Poison. Di veleni e di grovigli.

standard 5 aprile 2013 51 responses

I want to hold you but my senses tell me to stop
I want to kiss you but I want it too much 

I want to taste you but your lips are venomous poison
You’re poison runnin’thru my veins
You’re poison, I don’t want to break these chains

Come sempre. Ti svegli con un pelino di ritardo, fuori piove.
Ti vesti, abbinando in modo armonioso tutti i dettagli, fai una carezza alla gattina che dorme sul cuscino, invidiandola per la sua nullafacenza quotidiana.
Ti prepari le fette biscottate con la marmellata, un bicchiere d’acqua.
Ombrello, due passi fuori, macchina.
E alla radio passano proprio la canzone con quel testo evocativo che fa tanto dito nella piaga

I  W A N T  T O  H O L D  Y O U  B U T  M Y  S E N S E S  T E L L  M E  T O  S T O P

E’ ufficiale. Stamani, insieme alla mia cresta, ho agghindato anche la Torre di Babele che mi faceva compagnia dentro la testa. Alta, incasinata, piena di colori e di piccoli dettagli infinitesimali. Ma si sa, i dettagli sono ciò che forma l’insieme. E questa torre di pensieri è lì. Vacilla, è formata da tessere di un domino verticale che non so gestire, è una centrifuga di colori, di sensi, di sapori, di piccoli granelli e bacche rosse, di arcobaleni che ancora non conosco. 
Bello eh? Indubbiamente. Se non ci siete dentro è bellissimo. Da fuori lo spettacolo è evidente, come l’aurora boreale. 
Ma le infrazioni, le emulsioni chimiche, le rifrazioni della luce sono così tante. 
E non rimane che lasciarsi andare?
Lasciarsi tentare?
Assaggiare le caramelle da tutti i dieci sacchettini che ho davanti. Ecco quello che farò. 

Come sempre. Ti svegli con un pelino di ritardo, fuori c’è il sole.
Ti vesti, leghi le tue codine in alto, a fare il solletico al cielo.
Ti prepari la sacca per andare a fare un pic nic, ma nella sacca ci sono solo tante caramelle. Tanti gusti diversi, tanti sacchetti colorati.
Occhiali da sole, due passi fuori, anzi qualcuno in più. 
Ballerine ai piedi, via le odiate calze, il fresco sulla pelle ancora bianca, sembianza invernale da cambiare, come la pelle di un serpente albino.
E sei nel luogo del cuore. In quel posto dove vince il cemento, dove vince l’uomo. Ma la natura c’è, è potente. E’ un flusso sull’impossibile. 
Il luogo del cuore dove staccare la spina da tutto, dove accoccolarsi stringendo le ginocchia, dove ascoltare solo il R U M O R E forte che risuona a Babele, special guest della mia testa oggi, questo venerdì furioso e fuori controllo.

Ti siedi, nel luogo del cuore. Metti i sacchetti di caramelle davanti a te. Assaggia, mastica, assapora, rompi con i denti per far uscire il succo, percepisci le differenze.
Aspetta. Aspetta fino a che l’ultimo frammento, come una scaglia di vetro, scende in fondo allo stomaco, lasciando segni del suo passaggio.
Fino ad allora prendi uno ad uno i capi di tutti i gomitoli che si sono attorcigliati e cerca una via. Per non impazzire.

Vladimir Kush – Mythology (2011)

Questo artista mi ha folgorato. Le sue opere sono meravigliose, tutte. Fatevi un regalo oggi, guardate il suo sito o digitate il suo nome su google immagini, sarà un viaggio immaginario bellissimo, pieno di colori, luce, fiori, leggerezza e visioni. 
L’opera che ho postato è un piccolo riassunto di ciò che vedo quando chiudo gli occhi oggi. 
In pratica…un gran bel casino.

Un piccolo puntino marrone.

standard 2 aprile 2013 58 responses
Sposerò Simon Le Bon (1986)
Idoli.
Idoli come wodoo nei quali affondare spilloni.
Idoli come passione, che lo spillone sia dardo infuocato di Cupido, cecchino infallibile.
Idoli, ma sono persone.
Idoli come ispirazione.
Idoli come tu, che mi tormenti. 
Ma quando mi piace essere tormentata da te, mio Muso ispiratore le cui apparizioni si annoverano come nelle enciclopedie astronomiche annotano le apparizioni della cometa di Halley. 
Rare, fuggevoli, abbaglianti, da seguire con la pecorella al collo verso la grotta di Betlemme, in pratica.
Però…per quella maledetta lampadina che cerco come un piccolo faro nella notte del mio oceano tempestoso, non ci può essere di meglio. 
Lui è la mia Eleonora Duse. Certo, non ha la sua grazia, le sue doti e non fa l’attrice, e credo che preferirebbe essere usato come wodoo (di cui sopra) piuttosto che come ispiratore del mio acuto, ma talvolta empio cervelletto nella sua parte creativa, ma tant’è. Non tutto si può decidere nella vita.
Come la posizione dei nei.
Una mattina ti svegli e ti trovi un neo che la sera prima non avevi.
Ed è lì, tu non puoi far altro che constatarlo, osservarlo da tutte le angolazioni possibili, misurarne con gli occhi la dimensione, cercare di capirne il significato, ma rimanere inerme. Lui è lì. 
Un neo sul mio cuore. Indelebile, come piace a me.
E uno sul mio dito. Sul mio pollice destro. Che mi aiuta a scrivere, quando lo guardo, che mi ricorda che io sono tutta intorno a quella macchiolina marrone, ma sono anche quella macchiolina marrone. 
Ci sono tanti nei sulla mia pelle. Molti li nascondo, altri li mostro come fossero trofei, tatuaggi naturali del passaggio di qualcuno, recenti o passati, adolescenziali o dimenticati.

E poi ho capito.
E’ così che funziona. L’amore è una doccia calda. Piacevole, infinita, definita quando esiste. Spietata, gelida, instabile appena la doccia si chiude.
Basta acqua, non più sensazioni. Solo dolore.
Rimane la pelle bagnata, le gocce che subito da bollenti pillole di sollievo diventano piccoli ghiaccioli da agopuntura.
E’ così che funziona.
Bugie, ripercussioni della realtà, racconti di mille Shutter Island, di scalinate di Escher senza via d’uscita o maniglioni anti panico.
E poi ho capito.
Funziona che tu sei l’ombra di quella goccia evaporata, neo disegnato, profonda ombra ma evanescente, tu abiti la stessa medaglia con una doppia e opposta faccia. 
Tiro la moneta in aria.
E comunque cada…io sorrido.
Perchè nessuna doccia calda, nessun ghiaccio asfissiante, nessun Cupido sbagliato, nessuna follia, potrà cancellare questo neo, piccolo, insignificante, uguale ad altri cento, dal mio dito.

Quei soldati del mare.

standard 28 marzo 2013 65 responses
Quando sogni il lavoro (e il boss) non è un buon segno.
E poi il sogno si materializza sulla tua scrivania sottoforma di appunti, fotocopie, scarabocchi, post-it, dettagli da non dimenticare e mille altre cose ancora in fase di definizione…e ti rendi conto che non è solo un incubo da far scivolare via con un po’ di acqua fredda sul viso la mattina, ma la tua realtà!

Capo Bianco – Isola d’Elba, luglio 2010
Immaginatevi un ciottolo. 
Di quelli che si trovano a Capo Bianco, Isola d’Elba. Belli rotondi, levigati, che sanno di selvaggio quanto di salmastro, di onde che ti sbattono forte agli scogli, di risacche che ti attirano verso il mare e poi ti lasciano lì, a guardare l’orizzonte piatto, chiaro, acceso di caldo e di miraggi estivi. 
L’ultima volta che sono stata a Capo Bianco c’era il mare mosso. Il cielo era bellissimo, con le nuvole che sembravano stracciatella, era luglio pieno, caldo, vivo, ma non si poteva fare il bagno. Il vento ci sferzava la pelle abbronzata, l’acqua ci rincorreva in quella lisca di terra che rimaneva, costringendoci ad avvicinarci alla parete di scoglio anch’essa bianca. E poi le alghe secche, il sapore del sale sulla bocca, i piedi vicini alle onde troppo forti…e tutti i ciottoli sotto i nostri piedi.
Ogni passo ne prendevo uno tra le mani, per capire se era quello giusto, quello da conservare per ricodo della brevissima vacanza, quello da mettere vicino alla pianta grassa preferita, nella mia serra personale.

Immaginatevi di essere un ciottolo. 
Di essere levigati, bianchi, belli, forti, indistruttibili, sensibili.
Immaginatevi di essere presi tra le mani di qualcuno.
Mi chiudo, la mia forma è imperfetta ma ha un contorno, posso essere scelta. Mi sento leggera e, per essere un sasso, è strano. Mi hanno raccolta, accolta. Desiderata perchè sconosciuta, desiderata perchè con un peso specifico particolare, mai uguale a se stesso, in costante trasformazione. Tutta colpa della corrosione. 
Insomma io, ciottolo tra milioni di altri ciottoli, sono tra le mani sue. E queste mani mi soppesano, mi sfiorano la superficie e scrutano, dai piccoli fori, anche l’interno. 
Il ricordo di un’estate. 
L’insostenibile necessità dell’effimero. 
Essere e scomparire.
Presenza e assenza. 
Io, ciottolo dotato d’anima, guardo queste mani. Anulare, medio, indice. C’è dello spazio, c’è della luce. Ogni giorni si allargano sempre di più, io vacillo.
Trattenetemi vi prego, dita sconosciute. Ma il vento è troppo forte, l’orizzonte così irraggiungibile e attraente, le cose da fare sono tante, la smania incontrollabile. 
E io, ciottolo disarmato, torno sulla spiaggia.
Mentre cado l’aria calda e forte mi accompagna, quasi divento una piuma. Scendo a zig zag, con la dovuta calma.
E non mi dimentico di quanto sia difficile prendersi cura di qualcuno.
Che io sia ciottolo o che io raccolga quel piccolo sasso bianco da conservare, che io abbia una scrivania piena di scartoffie e un mese che mi aspetta denso come la cioccolata calda del bar, io voglio prendermi cura di chi amo. 
Perchè la vita è così fragile, passeggera. Cammino sul filo con il mio ciottolo tra le dita, lascio che il sole illumini le mie lentiggini e la mia pelle opaca di un letargo lungo e recito:

Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie
Un soldato al fronte, trincee nemiche. 
Scelgo con pazienza i ciottoli da portare con me, che siano peso, zavorra nelle mie tasche, ma libertà e presenza costante nel mio cuore.
Ringrazio Boh e Debora per i loro premi delle settimane scorse. Non sono brava con queste cose e a volte mi dimentico…ma ora ce l’ho fatta! 
Sento la primavera forte, un tumulto. Sento che non devo smettere di leggere, studiare, imparare, conoscere. Perdonatemi se ogni tanto mi prendo qualche pausa dai vostri blog…se lo faccio è per poi tornare più ricca e meno ignorante di prima, almeno spero! Perdere ciò che si è acquisito in anni di studio è così facile, devo recuperare ciò che ho lasciato andare. Prendersi cura di se è la cosa migliore che si può fare per chi ci ama, oltre che per noi stessi. 

– Questo post lo dedico a te, mezzamelina del mio cuore. Sei speciale, te lo dimentichi troppo spesso. Guardati allo specchio e capisci il tuo contorno, la tua intensa energia, il tuo fuoco e le debolezze che hai scoperto. Sono solo dei doni, basta imparare a direzionarli nel giusto modo. Ti voglio bene. –

A sud del confine, a ovest della Luna.

standard 22 marzo 2013 42 responses
Latitudine 8°30’00 N
Longitudine 31°24’00 E
Coordinate lunari per il vostro sbarco, direttamente nel Mare della Tranquillità.
Io ci sono già stata, non molto tempo fa, ve lo raccomando.
Non se avete paura del buio, perchè lì non c’è molta illuminazione, anche perchè è bello affogarci con gli occhi chiusi, godendosi sommessamente il piacere della pace.
Magari il vostro viaggio dura un attimo, magari una notte intera, qualche ora. Ma provateci, non perdete l’occasione.

Mare Tranquillitatis

Ho gravitato lì per ore. Le mie vene pulsavano, quasi fosforescenti, dentro scorreva una pozione, un sonnifero per la mia perenne agitazione. Il siero per ogni ansia. La fine ad ogni dispersione di energie.
La pace, finalmente.
Chiusa nel mio palloncino trasparente, sempre un po’ goffa, guardavo il buio intorno. E gli occhi, ormai aperti e assuefatti, intravedevano forme, crateri sconosciuti, visti solo immaginandoli, dal mio posto sulla terra.
I palmi delle mani unico mio confine di sguardo, sull’interno del palloncino.
Una strana scoperta, per chi come me ha la presunzione di aver esplorato ogni anfratto della sua persona, una bella scoperta sapere di essere ancora e imprevedibilmente sconosciuti a noi stessi.

La tisana scende calda per la mia gola. Cerco una via per mandarla anche in quelle vene che hanno perso il loro siero, cerco un meccanismo diverso, un percorso, un dirupo dal quale scivolare. 
Mi reinvento e sono sempre la stessa.
Cambio i connotati e sono sempre la stessa.
E mi racconto con parole nuove, ammetto la fatica, ma non sono doma.
Quella tranquillità leggera come una impercettibile bolla di sapone non si è infranta, alle soglie dell’atmosfera terrestre. Perchè il mare, da dove è nata, dove è stata immersa per anni, che le ha regalato quei riflessi pallidi e color avorio, è un mare accogliente, salvifico.
E il siero non è perduto.
E’ perenne.

George Melies – Viaggio nella Luna (1902)

Poi, quando tornate dal vostro viaggio, passate da qui:
Natalia, sangue del mio sangue. 22 anni e tanta voglia di amare. Ha preso da me.
Helena, mia amica, tanto amica.
Vale la pena leggerle.
Ps: il titolo del post è merito di Murakami, il mio scrittore preferito. Ho solo cambiato oggetto celeste 🙂

C’ero io. Palazzo Vecchio e una poesia.

standard 14 marzo 2013 63 responses
Ci sarà un giorno in cui riuscirò anche a postare il video. Forse.
Intanto queste sono alcune foto e, credetemi, ho fatto uno sforzo sovrumano per sceglierle! Sono tutte Perfette… tutte di Maurizio Picci, il mio Fotografo del cuore, nonchè migliore amico, che forse di voi qualcuno già conosce per questo e soprattuto per il bellissimo progetto ALIENS.
Ma non mi voglio dilungare troppo…godetevi le foto e quel pomeriggio di una settimana fa che tanto mi ha fatto sognare, che mi ha fatto sentire un’emozione nuova, viva e vibrante, che mi ha fatto sudare le mani come una pivella al primo esame.
Le prime volte sono belle, si sa.

La mia poesia Perfetto
 
  

 

La poetessa Fiorenza Alderighi, una persona magica
La mia “sorellina” S. ?

Alcuni dei miei amici presenti ?
 
Maria Cristina Valore e Berenice Boncioli
in arte Cry & Berry
Leggere davanti ad un pubblico, piccolo ma importante, ciò che si scrive con anima e trasporto è davvero un’emozione forte. C’era la mia Firenze fuori, c’era la pioggia. Un febbraio controverso e denso, il libro di una grande amica, ricca di meraviglie da donare a tutti noi, c’ero io. Le mie sorelle, mio babbo e mia mamma. I miei amici. 
C’era la mia giacca blu elettrico e dei ranuncoli selvaggi. 
C’ero io, la mia poesia.
Se ci ripenso non mi sembra vero.

Di nature vive.

standard 12 marzo 2013 71 responses
Jakob van de Kerckhoven (Giacomo da Castello) – Natura viva con galline, colombi, ostriche, arance ed asparagi
Era il lontano XVII secolo. I pittori dell’epoca dipingevano tele di nature morte, nature vive, nature starnazzanti. Usavano gli insegnamenti di Caravaggio per illuminare di chiaro le cucine buie, affollate di cuoche dalle mani esperte e piene di calli, donne di casa con turbanti in testa e pochi orecchini di perla alle orecchie.
Pentoloni di rame, camino, mestolini di legno levigati con cura, cesti di vimini carichi di primizie. E fuori la pioggia. I vetri fini delle finestre che vibrano ad ogni goccia. E quel fuoco che è vita, necessità quotidiana, il vapore alto, colora di rosso il volto delle governanti vicine. Vapore che si attacca alle pareti ruvide che di giallo pallido colorano la stanza.

Ma qui non si parla di storia, non oggi. Non si parla della mia amata arte, non oggi.
Non si parla di ingiustizie, di cucina o di faticosi momenti dell’anima.
Non si parla di poesia e nemmeno di depressione cosmica.
Qui si parla di GALLINE.
Con precisione direi de LE BLOGGALLINE.
Un’intesa nata fin dal primo coccodè. 
Come fossero tanti pulcini curiamo i nostri blog, gli togliamo le piume vecchie, aiutiamo a crescere quelle nuove. Becchettiamo un semino qua e là, sparso nell’aia con amore da chi si prende cura di noi. Diventa un’idea, riempie il pollaio di frastuono. 
Le Bloggalline da qualche giorno sono una realtà, numerosissima, rumorosissima, con mille voci, mille pensieri, mille volti diversi. Come in ogni famiglia che si rispetti ci sono le galline che preferisco, quelle con le quali sono più legata, le vicine di covata, quelle a cui accudirei l’ovetto se me lo chiedessero. Insieme a loro, sotto le piume candide, sotto la paglia che è il nostro giaciglio, mi sono trovata coinvolta in questo fantastico esperimento di condivisione:
Il raduno delle BlogGalline.

Ebbene, oggi ho prenotato il biglietto per Roma, che a fine aprile ci accoglierà, non vedo l’ora di conoscerle tutte, di persona. Perchè molte di loro già le conosco, alcune sono come sorelle ?, altre come amiche di una vita, persone che mai avrei pensato di scoprire con questi mezzi e in così poco tempo.
Tutta questione di empatia. E di condivisione, come dicevo prima. 
Insomma…dietro ad un blog c’è molto di più di quello che si può pensare.
Persone che scrivono, anime appassionate, mani che cucinano, donne, mamme, lavoratrici, appassionate di moda, cuori straziati d’amore, poetesse da scoprire, filosofe della tastiera. E’ un mondo ricco ed eterogeneo, multirazziale e “avido” di conoscenza.
Chiamarci Galline è solo un gioco, uno specchietto per le allodole. 
Non ci credete? 
Leggeteci.

E per le blogger (va bene dai…anche I blogger) che volessero partecipare…fatemi sapere!
Intanto… KEEP CALM AND…

Albicocche a Marzo.

standard 9 marzo 2013 74 responses

Ho imparato a mettermi la matita sugli occhi, senza sembrare un pagliaccio.
Ho imparato a limitare le mie ansie, ogni tanto.
Ho imparato a mangiarmi le unghie,
A boicottare la Nestlè
A guidare la macchina senza uno specchietto
Ad amare cose che mai avrei pensato.
Ho imparato a mangiare gli spinaci,
Ho imparato ad usare uTorrent,
Ho imparato a camminare guardando avanti,
A fare l’ago della bilancia,
A sopportare il dolore di un tatuaggio,
A piangere senza che nessuno se ne accorga.
Ho imparato a guardarmi allo specchio.
Ho imparato a scrivere, dopo tempi morti.
Ho imparato ad usare dieci dita sulla tastiera senza guardare,
A reinventarmi, plasmarmi, essere rigida
A costruire i castelli con le carte
Ad ascoltare ciò che non voglio sentire senza alzare gli occhi al cielo.
Ho imparato che la malattia di un familiare ti condiziona la vita per sempre,
Ho imparato a convivere.
Ho imparato a non bere più latte e non usarne (quasi più) i derivati.
A prendere l’aereo da sola,
A fare la voce cortese quando sono scocciata,
A curarmi ferite molto profonde.
Ho imparato il silenzio,
Ho imparato che il silenzio non è poi così male.
Ho imparato ad usare i miei pregi come delle armi letali,
Ad esprimere ciò che desidero in poesia.
A leggere davanti ad una platea.
A vincere il mio egoismo in favore di chi amo.
Ho imparato che so essere cattiva, in un qualche modo molto temporaneo.
Ho imparato a non scottarmi al sole,
Ho imparato a mettermi da parte i soldi,
A camminare con i tacchi, per poi decidere che non fanno molto al caso mio.
A perdonare,
A porgere mille altre guance.
Ho imparato ad andare sulle montagne russe facendo diventare la paura una spinta,
Ho imparato a dire no.

Ho imparato che posso percorrere così tante strade, senza per forza perdermi qualcosa di quella che ho lasciato, perchè la potrò trovare di nuovo, se così dovrà accadere. 

Non posso mangiare le albicocche a marzo, quindi. 
Anche se ne vorrei un cestino intero. 


E voi? Cosa avete imparato? 
Dopo il Se Fossi… parlatemi di voi…

Prospettive Maremmane di un grigio sabato mattina.
Pratoline impazienti che fioriscono prima che sia primavera.
Ps: Stasera vedrò Interazioni, la mostra poetico-fotografica in collaborazione con Andrea. Poi, appena sarà tutto pronto, vedrete anche qualche foto della mia lettura della poesia in Palazzo Vecchio. E’ andato tutto benissimo ed è stato emozionante. La platea non era pienissima ma ogni volta che alzavo lo sguardo vedevo ognuno di voi ad ascoltarmi, grazie tantissimo per esserci e per aver creato questo girotondo bellissimo di amicizia e sorrisi, non solo virtuali. Grazie davvero. Siete speciali.

Le mie Prime Volte.

standard 1 marzo 2013 69 responses
Nel senso di “esordio”, ragazzi. 
Debutto in società.
Ballo dei debuttanti, quelle cose lì.
Solo che non sarò vestita a festa.
Saranno le mie poesie le protagoniste delle Prime Volte.

Stasera la Primissima Volta.
In grande stile, una mostra.
Un po’ di tempo fa, non troppo lontano, ho avuto la fortuna di conoscere LEI
Una delle persone più speciali che io abbia mai conosciuto. Insieme a lei ho conosciuto il di lei compagno, fidanzato, amore…e fotografo. Una sera, dopo una appagante cenetta nel piccolo rifugio dei piccioncini, Andrea mi ha parlato di una mostra che avrebbe voluto fare, di lì a poco. Insomma, dopo pochi istanti ci ero finita anche io dentro. E non smetterò mai di ringraziarlo per questo (anzi, forse non l’ho ancora ringraziato abbastanza!). 
Stasera, dunque, si inaugura INTERAZIONI.


10 foto.
10 brevi poesie.
10 INTERAZIONI tra il suo punto di vista e gioco di specchi e associazioni della mia mente.
10 piccoli momenti in cui viaggiare, senza per forza avere una meta che sia la stessa con gli occhi e con il cuore.

La seconda Prima Volta sarà a Firenze, giovedì 7 marzo, ore 16.30.

E anche in questo caso devo ringraziare un’amica, la infinitamente dolce Cristina che, con il suo romanzo Perfetto, mi ha dato la possibilità di presenziare alla presentazione del suo libro. 
La mia poesia dall’omonimo titolo verrà letta dalla sottoscritta in Palazzo Vecchio, Sala delle Miniature, alla data e ora di cui sopra. 
Sto già crepando di emozione.
Io, Berry, emigrata in città 11 anni (e poco più) fa, alla tenera età di 30 anni, dopo peripezie, diari scritti, metriquadri di carta consumati, litri di inchiostro prosciugati, faccio il mio piccolo debutto in società.
Tutto ciò ha del miracoloso.

Avrei ancora tanto da dire. 
Sulle Prime Volte, su queste belle persone che ho incontrato.
Ma stasera sono un po’ silenziosa. 
Sono cose che capitano raramente. Credetemi.
Devo approfittarne per far riposare il mio povero cervello, sempre alla ricerca di stimoli e frammenti.
Ora mi immergo in un minestrone caldo e aspetto che passi.
Il silenzio è una brutta malattia a lungo andare.

Vi aspetto. Grosseto o Firenze. Sarà bellissimo vedervi.

Il destino di una percezione.

standard 26 febbraio 2013 39 responses

Quello che la nostra pelle abita non ha più le forme del reale
Ogni strappo è inesplorato e poco elastico
Si sfilacciano i tessuti
Rimane sospeso ogni contatto con il mondo
Scelgo di non capire
Quindi mi volto

Lo strappo della mia pelle che non si ricuce più
Anzi il suo rumore è infinito.
Scivola sfumato via da questo mio sguardo
Che veloce si volta.
E mentre vaghi colgo il tuo fiore.
Rimane solo un petalo dalle forme ovali
Attaccato con la resina
Colla
Miele

Trama e ordito come intrecci di radici
I miei piedi piatti, nudi, sulle mattonelle fredde
Non credo più alla percezione di trovare sollievo
Scelgo di non capire
Quindi mi sciolgo.

Favole a merenda

standard 7 gennaio 2013 47 responses

Mentre vado in altalena mi sporgo.
Da quando scrivo questi ultimi 365 giorni sono stati, in termini di numeri e “popolarità” indubbiamente i più creativi, ispirati e sostenuti. Certo, ci sono delle mie amiche blogger che scrivono “che sembrano unte” (come si dice a Firenze), post dopo post meraviglie culinarie, soufflè dopo soufflè meraviglie di scrittura. Ma come fate? Siete più produttive di una catena di montaggio!
Io, da brava simil-poetessa, vi guardo, mentre mi spingo sull’altalena. 

A dire la verità è tanto che non ci faccio un giro sull’altalena. Adesso preferisco strapazzarmi le budella a Mirabilandia. Più pericoloso e ripido è il rollercoaster, più mi esalto. L’adrenalina che esce da tutti i pori, che mi fa saltare, sorridere, continuare a fare file kilometriche con gente che mi fuma in faccia nonostante in cartelli di divieto. 
Mirabilandia e Fragonard. Mah…ogni tanto mi chiedo di come sia possibile che io sia così assurdamente accozzata. Adoro delle cose così distanti tra loro che non so come siano compatibili, questa cosa a volte mi esalta a volte mi spaventa. Potrei essere un potenziale serial killer, Dottor Jekill e Mister Hyde. E menomale che sono alta solo un metro e sessanta, altrimenti sai quanta follia ancora poteva entrarci. Ma sono un intenso concentrato, come quello di pomodoro, ne basta poco…in tutti sensi!

J. H. Fragonard – L’Altalena
Insomma dicevo. Fragonard e l’altalena. Quando studiavo storia dell’arte non credo di essermi mai soffermata sul particolare della scarpetta che vola in alto, per l’impeto della spinta. Ma soprattutto penso di non aver colto l’intenzione frivola del dipinto. Una nobildonna che si diverte in un gioco infantile, in compagnia del marito e…dell’amante. L’amante che guarda sotto la gonna pomposa e svolazzante della signora dai chiari capelli.
Escludendo le presenze maschili di questo quadro, vorrei tanto essere la fanciulla protagonista. Vestito color pesca, pizzi e cappello in tinta, delicatezza e felicità. Una superficiale spensieratezza.
Ebbene, sto ripiombando sonoramente in uno di quei miei “beautiful moment” in cui tutto accade – niente accade, in cui un minuto ti senti bella e micidiale come una Venere e l’attimo dopo impossessata da Medusa, chiunque ti guardi si trasforma in pietra. Orribile in pratica.
Insomma in pratica…sto cadendo dall’altalena. Sono giusto nel momento prima di spiaccicarmi (scusate il maremmano!) con la faccia al suolo, sassolini in bocca, terra che graffia i palmi delle mani, ginocchia con i rivoli di sangue. Tenere forte le corde, farle scorrere tra le dita, era diventato un noioso palliativo, un fastidio, quelli dati dalla ripetitività delle cose; certo, stabilivano la mia sicurezza, ma quello che rimandavano non era altro che una banale riproduzione di me stessa. E si sa che a me piace cadere. Gustarmi quel momento in cui posso far scendere con ragione le lacrime salate sul mio viso, in cui posso tamponare i miei occhi smarriti, in cui tolgo i frammenti di terra dalle dita, come fossero l’ultimo baluardo della fiducia che ripongo nel genere umano (di sesso maschile). Fiducia, sorrisi. Tutto molto scadente, come un pasto frugale consumato di fretta in un fast food, da soli, con la faccia rivolta verso un muro. La qualità degli ingredienti crea un risultato pessimo, di quelli che vanno ingurgitati, non gustati. Ecco, io che non vorrei mai vivere così, preferisco cadere, lasciare le corde, sbattere il naso, respirare la terra, l’odore rustico delle foglie verdi o secche, i rami vivi e pulsanti di clorofilla. 
Raccontare cosa sto vivendo risulterebbe forse banale, poco sfumato, non divertente. 
E magari sarebbe sconveniente. 
Perchè ogni riferimento a fatti, persone e cose è assolutamente reale qui, in questo angolo di vita. 
Perchè chiunque ha carezzato i miei capelli è stato fotografato, ricordato, memorizzato. Perchè chiunque ha sfiorato le mie mani o maltrattato la mia anima si merita uno spazio, una classificazione. Certo, tutto questo lavoro scientifico di catalogazione fosse servito ad imparare, a distinguere al primo sguardo chi ho davanti, a posizionarlo nella giusta dimensione o, perlomeno, in quella che si merita. La trasformazione in Mr. Hyde che ho subito questa estate non ha portato granchè frutti insomma…subdolo copia/incolla di cattiveria mal riuscito da comportamenti di terzi con la sottoscritta.
Quindi…raccontare cosa sto vivendo risulterebbe banale.
Sto cadendo dall’altalena con la speranza che “qualcuno” mi prenda al volo. 
E che mi posi, come una ciliegina sulla sua torta, così che io la possa rendere “complice ma non complicata” (cit.), dolce, a tratti stucchevole. 
Sfacciata e brutale faccio queste confessioni al mondo, nemmeno fossi una principessa.
Ma finchè c’è il vento che scompiglia i capelli e senti il sibilo nelle orecchie, finchè la forza di spingersi sempre più su non ti abbandona, finchè questa vita così superficiale e profonda, piena di contrasti e simbiosi, finchè tutto questo mi apparterrà ogni reame dovrà impallidire.