Ho affogato il mio sgomento di questo Natale addormentato in un infinito mondo di pop corn.
L’altra sera al cinema.
Ci ho affondato la mano. Ho assaporato il sapore salato dei frammenti in fondo al contenitore colorato, si attaccavano alle dita umide di saliva.
Il film si snodava tra le foreste della terra di mezzo, Bilbo, Gandalf e i nani calcavano i terreni scricchiolanti di storie, lasciandosi alle spalle sangue, spade, frecce e sguardi d’intesa.
Un viaggio inaspettato.
Le lande sconfinate della Nuova Zelanda, le infinite montagne, il colore verde che quasi acceca gli occhi.
Un mondo inventato nei sogni più strani torna a vivere sotto i miei occhi.
Quei draghi che rispondono al terrore della perdita sono la forma delle mie paure. Le squame, il movimento rapido ma pesante, pungente e imprevisto.
Le paure di non riuscire a mettere tutto dentro un fagotto e partire.
Non ho uno zaino abbastanza capiente per portare con me le esperienze, la vita e i sorrisi che vorrei, i rimproveri e gli insegnamenti, le litigate furiose, le lacrime versate.
Guardo le mie sorelle come fossero il film più bello che potrebbero scrivere sulla mia vita, vivo e godo ogni momento con loro perchè conosco i cambiamenti istantanei delle cose, come battiti di ciglia ben strutturati.
La più grande, così silenziosa e riservata, con quegli angoli acuti che sembrano dei cancelli invalicabili, dai quali puoi sperare di passare solo se lei decide di lasciare una piccola fessura, come un fiato di vento primaverile, come un petalo che ti carezza, nonostante non voglia far trapelare ciò che vive.
Le mie piccole bambine. I miei fiori. La “numero tre” e i suoi lunghi capelli, portatori delle sue mille facce, il sorriso e il pianto, quel dolore che non vorrei mai vederle provare, i diavoletti tentatori che le fanno cambiare modo di vivere quando lei, in fondo, è una candida margheritina di campo, come quelle che spuntano timide adesso, in questo dicembre così caldo. E la stella del mio cielo, dura, intoccabile. Ma quella fragilità e amore che leggo nel suo sorriso quando la accompagno a letto, mezza addormentata, o quegli abbracci e i baci di quando mi rivede dopo qualche settimana mi ripagano di tutta la sua poca docilità.
Voi credete che sia solo bello, dunque. Una famiglia numerosa è come una ricetta inventata, ingredienti improvvisati e un forno che non funziona. E’ un gran casino insomma. Gatti che miagolano, cane che abbaia, molte più probabilità di insuccesso, di delusioni, di sofferenze. Elasticità da far invidia all’argilla.
Se speri di tornare a casa e ricevere un abbraccio magari non è il tuo turno, arriva quando non lo vuoi. Tutti che fanno domande e non sono mai quelle giuste, quelle che vorresti sentire. Quando cambi lavoro, quando torni, quando riparti, quando trovi il fidanzato “giusto”, dai dai (pacca) vedrai che lo trovi anche te. Mix di parole da far venire un infarto insomma.
Però. Il gioco vale la candela anzi. Il candelabro.
Ogni parola fuori posto, ogni osservazione da nevrosi, ogni commentino stizzito che mi fa salire il sangue al cervello. Ognuno di questi momenti io li vivo e ringrazio i miei antipatici genitori di avermi dato tutto questo.
Tutti i balletti stupidi, i versi ripetitivi, le paroline inventate, i soprannomi, gli sguardi.
Io che non amo il Natale, la bambina cattiva, impertinente e bizzosa, con le codine che non stanno mai al loro posto, altro che Grinch. Io sono proprio spietata con il Natale.
Ma con le mie sorelle tutto diventa meraviglioso.
Mangiare una montagna di pop corn guardando Lo Hobbit diventa un momento da ricordare.
E la voglia di partire con loro, lasciare tutto, chiudere a chiave il male che a volte i nostri cuori pallidi e sensibili ci fanno sentire, mettere in valigia i nostri stracci, questo è quello che vorrei come regalo.
Casa è ormai dietro di te, il mondo è davanti
E io guardo avanti. Con i miei occhi, con tutte le speranze e le forze, con la voglia di brillare di nuovo, di osservare la mia volontà lottare contro l’indolenza e vincere, senza dubbio, vincere.
Se in tutto questo non ci sarà l’amore, quello – di cui sopra, pacche sulle spalle etc… – lì di amore, beh, state pur certi che non mi farò mancare di vivere.