Quando ci sono troppe cose da raccontare, l’unica cosa da fare è trovare il filo del gomitolo e cominciare da lì. Dalla fine, quando si è arrotolato tutto, tipo quando mangi gli spaghetti e la forchetta con affanno ha percorso tutto il piatto per lasciarlo sgombero.
E’ stato intenso, indubbiamente. Pieno, ricco, fitto, zeppo, soffocante quasi.
E’ stato colorato, diverso, insolito, emozionante, mitico.
E’ stato come entrare in una leggenda epica, esserne risucchiati e poi uscirne, senza nemmeno troppi effetti collaterali, a parte il fuso orario.
Amo viaggiare, respirare mondi opposti e imparagonabili tra loro.
Amo viaggiare ma non sopporto stare così lontana, kilometricamente parlando, da casa mia, soprattutto se con la parola viaggio si associa la parola lavoro.
Dieci giorni che a raccontarli mi ci vorrebbe un mese, per tutto quello che ho visto, provato, assaggiato, passeggiato, incrociato, scrutato, sudato, fotografato.
Ho visto Johnny Depp che abbracciava Wonder Woman, impronte famose e set cinematografici, Beverly Hills e Mulholland Drive, ho visto ville lussuose e grattaceli dalla forma strana, architetture da enciclopedia e musei (correndo) nei quali avrei potuto passare una vita.
Ho visto panorami mozzafiato, dall’Oceano Pacifico alle colline verdi di Hollywood, senza alcuna interferenza, se non il vento forte che confondeva idee e capelli. Mi ci sono bagnata i piedi, nell’Oceano, la mattina presto. L’acqua era fredda e arrabbiata.
Ho visto le Montagne Rocciose, la neve da Zurigo a Denver, ho viaggiato e perso aerei, coincidenze, momenti, ricordi. Ho respirato la marijuana libera del Colorado e il fumo che esce dai tombini, mangiato panini e french fries, assorbito e osservato tutto, visibile e invisibile.
Ho fatto la pipì nell’hotel di Pretty Woman, toccato le nuvole morbide della California e i suoi pungenti cactus, mi sono seduta accanto a Forrest Gump e messo un piede one mile above the sea level (a proposito…sapete cosa vuol dire stare una settimana a 1600 mt di altezza? Pelle secca, aria rarefatta, mal di testa, sangue dal naso tutti i santi giorni…quando dico che preferisco il mare!).
Ho camminato tanto, consumando scarpe e distanze, che di certo non sono brevi. Ho riempito e disfatto valigie, perso la testa e parecchie lacrime, scordato di comprare regali e fatto acquisti inutili ma essenziali. Ho visto artisti di strada, barboni che suonano il pianoforte, poetesse improvvisate parlare solitarie sotto una palma scossa dal vento, parecchi palloncini e parecchie altre cose che avrei voluto vivere per mano al mio amore.
Gli Stati Uniti non sono un posto facile, per chi come me ama la storia, le radici. Sono uno stato così nuovo e che si rinnova con una tale facilità da rendere tutto ciò cui siamo abituati quasi ridicolo. Lì la storia è fatta dalla Coca Cola, dai boulevard alberati visti in qualche film, dall’integrazione razziale evidente, dal sentimento comune di tolleranza.
Non si può far altro che aprire la mente, una volta arrivati. Ci sono troppe cose da immagazzinare, ma l’inesperienza della gioventù del paese diventa il suo primo pregio: niente è storia, niente è da ricordare per sempre, tutto si può modificare, organizzare, armonizzare. Tutto diventa plasmabile, niente è statico.
Non ci sono radici, non ci sono legami.
Questa medaglia ha anche il lato opposto, quello dei lunghi risvolti negativi, delle obiezioni che si possono fare ad ogni virgola. Io stessa ne ho a bizzeffe di critiche, sugli States…ma non oggi.
Perché ora ho solo voglia di sorridere, perché sono tornata.
Sono sopravvissuta a infinite ore di volo, scomodissime ed infinite.
Perché questa esperienza mi ha fatto bene, per quanto sia stata impegnativa e, indubbiamente, non ho il fisico per tutto questo impegno.
Perché guardare un altro mondo e poi tornare a guardare il proprio regala delle sfumature che prima non c’erano, si nascondevano nella quotidianità, nell’abitudine, nell’ovvio.
E’ bello viaggiare.
E’ bello tornare.
Perché è bello sapere che ci sono, che ci siete. Come quando cammini al buio e dopo qualche passo sai che c’è il letto.
Le ginocchia si appoggiano sul materasso e non c’è pericolo di cadere.
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Los Angeles & Denver – 10 giorni in 16 foto |