatrici di guance, avide arruffatrici di capelli, irresistibili vittime di morsi.
Questo sonno si chiama impazienza, amore, preoccupazione, destino, impeto, felicità.
Questo sonno è il primo regalo che mi fa mio nipote, appena nato, in una notte di Gennaio.
Vorrei regalarvi la mia gioia.
Che per una volta non è solo smielatissimo ed appassionato amore, ma amore che ha le sembianze di un essere fragile e profumato di latte, di vaniglia, di dolcezza.

Questo sonno è la mia condanna, in un lunedì in cui ogni peso sembra sollevarsi e svanire, come fosse vapore. Forse è così che dovrebbe essere sempre, ogni giorno che ci sembra insostenibile, ogni giorno in cui il peso delle cose ci schiaccia, o da esso ci lasciamo schiacciare.
Pensare al germogliare della vita.
A come sarà fiorita e colorata.
Al nostro essere figli, zii, fidanzati, genitori, nonni.
Al nostro essere sorelle e fratelli, amici, cognati, indissolubilmente legati a queste radici che ci tengono qui, in vita, per generare in qualche modo altra vita.
Chissà, prima o poi toccherà anche a me, chissà se vorrò scrivere, registrare, fotografare le parole e i momenti…non lo so. Questa è una vita ancora da scrivere. 
Quello che mi importa oggi è la vita che ha iniziato a scrivere lui, senza nemmeno sapere come, regalandoci occhiaie, sonnolenza e stordimento…
Ma un’immensa e rinnovata speranza per TUTTO.

Gustav Klimt – Le tre età della vita (particolare)

Viaggi (in)aspettati…

standard 28 dicembre 2012 28 responses
Ho affogato il mio sgomento di questo Natale addormentato in un infinito mondo di pop corn.
L’altra sera al cinema.
Ci ho affondato la mano. Ho assaporato il sapore salato dei frammenti in fondo al contenitore colorato, si attaccavano alle dita umide di saliva.
Il film si snodava tra le foreste della terra di mezzo, Bilbo, Gandalf e i nani calcavano i terreni scricchiolanti di storie, lasciandosi alle spalle sangue, spade, frecce e sguardi d’intesa.
Un viaggio inaspettato.
Le lande sconfinate della Nuova Zelanda, le infinite montagne, il colore verde che quasi acceca gli occhi.
Un mondo inventato nei sogni più strani torna a vivere sotto i miei occhi.
Quei draghi che rispondono al terrore della perdita sono la forma delle mie paure. Le squame, il movimento rapido ma pesante, pungente e imprevisto.
Le paure di non riuscire a mettere tutto dentro un fagotto e partire.
Non ho uno zaino abbastanza capiente per portare con me le esperienze, la vita e i sorrisi che vorrei, i rimproveri e gli insegnamenti, le litigate furiose, le lacrime versate. 
Guardo le mie sorelle come fossero il film più bello che potrebbero scrivere sulla mia vita, vivo e godo ogni momento con loro perchè conosco i cambiamenti istantanei delle cose, come battiti di ciglia ben strutturati.
La più grande, così silenziosa e riservata, con quegli angoli acuti che sembrano dei cancelli invalicabili, dai quali puoi sperare di passare solo se lei decide di lasciare una piccola fessura, come un fiato di vento primaverile, come un petalo che ti carezza, nonostante non voglia far trapelare ciò che vive.
Le mie piccole bambine. I miei fiori. La “numero tre” e i suoi lunghi capelli, portatori delle sue mille facce, il sorriso e il pianto, quel dolore che non vorrei mai vederle provare, i diavoletti tentatori che le fanno cambiare modo di vivere quando lei, in fondo, è una candida margheritina di campo, come quelle che spuntano timide adesso, in questo dicembre così caldo. E la stella del mio cielo, dura, intoccabile. Ma quella fragilità e amore che leggo nel suo sorriso quando la accompagno a letto, mezza addormentata, o quegli abbracci e i baci di quando mi rivede dopo qualche settimana mi ripagano di tutta la sua poca docilità.
Voi credete che sia solo bello, dunque. Una famiglia numerosa è come una ricetta inventata, ingredienti improvvisati e un forno che non funziona. E’ un gran casino insomma. Gatti che miagolano, cane che abbaia, molte più probabilità di insuccesso, di delusioni, di sofferenze. Elasticità da far invidia all’argilla.
Se speri di tornare a casa e ricevere un abbraccio magari non è il tuo turno, arriva quando non lo vuoi. Tutti che fanno domande e non sono mai quelle giuste, quelle che vorresti sentire. Quando cambi lavoro, quando torni, quando riparti, quando trovi il fidanzato “giusto”, dai dai (pacca) vedrai che lo trovi anche te. Mix di parole da far venire un infarto insomma. 
Però. Il gioco vale la candela anzi. Il candelabro. 
Ogni parola fuori posto, ogni osservazione da nevrosi, ogni commentino stizzito che mi fa salire il sangue al cervello. Ognuno di questi momenti io li vivo e ringrazio i miei antipatici genitori di avermi dato tutto questo. 
Tutti i balletti stupidi, i versi ripetitivi, le paroline inventate, i soprannomi, gli sguardi.
Io che non amo il Natale, la bambina cattiva, impertinente e bizzosa, con le codine che non stanno mai al loro posto, altro che Grinch. Io sono proprio spietata con il Natale. 
Ma con le mie sorelle tutto diventa meraviglioso. 
Mangiare una montagna di pop corn guardando Lo Hobbit diventa un momento da ricordare. 
E la voglia di partire con loro, lasciare tutto, chiudere a chiave il male che a volte i nostri cuori pallidi e sensibili ci fanno sentire, mettere in valigia i nostri stracci, questo è quello che vorrei come regalo.

Casa è ormai dietro di te, il mondo è davanti

E io guardo avanti. Con i miei occhi, con tutte le speranze e le forze, con la voglia di brillare di nuovo, di osservare la mia volontà lottare contro l’indolenza e vincere, senza dubbio, vincere.
Se in tutto questo non ci sarà l’amore, quello – di cui sopra, pacche sulle spalle etc… – lì di amore, beh, state pur certi che non mi farò mancare di vivere.

Piccole Donne…

standard 18 ottobre 2012 10 responses

oggi mi sento così, anche se è una condizione che sento mia da tempo, oggi più del solito…

più nello specifico così:
(tratto da Wikipedia)
  

Josephine, detta Jo, è la secondogenita delle sorelle ed ha 15 anni. Inizialmente lavora come dama di compagnia per la zia March. Viene descritta come schietta, coraggiosa, determinata, ribelle e irrequieta. Ogni tanto tira fuori un carattere scontroso ed il suo temperamento impulsivo la porta ad arrabbiarsi spesso, ma ha sempre buone intenzioni. Jo non è molto femminile e le risulta difficile comportarsi come una “signorina” tanto che viene vista come il “maschiaccio” della famiglia. La sua sorellina preferita è Beth. Le piace andare a cavallo e correre per i prati, ma la sua vera passione è la letteratura e coltiva il sogno di diventare una scrittrice famosa, così nel frattempo si diletta ad inventare storie da far leggere alle sorelle. Inizialmente Jo è contraria al matrimonio e al romanticismo in generale, ma in seguito si innamora, ricambiata, di un professore tedesco, Friederich Bhaer, molto più grande di lei di età.  

certo, ci sono dei dettagli che non corrispondono, ma il quadro generale può incastrarsi quasi alla perfezione!

un abbraccio, vostra Jo.